La “Città dell’Essere” francofortese… e i suoi limiti

Auf der Beerdigung von Theodor Adorno am 13. August 1969: Direktor des Frankfurter Instituts für Sozialforschung Prof. Ludwig Friedeburg, Prof. Max Horkheimer, der damaliger Frankfurter Oberbürgermeister Willy Brundert und Prof. Juergen Habermas, von links. © picture alliance / Associated Press/ Kurt Strumpf

Restare in quel grato stupore in cui i miei maestri mi hanno immerso e farlo respirare agli allievi. Sempre più mi affascina questo aspetto della professione di insegnante: meravigliarmi per provare a stupire. Non con effetti speciali, ma grazie all’anticipazione preveggente propria del sapere filosofico, capace di pensare ciò che gli altri si limitano a vivere.

Così, mentre realizzavo le audio sintesi delle lezioni che offro agli studenti nella loro classe digitale, ho riflettuto io stesso sulla scuola di Francoforte, uno sviluppo generativamente critico rispetto alla tradizione marxista cui pure appartiene; un poliedro proteiforme che, in pieno secolo ventesimo, mentre viveva lo scontro tra totalitarismi e democrazie, prevedeva i difetti di entrambi i modelli. Stigmatizzava, infatti, sia la contraffazione sovietica di Marx, sia l’industria culturale che attanagliava tanto il capitalismo privato dell’occidente quanto quello “di stato” d’oltre cortina.

Veniva così elaborandosi quella teoria critica della società capace di scorgere solo nella filosofia, e non nei suoi surrogati come l’astrologia o il Buddhismo, la possibilità di “salvezza” per un uomo che volesse trascendere la ragione tecnico strumentale, contribuendo ad umanizzare sé ed il mondo. Un’umanizzazione che inizia con la celebre dicotomia proposta da Fromm tra avere ed essere ipostatizzata nelle nostre società consumistiche, non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello delle relazioni interpersonali. Per le società basate sull’avere chi non ha nulla non è nulla: un assioma baricentrico, per cui i consumatori si identificano acriticamente con ciò che comprano. E queste società hanno i loro templi, che i francofortesi non conobbero, ma di cui profeticamente sembrano parlare. Sono i moderni centri commerciali in cui il cliente vede soddisfatta, purché non sia costretto ad uscirne, ogni sua necessità: può mangiare i cibi più diversi, e persino accorciare un vestito, in un tempo che è tanto più rapido quanto più viene lautamente remunerato. Ed in queste “chiese”, qualora si possegga una carta di credito di color oro, si possono spendere anche i soldi che ancora non si hanno, naturalmente a tassi vantaggiosissimi.

Proprio per questa pervasività dell’avere secondo From occorre provare a mutare il paradigma di riferimento: dopo la città di Dio del tardo medioevo, e quella del progresso umano tipica del rinascimento e della rivoluzione scientifica, ne va creata una dell’essere in cui un uomo interiormente attivo, libero dalle cose e dotato di una ragione critica, vive per coltivare e diffondere le ricchezze immateriali che ha ricevuto. Questo uomo è chiamato a trascendere il carcere dell’io su cui la modernità – da Cartesio in poi – aveva fondato l’esistenza del mondo, per essere di più amando, dedicandosi all’arte e alla letteratura, creando così un cosmo più umano in cui finalmente essere felice.

Ma affinché questo sia possibile occorre, ancora una volta, un esodo da quella che un altro francofortese, Horkheimer chiama l’industria culturale: un apparato possente in cui ogni aspetto della vita, persino il divertimento, viene massificato e irregimentato tanto che il pensiero, qualora non sia funzionale agli interessi della produzione è bandito come superfluo.

Si tratta di un’eclissi della ragione in cui i mezzi di comunicazione di massa, il cinema e più tardi la televisione, diffondono valori funzionali al sistema condizionando non solo le abitudini esterne, ma la mentalità stessa delle persone.

Insomma, appare riduttivo affermare che l’industria culturale veicoli un’ideologia – perché occorre dire che è ideologia essa stessa. Una società strutturalmente repressiva che non solo non può appagare l’uomo, ma suscita in lui quella nostalgia del totalmente altro e del totalmente oltre, che sola potrà nuovamente umanizzare il mondo. Se infatti nulla può essere assolutizzato, se la fede politica in una classe, essendo storica essa stessa, non può rappresentare un incondizionato cui tendere, allora la solidarietà superando il classismo originario, deve divenire inter-umana.

Tutti soffriamo, tutti un giorno moriremo e questo ci rende solidali: una solidarietà cementata da una finitudine comunque venata di nostalgia. Abbiamo nostalgia di un mondo più vero, in cui la vita sia più lunga, meno schiava del dolore e più incline allo sviluppo dello spirito. Ed è proprio questa nostalgia a parlarci della strutturale incapacità del materialismo, come di ogni riduzionismo, ad affrontare la poliforme complessità dell’umano.

Informazioni su Alessio Conti 18 articoli
Nato a Frascati nel 1974, Alessio Conti è attualmente docente di storia e filosofia presso il Liceo Scientifico statale Bruno Touschek di Grottaferrata. Dottore di ricerca in discipline storico filosofiche, ha pubblicato con l'editrice Taυ due libri (Fiat lux. Piccolo trattato di teologia della luce [2019], e Storia della mia vista [2020]). Già docente di religione cattolica per la Diocesi di Roma, è attivo nel mondo ecclesiale all'interno dell'Azione Cattolica Italiana di cui è responsabile parrocchiale del gruppo adulti. Persona non vedente dalla nascita, vive la sua condizione filtrandola grazie a due lenti, quella dello studio, e quella di un'ironia garbata e mordace, che lo porta a vivere, e a far vivere, eventi e situazioni in modo originale.

2 commenti

  1. La dialettica hegeliana come l’anticamera dei totalitarismi novecenteschi, con la loro venerazione per la totalità, a scapito dell’individuo, e la loro distinzione tra puri e impuri, adatti e inadatti era una tesi che, mutatis mutandis, ricorda quella sostenuta da Horkheimer e Adorno in Dialettica dell’illuminismo (1947), laddove il bersaglio polemico dei due francofortesi era l’illuminismo, inteso come esaltazione del pensiero calcolante e strumentale, come volontà prometeica dell’uomo di dominare il mondo attraverso la ragione.
    Mi pare che lei, Prof, enfatizzi molto questo, giustamente.

    Vorrei però soffermarmi su un altro aspetto di quella scuola, che ha prodotto, pur partendo da un’altra direzione, danni non meno gravi di quelli prodotti dai principi assoluti della ragione illuminista da essa tanto vituperati.

    Come dicono gli storici (R.De Mattei), la rivoluzione politica del regime bolscevico fu accompagnata dalla preparazione della rivoluzione culturale, che fin dall’inizio fu soprattutto una rivoluzione sessuale. L’obiettivo era quello di ridefinire non solo la società, ma la stessa natura umana.
    Tuttavia, mentre gli architetti ( e i prosecutori) della rivoluzione sessuale (Reich, Freud, Kinsey, Hirschfeld… ) avevano potenti alleati tra i dirigenti del regime comunista (come Leon Trotsky), ma Stalin vide in essa una minaccia al suo potere politico.

    Respinti da Stalin, gli ideologi della rivoluzione sessuale fuggirono nella Germania di Weimar, dando vita alla Scuola di Francoforte, dove continuarono il loro lavoro come think tank di scienziati sociali marxisti. Da lì, questi intellettuali si diressero negli Stati Uniti, dove occuparono posizioni chiave in università come Harvard, Columbia, Princeton, Berkeley e altre istituzioni che da allora hanno formato la maggior parte dei leader civili e politici americani.

    È per questo motivo che le politiche promosse oggi in Occidente ricalcano il comunismo, l’egualitarismo. Questi sono gli errori della Russia, non il patrimonio dell’Occidente.
    Gli ideologi sessuali dell’Occidente oggi continuano fedelmente a portare avanti l’ideale comunista della società senza Dio. Si tratta di una rivoluzione culturale continua e paziente, inesorabile, che si concentra sull’istruzione, sui media e sulla cultura popolare.
    Tuttavia, rimane comunista: cerca ancora di distruggere l’ordine naturale ridefinendo la natura umana; continua ad annullare le strutture sociali basate sulla famiglia e sulle norme morali della legge naturale; i diritti dei genitori come educatori primari dei loro figli sono minati e attaccati; l’innocenza dei bambini è sistematicamente distrutta nelle scuole da un indottrinamento sessuale che mira a rompere la loro riserva naturale attraverso la volgarità e la promozione di pratiche immorali, soprattutto l’omosessualità.

    L’odierno “politically correct” può essere ricondotto alla Scuola di Francoforte. Il suo obiettivo era quello di conformare tutto il linguaggio, i pensieri e i comportamenti ai principi del marxismo culturale, creando un nuovo codice morale che etichettasse qualsiasi espressione della morale cristiana come “crimine d’odio”.
    Nell’ONU di oggi si tiene poco conto dei suoi documenti fondativi e si promuove invece la visione marxista dell’educazione da parte dello Stato. La lobby del controllo demografico ha assunto un ruolo di primo piano nella definizione dei programmi di educazione sessuale e delle politiche familiari internazionali.

    Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, l’Agenda globale 2030, ad esempio, esercitano una pressione schiacciante sugli Stati membri affinché «garantiscano l’accesso universale ai servizi di assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva, compresi quelli per la pianificazione familiare, l’informazione e l’educazione, e l’integrazione della salute riproduttiva nelle strategie e nei programmi nazionali» (Obiettivo 3.7).

    Ciò significa accesso universale alla contraccezione, all’aborto, alla promozione dell’omosessualità e all’indottrinamento dei bambini nelle scuole – in altre parole, la distruzione istituzionalizzata della famiglia.

    L’Occidente non è i suoi leader né i valori liberali che essi proclamano. Il vero Occidente è la cristianità, la fede e la cultura plasmate dagli insegnamenti della Chiesa cattolica, dei suoi santi e martiri. Attualmente, questo Occidente sembra essere stato cancellato, ma è stato solo eclissato. Dietro le ombre, il sole rimane.
    Il mondo secolarizzato, che oggi avvolge sia l’Occidente che l’Oriente, dice di volere la pace ma dimentica di aver dichiarato guerra a Dio sfidando le leggi che Egli ha scritto nel cuore dell’uomo. I messaggi di Fatima e della Regina della Pace di Medjiugorje ci ricordano che non ci sarà pace se prima non ci sarà la conversione.

    • Caro Paolo, i Francofortesi rappresentano una scuola che si situa in altro ambito culturale. Però studiosi dichiaratamente cattolici la hanno approfondita. Rocco Buttiglione, ad esempio, nel suo testo Dialettica e nostalgia. Analogamente a quanto avvenuto per Popper, non possiamo chiedere loro di far proprio integralmente il nostro orizzonte, ma possiamo notare come anche in altre tradizioni vi siano delle crepe. Ed è in queste crepe che dobbiamo inserirci.

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