Ove la vita non fosse solo prerogativa del regno animale, ma includesse ogni realtà, si dischiuderebbe un suggestivo scenario per cui, per dirla con Anassagora, «tutto è in tutto»; o, meglio ancora, «parte di ogni cosa è in ogni cosa». Proseguiva così il tentativo di superare l’aporia parmenidea che faticava a spiegare la mutevole molteplicità del mondo avendo unilateralmente scommesso sull’unità dell’essere.
Fu probabilmente Anassagora a introdurre il termine “filosofia” in quella Atene che con Socrate e Platone ne sarebbe divenuta la capitale. Ma più ancora che per questo aspetto semantico, il filosofo nato a Clazomene attorno al 500 a.C. ha il merito di aver pensato un’intelligenza ordinatrice alla quale conferì le caratteristiche dell’essere eleatico, consentendo al Mondo stesso di esistere come ordine, pur se in modalità diverse da quelle prefigurate dalla scuola pitagorica.
Il logos anassagoreo, se non attinge ancora il sovrasensibile inteso come immateriale, tuttavia si colloca già ad uno stadio che precede immediatamente questa scoperta platonica. L’atomista ateniese è geniale sia nel delineare le caratteristiche di questa intelligenza cosmica, sia nel descrivere il processo secondo cui da essa rampollano le cose che riescono a conservare la loro unità senza venir meno a quella aurorale varietà che le ha originate.
In principio tutto era mescolato e caoticamente, in ogni cosa vi erano i semi di ogni cosa. Successivamente si passò ad una miscela ordinata e il prevalere di ogni singolo aspetto del reale derivò dalla quantità maggioritaria di semi in essa presenti. Divisibili in parti sempre uguali, tali semi verranno poi detti omeomerie proprio perché scindibili infinitamente. La varietà degli elementi è spiegata dal filosofo di Clazomene con le diverse proporzioni tra le omeomerie presenti in ogni cosa: nel chicco di grano predominano naturalmente i semi di questo elemento, ma non sono assenti, pur se in misura piccolissima, quelli del capello o dell’osso. Per Anassagora tutto, anche la qualità più insignificante è nell’essere, da sempre e per sempre, perché niente può generarsi o essere generato dal nulla.
Così mentre viene spiegata razionalmente la varietà incomprimibile e spettacolare del Mondo, è lo stesso concetto di vita a dilatarsi, dischiudendosi in infinite iridescenze: una vita alla quale riesce il “miracolo”, tutto e solo ellenico, di essere ordinata senza divenire gerarchica. E questo miracolo riesce perché alla base della vita vi è non già l’informe caoticità ma l’intelligenza. Scrive il filosofo:
Tutte le altre cose hanno parti di ogni cosa, ma l’intelligenza è illimitata, indipendente e non mescolata a ciascuna cosa, ma sta sola in se… E quante cose hanno vita, le maggiori e le minori, tutte domina l’intelligenza.
Il progresso compiuto dal logos è ormai notevole: ecco profilarsi un principio infinito e separato dal resto degli enti, intelligente e sapiente, in cui – ma questo Anassagora non lo dice – «Noi stessi ci muoviamo ed esistiamo».
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