Confondere sempre l’uomo, perché, perfino dalla sua miseria, riesca a comprendere le vestigia della sua sfiorita grandezza: un re spodestato, un nobile decaduto, questa è la persona per Pascal, scienziato e credente, filosofo e apologeta, raffinato indagatore delle profondità telluriche della psiche. Arguto polemista, sferza con l’ironia il razionalismo cartesiano che intendeva mostrare l’esistenza di un Dio non ritenuto necessario.
Contro gli apologeti di una ragione onnicomprensiva l’altra arma dell’autore dei “Pensieri”, oltre all’atteggiamento socratico, è uno scetticismo acuminato e mordace perché proveniente non dalla relativizzazione di ogni valore, ma da quel realismo tragico sulla condizione umana che, consapevole della sua indigenza, geme attendendo un liberatore.
Inventore della calcolatrice, non scrutò solo i numeri, indagando l’essenziale cioè quel problema di Dio che emerge dalla caliginosa penombra di una stanza in cui abbiamo sia indizi per provarne l’esistenza, sia congetture che ci porterebbero a negarla. Non possiamo deciderci razionalmente, ma dobbiamo scommettere e i mille alibi che costruiamo per non farlo, si rivelano mere distrazioni configurandosi come la più grande delle nostre miserie. Nota a tal proposito Pascal con una ficcante interrogativa dall’evidente retrogusto retorico: «Se l’uomo non è fatto per Dio, perché mai non è felice, se non in Dio?». Eppure i più eludono il problema capitale non tanto dell’esistenza di un astratto “Dio dei filosofi”, quanto di quella del “Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”, sentito dal cuore, più che dalla ragione, cercato nella morale, come verità suprema da mendicare nella preghiera dell’uomo, concepito come il solo essere che sa di essere miserabile.
Sí perché non serve che l’intero universo si armi contro di lui, un’inezia – oggi potremmo dire un virus – basta ad ucciderlo: eppure egli è grande perché quando muore sa di morire, mentre l’universo, che pure lo schiaccia, non sa assolutamente nulla. Solo che questa paradossale grandezza umana si svilisce nei mille rivoli della vanità. Insoddisfatta della sua esistenza reale, la persona vorrebbe vivere una vita immaginaria, nel concetto che gli altri hanno di lei. Per questo si lascia irretire da mille occupazioni senza rendersi conto che questo sfuggire la miseria con le distrazioni è la più grave tra le sue miserie.
Proprio questo vivere nella penombra, questo scommettere su Dio senza poterlo dimostrare, rende Pascal vicino alle inquietudini dell’uomo moderno: egli è un credente, ma non è più uno scolastico, è uno scienziato, ma afferma che la missione più importante della ragione è ammettere che un’infinità di cose la sorpassano, e sono di gran lunga le più importanti, perché, come scrive nei pensieri, incompiuta apologia del cristianesimo,
La scienza delle cose esteriori non mi consolerà dell’ignoranza della morale nel momento del dolore, ma la morale mi consolerà sempre dell’ignoranza della scienza delle cose esteriori.
Di’ cosa ne pensi