La ragionevolezza del dubbio (di Cartesio)

Mentre un numero sempre più ristretto di parole viene usato univocamente, poche discipline come la filosofia riescono a rammentare la polisemicità anche di un solo termine. È il caso del lemma “dubbio”, la cui condizione, al pari di poche altre, parrebbe contrassegnare l’umano. Essendo arduo non dirò il riassumere, ma anche solo l’indicare le molte accezioni di questo termine, mi limiterò a richiamarne i due sensi opposti: quello scettico e quello cartesiano. 

Più o meno fortemente connotato, lo scetticismo nega se non l’esistenza, almeno l’attingibilità della verità, scorgendo nel dubbio non già una condizione di riflusso, ma la cifra più autentica dell’umano. “Dubitiamo, dunque esistiamo”, parrebbero dirci i discepoli di Pirrone, scrivendo questo stesso motto sulla labilità della sabbia perché se lo affermassero con certezza, di fatto si starebbero già contraddicendo. 

Istintivamente l’uomo moderno tende ad accogliere questa concezione nella quale vede un baluardo contro ogni intolleranza. Egli, però, parrebbe non rendersi conto della circostanza che alcune certezze minime sono necessarie, perché in un quadro di dubbio radicale, scetticamente inteso, le stesse scienze faticherebbero a progredire. Il ricercatore, infatti, sarebbe costretto a verificare sempre ogni suo asserto, poiché la continuità nel tempo dei fenomeni non sarebbe assicurata, meno che mai lo sarebbero i loro nessi causali. 

Eppure, proprio il razionalista Cartesio lo attesta, un altro dubbio è possibile. Nella III meditazione metafisica, mentre vengono messe tra parentesi non solo le percezioni sensibili, ma anche gli asserti della matematica, ecco che improvvisamente, proprio dal nostro iperbolico dubitare, sorge una certezza inconcussa. Ed è su questa certezza, che a ben guardare è quella del pensiero unico e ultimo garante dell’esistenza che la filosofia moderna edificherà una diversa idea di dio, non solo compatibile con la scienza moderna, ma ultimo, razionale custode della sua stessa verità. 

Così il dubbio cartesiano si palesa per ciò che è: non già un punto di arrivo, ma di partenza, una sorta di trampolino grazie al quale lanciarsi verso una “verità razionale” della quale dubitare non è più possibile. Ripercorrere, pur se rapidamente, il testo dell’autore del “Discorso sul metodo” che anche dal punto di vista letterario appare intenso e molto bello, vuol dire attingere le radici stesse di quella modernità di cui, per molti rispetti, oggi scorgiamo i titoli di coda. 

La prima regola del metodo ci aveva invitati ad accogliere come vero solo ciò che fosse evidentemente tale, ricusando quelle percezioni che almeno una volta ci hanno ingannati. Una circostanza che mette fuori causa tutto il mondo esterno, sensibilmente colto, perché anche nei sogni ci sembrano vere cose che non lo sono. Ed è per questo che nella III meditazione, compare l’ipotesi del genio maligno, capace di ingannarci non solo circa il mondo esterno, ma anche sulle verità matematiche e geometriche antecedentemente immuni dal dubbio in quanto opera della nostra mente. 

Lo scritto si apre proprio con una messa tra parentesi del mondo fisico, e dello stesso corpo: 

Ora io chiuderò gli occhi, mi turerò le orecchie, distrarrò tutti i miei sensi, cancellerò anche dal mio pensiero tutte le immagini delle cose corporee o almeno le reputerò vane e false. 

Cartesio inizia così un suggestivo viaggio nei labirinti della sua interiorità per cercare di rendersi più famigliare a sé stesso. Una premessa necessaria, in cui il filosofo si percepisce come “una cosa che pensa, dubita, afferma, nega, conosce poche cose, ne ignora molte”. Eppure, almeno come nostalgia, in questa “cosa pensante”, alberga l’idea del perfetto. Ed è questa idea innata che è in me ma non è da me a assicurare Cartesio sull’esistenza di un Dio che, proprio in quanto perfetto, deve essere verace, quindi non ingannatore.

Informazioni su Alessio Conti 48 articoli
Nato a Frascati nel 1974, Alessio Conti è attualmente docente di storia e filosofia presso il Liceo Scientifico statale Bruno Touschek di Grottaferrata. Dottore di ricerca in discipline storico filosofiche, ha pubblicato con l'editrice Taυ due libri (Fiat lux. Piccolo trattato di teologia della luce [2019], e Storia della mia vista [2020]). Già docente di religione cattolica per la Diocesi di Roma, è attivo nel mondo ecclesiale all'interno dell'Azione Cattolica Italiana di cui è responsabile parrocchiale del gruppo adulti. Persona non vedente dalla nascita, vive la sua condizione filtrandola grazie a due lenti, quella dello studio, e quella di un'ironia garbata e mordace, che lo porta a vivere, e a far vivere, eventi e situazioni in modo originale.

Lascia il primo commento

Di’ cosa ne pensi