L’alone degli spettri di Karl Marx

Marx ha donato al mondo occhi nuovi per vedere lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e la miseria di una filosofia che si limiti ad interpretare l’esistente, senza però porsi il problema del suo mutamento nella prassi rivoluzionaria. Ha criticato Hegel accusandolo di costruire un universo rovesciato, l’economia classica inglese, l’alienazione religiosa, frutto di quella capitalistica, e i socialismi da lui definiti utopistici.

Ci ha spiegato, concordando in questo con l’autore della “Fenomenologia dello Spirito”, come ogni accadimento sia radicalmente storico e che la storia è storia di lotta di classe. Un conflitto in atto da sempre in cui si affrontano oppressori, proprietari dei mezzi di produzione ed oppressi, venditori di quella merce negletta chiamata forza-lavoro. Una merce peculiare, perché sempre minacciata da “l’esercito di riserva della disoccupazione”, di cui i capitalisti si servono per comprimere i salari.

Questo dissidio insanabile rappresenta la forza, ora latente, ora dispiegata, che fa avanzare il processo storico, in un divenire materialistico e dialettico, in cui rapporti di produzione e forze produttive cercano equilibri sempre nuovi.

L’autore del “Capitale” ha sradicato la stessa coscienza dalle astratte speculazioni dello spirito, affermando che essa è determinata dall’essere sociale, dalle sue condizioni materiali di vita e di lavoro. Marx ha anche proposto la società comunista come ritorno dell’uomo a sé stesso, superamento radicale di quel processo di alienazione per cui il proletario, mentre dona vita ad un oggetto a lui estraneo, si depaupera, arricchendo il padrone fino a morire. Da questa esistenza mercificata il comunismo sorge come una vita nuova, un ordine in cui, scomparsa la divisione tra lavoro manuale ed intellettuale,ogni uomo umanizza il mondo, muovendo dai suoi specifici bisogni. 

Ma la teoria marxiana del valore-lavoro non regge, perché residui dell’aborrita metafisica sono presenti anche nella sua dottrina, asseritamente scientifica, del socialismo. In un simile orizzonte non poche questioni restano aperte: se il valore di una merce è determinato unicamente dal lavoro sociale necessario a produrla e non da altri fattori quali ad esempio la sua rarità in un periodo di crescente domanda, si configura di fatto una “dittatura sui bisogni”, soprattutto nella situazione in cui, abolita ogni proprietà, lo stato comunista sia il solo produttore e distributore di beni e servizi ad un prezzo prefissato. Su questo coglie nel segno la critica del filosofo austriaco Hayek secondo cui «chi possiede tutti i mezzi decide tutti i fini». In un simile orizzonte, infatti lo stato totalitario espunge dall’analisi fattori che possono essere assai rilevanti nella determinazione del valore di scambio di una merce cioè della quantità di altre merci o di denaro con cui questa può essere comprata e venduta.

Si tratta di innovazioni nella logistica, nel processo produttivo, o, ad un altro livello, del sorgere di nuovi bisogni, anche indotti, ma comunque tali da rendere obsoleta una merce o un modo di fabbricarla. E se Marx individua correttamente anche rispetto agli economisti inglesi che della merce facevano un feticcio, le caratteristiche precipue del lavoro alienato, cade poi vittima di quel primato dell’economico che non spiega, ad esempio il motivo per cui rappresentazioni artistiche proprie di paradigmi ermeneutici superati, continuano ad affascinarci. E resta inspiegata anche questa circostanza: merci come l’oro o la stessa terra che non necessitano di nessun lavoro sociale per essere prodotte, hanno un valore di scambio che, in certe condizioni, può essere assai elevato.

Al pari di altre filosofie ottocentesche, anche esse derivanti dalla polimorfa scaturigine hegeliana, il pensiero di Marx è una forma di riduzionismo che non diverrà liberticida a causa di un suo successivo fraintendimento, pure presente nella prassi politica di Lenin. Il marxismo reca già in sé i germi del totalitarismo: e se è vero che il filosofo parlò del comunismo come di un “salto nella libertà”, è anche vero che egli stesso teorizzò la dittatura del proletariato, con quella fisiologica dose di ineguaglianza ad essa inevitabilmente connessa. Un’ineguaglianza che, a differenza del comunismo, verrà realizzata, in tutti quei paesi in cui il marxismo diverrà la sola filosofia legale, nella lettura che ne diede Lenin.

Eppure Marx ha individuato, ed in questo il suo messaggio resta attuale, alcuni elementi di strutturale debolezza che il capitalismo non intende correggere perché, ove lo facesse, verrebbe meno alla sua natura basata su meccanismi di accumulazione del profitto e di finanziarizzazione della sfera economica. In tali meccanismi il denaro cessa di essere un mezzo con cui soddisfare bisogni, divenendo, esso stesso, un fine, con un primato della rendita sulla stessa dimensione del lavoro produttivo.

Ma a restare aperta già in Marx è soprattutto la questione religiosa: se infatti da un lato la religione è frutto dell’alienazione capitalistica essa non cessa di essere anche, se non soprattutto, il gemito di una creatura oppressa, costretta a rimandare ad una chimera celeste, quanto vorrebbe costruire nel mondo degli uomini. Ciò che Marx non vede è che quel “grande racconto” chiamato religione tenta di rispondere a domande fondamentali, queste sì veramente strutturali e ciò accade perché l’uomo non è riducibile unicamente alla sfera economica. In lui inespressa e inappagata, urge quella questione metafisica che nessun riduzionismo potrà tacitare.

Informazioni su Alessio Conti 33 articoli
Nato a Frascati nel 1974, Alessio Conti è attualmente docente di storia e filosofia presso il Liceo Scientifico statale Bruno Touschek di Grottaferrata. Dottore di ricerca in discipline storico filosofiche, ha pubblicato con l'editrice Taυ due libri (Fiat lux. Piccolo trattato di teologia della luce [2019], e Storia della mia vista [2020]). Già docente di religione cattolica per la Diocesi di Roma, è attivo nel mondo ecclesiale all'interno dell'Azione Cattolica Italiana di cui è responsabile parrocchiale del gruppo adulti. Persona non vedente dalla nascita, vive la sua condizione filtrandola grazie a due lenti, quella dello studio, e quella di un'ironia garbata e mordace, che lo porta a vivere, e a far vivere, eventi e situazioni in modo originale.

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