«L’uomo e un grande miracolo», fidatevi di Pico della Mirandola

Se l’uomo fosse solo celeste disprezzerebbe le realtà terrene, se fosse terrestre ignorerebbe quelle siderali: per questo, nel pensiero di Pico della Mirandola, è una creatura mediana. La sua caratteristica più saliente, infatti, risiede nella libertà di cui la munificenza divina lo ha dotato. 

A differenza degli astri, che i Greci consideravano come dèi visibili, la persona non ha un posto predeterminato, non segue movimenti prestabiliti, ma è egli stesso l’artefice del suo destino, ed in questo risiede la sua intangibile dignità. Un pensiero fecondo, quello di Pico, non solo perché tornare a riflettere su quel valore che l’uomo è mi pare nell’attuale temperie culturale molto stimolante, ma anche perché ci obbliga a riconsiderare la libertà abissale da cui ciascuno di noi è fecondamente plasmato. Quella libertà di ascendere oltre i culmini delle creature angeliche, addirittura sfiorando tangenze con il divino, fino ad “indiarsi”, come Giordano Bruno mostrerà in un contesto neppure troppo dissimile.

Dai suoi timidi esordi, fino ai suoi esiti ultimi, la parola che racchiude il variegato spettro del pensiero rinascimentale, riguarda proprio questa potenziale grandezza dell’uomo tanto abissale da involvere anche il suo lato oscuro e, per certi rispetti, spettrale. Lo stesso uomo, proprio in virtù della libertà è anche capace di inabissarsi nelle voragini della bestialità, dell’odio di se stesso, dell’indifferenza nei confronti della bellezza quando non della vita che antropologicamente si riverbera nell’insensibilità per il dolore dell’altro.

Un universo, quello dell’autore dell’“Orazione sulla dignità dell’uomo” in cui, senza irenismi sincretici, convergono le istanze più profonde della filosofia – sia platonica che aristotelica – e della religione, della magia naturale e della cabala ebraica. In questo orizzonte i numeri, le lettere, la stessa lingua semitica divengono veicolo di un messaggio arcano di cui ciascun dotto possiede una favilla. E per attingerla, questo ci insegna Pico, occorre volare alto: oltre le dispute tra Platonici ed aristotelici che avevano diviso gli umanisti in appartenenze tanto stereotipate quanto infruttuose. Così se Pietro Pomponazzi sosterrà lo stagirita, Giorgio Gemisto – insigne dotto bizantino – fu tanto convinto della superiorità dell’autore della “Repubblica”, da mutare il suo nome in Pletone. Oltre le giustapposizioni, anche artistiche, dei due maestri del pensiero greco, il solo Pico comprese come entrambi, pur se da punti di vista non sempre convergenti, inverarono quella svolta antropologica che già Socrate aveva adombrato.

Un messaggio, quello pichiano, molto audace, tanto da immaginare dall’alto della sua vastissima cultura, un celeberrimo discorso pronunciato ad Adamo da Dio stesso: parole sublimi che illuminarono in varie direzioni quel prisma denominato Umanesimo e che, ancora ai nostri giorni, possono rappresentare un faro per comprendere la profonda sentenza attribuita ad Ermete Trismegisto: “L’uomo è un grande miracolo”. Al pari di altri Umanisti, anche Pico della Mirandola credette che Ermete Trismegisto – in greco “tre volte grandissimo” – fosse un antichissimo profeta, capace di ispirare Platone.

Nel messaggio di Ermete, come in quello di altri prischi teologi, i Padri della Chiesa scorsero innumerevoli iridescenze cristologiche, e questo complesso novero di fattori, uniti ad influssi magici ed alchemici, favorì il sorgere di quell’atmosfera irripetibile di cui si nutre la fascinosa filosofia di Pico. Quello degli umanisti fu, oggi lo sappiamo, un errore storico che però diverrà fecondo di pensieri sublimi come la divina allocuzione che l’umanista “italiano” fa proferire non all’ente supremo, ordinatore e geometra del mondo su cui ci intratterranno la rivoluzione scientifica e i deisti di ogni risma. A pronunciare questo suggestivo discorso è quel Dio tanto grande da potersi fare piccolo, tanto onnipotente da poter vagire, proprio come un bimbo, bisognoso di tenerezza ed amore. È Gesù che parla non solo ad Adamo, ma in lui a ciascuno di noi:

Non ti ho dato, o Adamo, né un posto predeterminato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu deciderai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio, ottenga e conservi. La natura delimitata degli astri è circoscritta dalle leggi da me prescritte, tu te la determinerai, da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio alla cui potestà io ti consegnai. […] Non ti ho fatto ne celeste né terrestre, né mortale né immortale, perché da te stesso, quasi libero e sovrano artefice, ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto.

Nell’uomo alberga il germe di ogni vita: a lui solo spetta la decisione su quale seme coltivare. Pico parrebbe dire, proprio a questo nostro tempo, che la vertigine della libertà non può essere tale se non diviene anche vertigine della responsabilità, capacità, non volontaristica o pelagiana, di rispondere di ogni altro.

Informazioni su Alessio Conti 41 articoli
Nato a Frascati nel 1974, Alessio Conti è attualmente docente di storia e filosofia presso il Liceo Scientifico statale Bruno Touschek di Grottaferrata. Dottore di ricerca in discipline storico filosofiche, ha pubblicato con l'editrice Taυ due libri (Fiat lux. Piccolo trattato di teologia della luce [2019], e Storia della mia vista [2020]). Già docente di religione cattolica per la Diocesi di Roma, è attivo nel mondo ecclesiale all'interno dell'Azione Cattolica Italiana di cui è responsabile parrocchiale del gruppo adulti. Persona non vedente dalla nascita, vive la sua condizione filtrandola grazie a due lenti, quella dello studio, e quella di un'ironia garbata e mordace, che lo porta a vivere, e a far vivere, eventi e situazioni in modo originale.

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