Una “via alogica” per tornare al Bello, “figlio primogenito del Bene”

I 24 secoli che ci dividono da Platone non rappresentano solo un rilevante iato cronologico perché rischiano anche di rendere oscuro uno degli insegnamenti più avvincenti di questo filosofo.

È sempre emozionante avere lo straordinario privilegio di sostenere uno studente nella scalata di questa vetta, in cui, più che altrove, può ritrovare quelle stesse emozioni che la vita gli offre. Per noi il bello è fondamentalmente qualcosa di cui godere, librandoci nella sua estatica contemplazione. Dopo la rivoluzione kantiana, poi, più che in un oggetto o evento in se, il pulchrum è scorto nel soggetto che lo attinge, esteticamente o talora come finalità intrinseca della natura. Tale concezione è talmente entrata nel senso comune che oggi appare difficile pensare la bellezza, oltre questa categorizzazione.

Ma questo arduo cimento ci è necessario, se vogliamo raggiungere le abissali profondità della filosofia platonica, evitando di ridurle a una vulgata conforme ai nostri gusti, come talora avviene per la sua riflessione politica. E se invece, il bello fosse “il primo figlio del bene” e si configurasse, quindi, come una via alogica, perché non razionalmente dimostrabile, per raggiungere Colui da cui tutte le cose sono generate? Rispondere affermativamente a questa domanda significa, solo per fare un esempio, svellere la contemplazione del bello dalla sfera artistica che per l’autore della “Repubblica” veicola mere parvenze, per congiungerla con l’eros. Amare vuol dire, per Platone, scoprirsi mancanti, assetati di un’inesauribile bontà che, sempre presente in noi in uno stato kenotico, viene ridestata, nei suoi vari gradi, dalla bellezza.

Al livello più basso, in cui però già balugina un germe d’immortalità si situa l’avvenenza fisica, intesa come amore del corpo bello che, contrariamente ad una vulgata troppo spesso ripetuta, Platone non svaluta, invitandoci però a trascenderla, in nome di una diversa fecondità. È questa quella legata non più indissolubilmente ai corpi, ma alle anime, la sola capace, come il filosofo sostiene nella “VII lettera”, di accendere quella scintilla germinata nell’oralità dialettica, da cui rampolla la stessa filosofia.

E a ben guardare, è per questo che Eros è filosofo: non possiede la saggezza, ma la insegue, la cerca, la ama e, se in un fugace momento – di cui il bello è traccia – gli pare di averla attinta; questo attimo gli dona solo l’energia per cercarla ancora, in una avventura che mai avrà fine. Platone in forme diverse sostiene tanto nel “Simposio” quanto nel “Fedro” e nella stessa “Repubblica” – opere in cui dedica all’amore pagine sublimi – che questa avventura è quella dell’anima. In originario e fecondo contatto con la ammaliante stabilità delle idee, quando viveva in quel luogo sopra il cielo, la psiche – simile ad un uccello che abbia perduto un’ala – precipita in un corpo.

Qui, prigioniera, parrebbe aver dimenticato le realtà archetipali contemplate nell’Iperuranio, avendo a che fare con esseri imperfetti e manchevoli come se fossero, al pari di lei, tronchi. L’aspaziale cosmo delle idee le si fa unicamente presente nella forma deprivata di una struggente nostalgia. Ma la bellezza le ridona le ali: in lei è adombrata una sbiadita favilla di quella luce di cui l’anima viveva, ed è quindi solo tramite l’erotica che, a quel luogo la psiche può tornare.

Ogni forma di amore è desiderio di possedere l’amato per sempre, ma questo anelito viene ultimamente appagato quando l’amante filosofo scruta la folgorante idea del bene che si manifesta persino nel bello sensibile in cui tralucono bontà e verità. A tal proposito scrive Platone nel “Fedro”:

La bellezza risplendeva tra le realtà di lassù come essere. E noi venuti quaggiù la abbiamo colta con la più chiara delle sensazioni mediante il corpo. Solamente la bellezza ricevette questa sorte di essere ciò che è più manifesto e più amabile.

Informazioni su Alessio Conti 38 articoli
Nato a Frascati nel 1974, Alessio Conti è attualmente docente di storia e filosofia presso il Liceo Scientifico statale Bruno Touschek di Grottaferrata. Dottore di ricerca in discipline storico filosofiche, ha pubblicato con l'editrice Taυ due libri (Fiat lux. Piccolo trattato di teologia della luce [2019], e Storia della mia vista [2020]). Già docente di religione cattolica per la Diocesi di Roma, è attivo nel mondo ecclesiale all'interno dell'Azione Cattolica Italiana di cui è responsabile parrocchiale del gruppo adulti. Persona non vedente dalla nascita, vive la sua condizione filtrandola grazie a due lenti, quella dello studio, e quella di un'ironia garbata e mordace, che lo porta a vivere, e a far vivere, eventi e situazioni in modo originale.

Lascia il primo commento

Di’ cosa ne pensi