L’opposizione polare tra due immagini racchiude altrettanti modelli di insegnamento che, a loro volta, si riverberano nella società. Schematizzando, potrei dire che esiste l’insegnante-freccia ed il professore-panorama. Naturalmente queste non sono due tipologie statiche: ogni docente può essere freccia per alcuni aspetti e panorama per altri. La freccia è per natura sua deittica e direttiva indicando una sola via per andare da un punto A ad un punto B. Lo stesso tragitto, costellato di indicazioni univoche risulta chiuso e precostituito.
Fuor di metafora, per i momenti freccia di ogni docente, il manuale rappresenta una sorta di tavola della legge che acriticamente va ripetuto, senza mai ardire il confronto con ulteriori possibili letture. Assai difforme è la natura del panorama: variegato e dilatato, frastagliato ed aperto, muta indefinitamente anche se attinto da osservatori collocati nella stessa posizione. La presenza o l’assenza della luce, il cielo sereno o velato, ma pure lo stato d’animo di chi guarda, possono fare la differenza.
Il panorama non è l’elogio del vago, ma la risposta duttile ad una società che ogni giorno si fa più eterea, e quindi, meno legibile con un’unica lente in modo monocorde. Spesso ideologico, l’insegnante-freccia può generare uno studente ideologizzato, capace sì di parlare di democrazia, di spirito critico, di confronto, solo però astrattamente perché, anche dalla cattedra, ha udito unicamente prediche (non necessariamente religiose).
Il professore-panorama non è colui che, nel mito di un’impossibile neutralità offre spazio a tutte le posizioni, bilanciando i minuti dedicati alle varie correnti culturali oltre che alle loro possibili ermeneutiche. Come tale la mera neutralità non esiste, se non in un positivistico culto del fatto, trasceso da molto tempo. Ciascuno di noi è portatore di un punto di vista che non va celato, ma esplicitato quando necessario. Proprio partendo dalla sua appartenenza, che talora può essere anche marcata, però l’insegnante-panorama non la impone, limitandosi a proporla come possibile chiave di lettura. Un simile maestro cerca, nei casi più fortunati, di essere libero persino dalla propria visione del mondo trasmettendone anche le manchevolezze.
Sono stato per lunghi anni docente di Religione Cattolica, inviato dalla comunità diocesana romana nella scuola per insegnare non private opinioni, ma la visione culturale di quella ecclesia sull’arte, il pensiero, la storia, la letteratura, la vita. Ho sempre cercato di testimoniarla, mai di imporla. Sono naturalmente stato rispettoso della laicità, propria del ambiente scolastico, ma in forme consone ho proposto quel supplemento di pensiero che ci ha plasmati e che tutti, credenti e non, siamo chiamati a conoscere e a riconoscere. Ora che un concorso statale mi ha posto su una cattedra di filosofia e storia tento di far accedere gli studenti agli sconfinati panorami del pensiero, all’errare in tempi che uomini diversi hanno abitato con le loro credenze e i loro valori.
Non mi iscrivo alla curva che grida “Socrate uno di noi”: Socrate, Platone, aristotele abitavano un mondo profondamente altro,ma proprio per questo possono avvincerci. Prendere un binocolo, montare le loro lenti, e cercare di guardare quel mondo con i loro occhi è la più straordinaria esperienza di libertà che un docente possa donare ad un allievo. Un’esperienza imersiva, cui però non servono gli occhiali di Google, può bastare un passo dell’Apologia anche letto su un ingiallito libro cartaceo, purché lo si interpreti alla luce delle categorie che lo hanno visto sorgere.
Un’ermeneutica che vale anche per la storia: mentre ogni azione pare inesorabilmente appiattita non dirò sul presente, ma sulla fugacità dell’attimo, questa disciplina, conducendoci in un atmosfera rarefatta, ci ridona il respiro. Qui illusioni della pace perpetua e battaglie sanguinose e cruente, rivoluzioni e riflussi, società utopicamente pensate, e concreti (pur se talora illusori) progetti politici ci hanno condotti consapevolmente ad essere ciò che oggi siamo. Plurali, meticci, diversi, ma non giustapposti e confusi se criticamente consci di essere diversità, pluralismo, meticciato.
Abissale, da questo punto di vista resta l’espressione agostiniana ”io non conosco tutto ciò che sono”. Un’esperienza, quella della storia, che ha il coraggio di confrontarsi anche con argomenti divisivi. Si tratta spesso di riproposizioni interessate di eventi utili più al famelico oggi della polemica politica spicciola, che ad una ricerca pacata e seria. Ed anche qui l’insegnante-freccia ed il professore-panorama hanno atteggiamenti diversi. Così, solo per fare un esempio, se il primo si limita, giustamente a indicare i valori della resistenza, è il secondo a porre una domanda cruciale: ma perché mai in quei drammatici giorni non pochi giovani scelsero la Repubblica di Salò?
Comprendere, cioè letteralmente prendere con noi le ragioni anche di quei giovani, non significa accoglierle, ma conoscerle, in quel distacco critico di cui la ricerca storica, perennemente avvinta al revisionismo, deve necessariamente inverarsi, se vuole restare appunto ricerca. Queste, giova ricordarlo, non sono questioni per soli accademici: alludono invece, all’idea di società che intendiamo costruire, al modo di vivere insieme che prefiguriamo per i prossimi anni, al netto delle incognite insite nel mutamento d’epoca in cui siamo immersi.
L’insegnante-freccia, popperianamente edificherà una società chiusa, in cui le ragioni ed i torti sono nettamente distinti. Apparentemente si sa sempre da che parte stare, ma questo avviene perché il confronto è bandito o ridotto alla sua caricatura. La ricerca del nemico surroga la fatica del ragionamento, della maieutica, della costruzione, sempre periclitante, di opinioni relative ma valide. Il modello di una società chiusa non appartiene naturalmente, salvo pochissime eccezioni, ad un particolare orientamento culturale, ma può contaminarli tutti, perché il virus dell’integrismo alligna in ogni posizione e più esposte sono quelle che se ne credono immuni.
Il professore-panorama, invece, contribuirà a costruire una società aperta: qui non vi sono verità assolute, ma questo non vuol dire che viga la logica del uno vale uno. Ogni asserzione è certo relativa a un modello di riferimento e può essere falsificata, ma resta valida in assenza di soluzioni che meglio pongano o risolvano i problemi in esame. Occorre certo guardarsi da una declinazione ideologicamente manichea anche di questo paradigma in assoluto naturalmente sempre possibile, ma occorre cautelarsi forse ancor più da chi propone società chiuse, spesso pur parlando, ogni giorno di democrazia e spirito critico, con una postilla non irrilevante: democratici, ragionevoli, capaci di spirito critico siamo solo noi.
Da vecchia ex prof di liceo, non posso far altro che dire grazie a un giovane collega che ha il coraggio di dire ciò ciò che ho appena letto. Ci vuole coraggio e umiltà ad essere docente panorama e anche fatica , ma è l’unico modo di essere maestri oltre che prof. Grazie, Alessio: sempre così…..