Indicazioni teologico-pastorali per la Pastorale delle Persone con omo-affettività e Persone con difficoltà di identità di genere

Nell’affrontare queste poche indicazioni esplicative è opportuno fare una utile premessa su un termine oggidì guardato con un certo sospetto: il concetto di tradizione. Occorre ricordare che ogni Pastorale della Chiesa e nella Chiesa è legata strettamente ad una chiarezza antropologica e teologica che le viene dal Santo Vangelo e, più ancora, dalla Tradizione. È infatti la Tradizione che fonda nella Sua essenza la Scrittura, legittimamente la interpreta e doverosamente la custodisce. La Scrittura è Traditio sedimentata, viva e vivificante (Dei Verbum, 8). Dunque la Tradizione non è qualcosa di vetusto, di arcaico e di nostalgico, funzionale a solleticare le vanità memoriali, ma è essenza viva, nello Spirito Santo, del mandato efficace che il Verbo con la Sua Incarnazione e con la Sua Passione, Morte e Resurrezione ha dato alla Chiesa.

Lo sforzo che ha la Chiesa di incarnarsi nello Spirito Santo, in ogni tempo, e di vivere il mistero del Triduo Pasquale, Giovedì santo, Venerdì Santo, Sabato Santo e Domenica di Pasqua è il ritmo, il respiro, l’anelito, il comando, la compagnia e la possibilità che la Chiesa ha nel tempo. Ed è slancio di tutti, sebbene con ruoli diversi benché paritetici in dignità. Ricorda la Lumen gentium: “Tutta la Chiesa, forte di tutti i suoi membri, compie con maggiore efficacia la sua missione per la vita del mondo” [1].

Non è lecito in alcun modo mancare di fedeltà a Dio che è fedele, pena l’infecondità e il ladrocinio tipico dell’apostolo di Keriot che, stando nel collegio apostolico, ha coltivato carsicamente ideologie proprie che lo hanno strutturato verso l’epilogo finale, in una sorta di impermeabilità alla Misericordia.

Affronteremo per punti e sintesi argomenti che meritano ben altro respiro ma che qui, inevitabilmente, vengono affrontati per brevi accenni di riflessione.

I. NON ESISTONO CRISTIANI LGBTQ+ MA PERSONE

Se desideriamo veramente servire i fratelli e le sorelle non sarà senza prezzo lo sforzo di modificare anzitutto linguaggi e terminologie che creano uno sguardo e una mens dinsinclusiva. Un primo modo comune da rettificare e che viene usato, per comodità (psichica e sociologica) per identificare una determinata realtà è quella di “ghettizzare” e “circoscrivere” tale realtà.

Cominciamo col dire che non esistono Cristiani LGBTQ+ ma Persone (ed è qui il punto) che sperimentano, in forma più o meno radicata ed intensa, una spinta omo-affettiva oppure vivono difficoltà, anche drammatiche, di auto-riconoscimento del loro essere sessuato “anatomico” e “biologico”. Chiamare tali Persone come “Cristiani LGBTQ+” o “Cattolici LGBTQ+” capitola in una forma pietistica di ghettizzazione che ottiene il contrario dell’inclusione, di cui, piuttosto, tutti abbiamo veramente bisogno. E tutti ne abbiamo bisogno in forma bi-univoca. Perché anche chi include viene a sua volta incluso in una relazione significativa. Affermare “cattolici LGBTQ+” esclude questi fratelli e sorelle limitandoli in una categoria “protetta” che ne potrebbe alimentare alcune derive socialmente pessime (e spiritualmente sclerocardiche) quali il vittimismo, il sentirsi perseguitati oltre il reale, racchiudersi in comportamenti e modi “lobbistici”. Pertanto se amiamo questi fratelli e queste sorelle, questi uomini e queste donne, queste Persone, non è assolutamente Bene rafforzare modalità e parole disinclusive. Ci danneggia tutti. Sono tra noi e, come noi, con una dignità partecipata del Divino immarcescibile e incalpestabile e, come noi, chiamate alla Santità e alla conversione.

Varrebbe dunque la pena di purificare il linguaggio da quelle che potremmo considerare mode tipiche del mondo, mode ripiegate su ideologie soggettivistiche che rafforzano il “culto del sé” per usare, invece, una concezione della persona consona alla millenaria tradizione della Chiesa e largamente condivisa. Si eviterà di cadere in una involontaria offesa alla Dignità Personale di questi fratelli e sorelle. “Accompagnare, discernere ed integrare”[2] si riassume bene in unico atteggiamento che è l’Inclusione evangelicamente colta ed assaporata. E, nel farlo, può essere utile pensare che non occorre costruire “ponti” ma piuttosto abbattere dei muri. Muri che non hanno nulla a che vedere con il Santo Vangelo e nulla a che vedere con una morale naturale, preambolo alla libertà del Vangelo. Una Persona è una Persona ed ogni Battezzato è carne di Cristo di cui è bene coltivare e custodire la reciproca appartenenza e il sacrario della coscienza profonda.

Appartenenza e custodia sono una grave responsabilità non invasiva, colma di profondo rispetto e tuttavia reale con cui comprendere che la coscienza di ogni Persona è in formazione permanente e in purificazione permanente, come vedremo tra breve. Qualcuno potrebbe obiettare: “Usiamo questo linguaggio per parlare come loro”. Lo sforzo di avvicinarsi anche nel linguaggio è indice di buona intenzione e di sollecitudine ma il rischio è l’“impantanamento” e la non “incarnazione” che sono alla base di pessima pastorale. Certamente, come Gesù, siamo chiamati ad adattarci al linguaggio dell’interlocutore ma affinché scopra la Sua Dignità Personale e non perché venga confermato nelle deformazioni a cui ha aderito e la Sapienza sta anzitutto nel comprendere che non c’è affatto un “noi” e “loro” ma c’è un “noi” in cui tutti siamo grati e chiamati a crescere, come discepoli di colui che è “Via, Verità e Vita” (Giov. 14,6).

Detto per inciso, dietro “l’impantanamento” potrebbe celarsi quella forma sottile di clericalismo che è vanità.

Vanità di sentirsi migliori, vanità di sentirsi avari possessori di un messaggio piuttosto che “servi inutili” (Lc. 7,10).

II. NON ESISTONO LIMITI CIRCOSCRITTI ALLA SANTITÀ

La santità è un dovere battesimale e per certi versi, a mo’ di præambulum, un dovere antropologico. In quanto creature fatte ad Immagine e Somiglianza di Dio siamo chiamati ed abilitati ad essere santi. Ora, e questo è un punto decisivo, Dio ama ed accoglie certamente tutti, anzi, ciascuno, così come siamo. Ma proprio perché ci ama infinitamente non vuole lasciarci lì dove siamo. E ciascuno ha un mirabile ed unico cammino, un ineludibile percorso che è legato strettamente al Noi trinitario e al Noi della Chiesa.

La Chiesa, dunque, non può che accogliere ogni uomo e ogni donna, dovunque egli sia, ma, se fedele e non immanentizzata, nel rispetto dell’Incarnazione, di ciò che essa è e della sua missione (Mt. 28,18-20), lo ama dell’amore di Cristo perché la Persona inizi un cammino che la porti oltre, al largo (Duc in altum, Lc. 5,4).

La Chiesa dunque è un “facilitatore” della Grazia, un “facilitatore della Santità”. E la santità è per ciascuno a beneficio di tutti. Ogni fratello e sorella non accolto o accolto male senza sostenere il suo unico e personale cammino di santità è un riverbero dannoso e grave che la Chiesa compie a sé stessa. La Chiesa che non accoglie o accoglie male, con superficialità e approssimazione, ogni Battezzato, tradisce la Grazia del suo Stato e del suo Mandato.

È bene ricordare che l’impedimento alla Grazia, che desidera far fruttificare il nostro unico e personalissimo talento, verso la santità, non è dato solo da chi si arrocca su “rigidismi” morali, armeggiati come una clava, ma anche da chi nega che l’incontro con Cristo non comporti un cambio di vita. Incarnazione comporta un et-et non un aut-aut; comporta discesa e trascendenza insieme, ineludibilmente unite. Proprio perché Dio ti ama scende lì dove tu sei per portarti oltre e compierti. La stima che Dio ha su di te è così grande e inenarrabile che ogni pastorale che non accolga o che accolga male non promuovendo a conversione e trascendenza, occultando l’esigenza del Vangelo, la penitenza e la maturazione nella donazione di sé, è un’offesa grave a Dio e alla Persona.

Quando il Signore incontra la donna sorpresa in flagrante adulterio, un peccato evidente, addirittura pubblico, non la condanna ma, nel contempo, non la esorta a continuare nell’essere adultera, per questo le dice: “Va’ e non peccare più!”[3] (Giov. 8,1-11).

Dio chiede ciò che dona e in quel momento, carico di accoglienza, Dio pone una richiesta sapendo che la richiesta porterà alla libertà e nel contempo ad una compagnia concreta di Dio stesso verso e con la donna. La donna non aveva chiesto nulla a Cristo ma è evidente il suo stato oggettivo di umiliazione e di pentimento, e lì Dio interviene generando nella Grazia, una vita rinnovata.

Occorre dunque stare severamente attenti a non essere mossi dalle mode del politicamente corretto diventando incapaci di credere veramente che Dio trasforma in ciò che chiede. Si scoprirebbe così che la mancanza di fede non è solo dei “rigidi” ma, paradossalmente, di chi pensa di leggere ed interpretare il Vangelo alla luce del “progresso” o del “cambio di paradigmi”. È così che chi gode e alimenta le divisioni[4] ha portato a compimento, tra le fazioni ideologiche, il suo progetto di denigrazione dell’uomo, della Persona. È assai grande l’illusione che un cambio di paradigmi possa sanare il vuoto e l’angoscia del cuore dell’uomo. Le ideologie forniscono questa obnubilante patinatura di rispondere ingannando al mistero del cuore dell’uomo. D’altronde il nemico non invita ad un cambio di paradigma proprio in Gen. 3?

Il vuoto e il mistero del cuore dell’uomo non si sazia con le pecette di alcune regole rigide o con il cambio di paradigmi, il cuore dell’uomo si sazia con quella Parola potente e trasformante, carica di stima e di compagnia che è: “Va’, e non peccare più!” (Giov. 8,11).

III. LA CHIESA VEICOLO, FACILITATRICE E CUSTODE DELLA GRAZIA

Come accennavamo la Chiesa è chiamata ad essere un facilitatore della Grazia. Questa dimensione vocazionale si svolge in una modalità tale che non impedisce l’incessante chiamata alla Vita che Dio fa ad ogni creatura e, nel contempo, non ne ostacola l’azione trasfigurante assecondando scelte e comportamenti che impediscono alla Grazia stessa di portare veramente frutto nell’itinerario personale di ogni uomo e di ogni donna.

La Grazia, anzitutto, si innesta nel “desiderio desiderato” di Cristo[5]. È Cristo che ha amato tanto il mondo da dare la vita eterna per ogni Persona. Immergerci in questo sentimento/pensiero/desiderio di Cristo è dunque fondamentale. E per conoscere tale desiderio occorre farsi infiammare ed educare da questo desiderio specie nella Santa Messa e nell’adorazione Eucaristica. Quello è il luogo degli amanti che imparano ad amare nell’Amore. Lì i discepoli si innestano nei “criteria” di Dio, “orandum est ut Desiderium desideretur[6].

Noi non immaginiamo neanche lontanamente quale tesoro e quale fiume di Bene sia presente dietro ogni Persona che è appunto un Bene-detto da Dio, una Benedizione. Tuttavia a causa del peccato, peccato d’origine e personale, la Persona si può ingannare in sé stessa e nelle relazioni, pervertendole e, per tale motivo, la Chiesa non può ingannare ulteriormente e dire Bene di qualcosa che è contrario al Bene della Creatura. La Chiesa non può Benedire ciò che è male e ciò che è disordinato ma è chiamata a facilitare il lavorio costante della Grazia affinché ciò che è male sia cessato, il male compiuto venga ordinato ad un Bene e la Persona inizi ad essere tale e riverberare tutto il tesoro che porta dentro a Beneficio del Corpo che è la Chiesa e dell’umanità. E la Santità, lo potrei testimoniare con decine di esempi, si può svelare in Persone che davamo per perse e (per noi) “confermate” nel male.

Dio è meravigliosamente stupefacente e solo Lui conosce il cuore dell’uomo (Sl. 64,7).

E come dobbiamo stare attenti a non mortificare Dio che parla nel cuore dell’uomo e della donna (Dei Verbum, 2) così dobbiamo stare severamente attenti a non ingannare le Persone, i fratelli e le sorelle per cui Cristo è morto e Risorto chiamando bene ciò che è male, specialmente invertendo il “principio di gradualità” nella “gradualità del principio”[7].

Questa seconda e drammatica modalità è per noi più facile perché accondiscendente alla concupiscenza di cui tutti siamo feriti. Tuttavia, sarebbe assai disonesto chiamare onesto ciò che non lo è e si agirebbe come “la persona alla maniera della non-persona”[8], conducendo la Persona che ci è donata verso ciò che la disordina e la abbrutisce solo per compiacere i desideri liminali e le confusioni affettive.

L’affermazione, ora abusata, di “bene possibile”, come già accennato in altra sede[9] si può prestare a gravi fraintendimenti in ordine alla Grazia e al cammino morale. Anzitutto il Bene è il solo possibile proprio perché è Bene presente, donato e richiesto. Citando San Tommaso:

“Respondeo dicendum quod Deus omnia existentia amat. Nam omnia existentia, inquantum sunt, bona sunt, ipsum enim esse cuiuslibet rei quoddam bonum est, et similiter quaelibet perfectio ipsius. Ostensum est autem supra quod voluntas Dei est causa omnium rerum et sic oportet quod intantum habeat aliquid esse, aut quodcumque bonum, inquantum est volitum a Deo. Cuilibet igitur existenti Deus vult aliquod bonum. Unde, cum amare nil aliud sit quam velle bonum alicui, manifestum est quod Deus omnia quae sunt, amat. Non tamen eo modo sicut nos. Quia enim voluntas nostra non est causa bonitatis rerum, sed ab ea movetur sicut ab obiecto, amor noster, quo bonum alicui volumus, non est causa bonitatis ipsius, sed e converso bonitas eius, vel vera vel aestimata, provocat amorem, quo ei volumus et bonum conservari quod habet, et addi quod non habet, et ad hoc operamur. Sed amor Dei est infundens et creans bonitatem in rebus.

Rispondo per dire che Dio ama tutti gli esseri esistenti, perché tutto ciò che esiste in quan­to esiste è buono; infatti l’essere di ciascuna cosa è un bene, come è un bene del resto ogni perfezione. Ora la volontà di Dio è causa di tutte le cose e per conseguenza ogni en­te ha tanto di essere e di bene nella misura in cui è oggetto della volontà di Dio. Dunque a ogni essere esistente Dio vuole bene. Per­ciò, siccome amare vuol dire volere a uno del bene, è evidente che Dio ama tutte le co­se esistenti. Dio, però, non ama come noi. La nostra volontà infatti non causa il bene che si trova nelle cose, al contrario è mossa da esso come dal proprio oggetto. Quindi il nostro amore, col quale vogliamo del bene a qualcuno, non è causa della bontà di costui, ma anzi la di lui bontà, vera o supposta, pro­voca l’amore il quale ci spinge a volere che gli sia mantenuto il bene che possiede e ac­quisti quello che non ha, e ci adoperiamo a tale scopo. L’amore di Dio invece infonde e crea la bontà nelle cose” [10].

Proprio perché il Bene è presente, sia in predisposizione ontologica sia in caparra, in Grazia santificante, ove non persa, e in Grazia attuale, come costante chinarsi di Dio nella storia di ciascuno, ci rende possibile di compiere il Bene. Il Bene presente consente di compiere il Bene. Tanto più in coloro che hanno ricevuto il dono del Battesimo.

San Paolo parla appunto di “debito nello Spirito”, come un Bene che ci spinge dal di dentro a compiere il Bene, anche in situazioni umanamente impossibili (Rm. 8,1ss). Era questo il senso autentico di “Bene ora possibile” anticipato da Benedetto XVI in un famoso discorso:

“Perciò anche nel nostro tempo educare al bene è possibile, è una passione che dobbiamo portare nel cuore, è un’impresa comune alla quale ciascuno è chiamato a recare il proprio contributo.”[11]

Ora, se il Bene è presente, quello che invece è possibile, drammaticamente possibile, è la perversione del Bene o la privazione del medesimo Bene, inclinandolo al disordine e al culto di sé.

Ad essere fedeli, poi, alla sintesi di Boezio la persona è “sostanza individuale di natura razionale”[12], ed occorre chiarire che la “natura razionale” non è solo la capacità cognitiva, ma anzitutto la capacità relazionale. Si evidenzia quindi che benché il male non tocchi l’essenza ontologica della Persona tuttavia la obnubila e la ferisce proprio nella sua capacità relazionale. Sia nella relazione ad-intra, con sé stessa e nella percezione di sé, sia nella relazione con Dio, sia nelle relazioni con i suoi fratelli e le sue sorelle.

Pertanto la Personalizzazione piena si ha proprio nella qualità delle sue relazioni. Più queste sono ordinate verso una natura, una finalità umana ed umanizzante, secondo il pensiero di Cristo, più rendono la Persona una Persona. L’incessante provvidente Grazia attuale è un costante aiuto che Dio pone verso il Bene che la creatura è.

Per tale motivo, per custodire il Bene, volere il Bene e compiere il Bene, la Chiesa consiglia a tutti i battezzati la Castità. È consiglio evangelico e battesimale al contempo. Perché attraverso questo dono e mezzo, la Persona si umanizza veicolando le sue potenzialità e bellezze affettive, svelandone i significati di complementarietà e di fecondità. Le scelte morali, affettive e relazionali hanno un significato eterno e lì si misurano perché si schiuda l’essenza della Persona.

Le Persone con omo-affettività, dunque sono accolte come ogni Persona ma, come ogni Persona, sono chiamate ad un cammino e a passare per la “porta stretta” (Lc. 13,24). E guai a dimenticarlo. Ricorda Papa Francesco nella Evangelii Gaudium:

“In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa, la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario. In questo mondo i ministri ordinati e gli altri operatori pastorali possono rendere presente la fragranza della presenza vicina di Gesù ed il suo sguardo personale. La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cfr Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana.

Benché suoni ovvio, l’accompagnamento spirituale deve condurre sempre più verso Dio, in cui possiamo raggiungere la vera libertà. Alcuni si credono liberi quando camminano in disparte dal Signore, senza accorgersi che rimangono esistenzialmente orfani, senza un riparo, senza una dimora dove fare sempre ritorno. Cessano di essere pellegrini e si trasformano in erranti, che ruotano sempre intorno a sé stessi senza arrivare da nessuna parte. L’accompagnamento sarebbe controproducente se diventasse una specie di terapia che rafforzi questa chiusura delle persone nella loro immanenza e cessi di essere un pellegrinaggio con Cristo verso il Padre.”[13]

IV. ANCHE I DESIDERI LIMINALI INGANNANO IL CUORE ED ANCHE LA PERCEZIONE DI SÉ PUÒ ALLONTANARE DAL SÉ

La Chiesa, alla Luce del Suo Signore, che parla ed istruisce alla Luce dello Spirito, è chiamata sia a promuovere il discernimento, specie in ordine ai moti del cuore, sia alla percezione del sé.

In un’epoca che ha commutato il percepito come reale ed ha “convinto” al soggettivo come oggettivo[14], c’è solo una risposta, scomoda, ma autentica e foriera di Bene Comune: porre la Persona davanti all’Amore incondizionato, misericordioso e nel contempo esigente di Cristo.

E Cristo chiede donando, al contempo, la Vita nuova, pur nel principio della gradualità. Ora, senza alcun dubbio, educa al discernimento e all’obbedienza feconda nella Fede solo chi vive di questo discernimento e di questa obbedienza, con tutta la sua pochezza. Anzi la pochezza, proprio se sostenuta dalla chiarezza[15], è foriera di percorsi virtuosi e di cambiamenti di vita gioiosi. Si diventa testimoni, Persone salvate che veicolano la Salvezza di Cristo. Si smette di essere iperuranici bigotti o, si passi il termine, piacioni a caccia di consensi. Due figure ed atteggiamenti che solo in apparenza sono in antitesi ma che scaturiscono dalla medesima radice ego-narciso-centrata e, purtroppo, senza fede e senza lume della logica e dell’Intelletto.

Se invece ci riconosciamo poveri ma costantemente salvati, debitori e non proprietari, in perenne restituzione e nella Chiarezza di ciò che Dio chiede e dona, dona e chiede, allora sì che “Lazzaro” realmente viene fuori e partecipa della potenza del Risorto. Sia chi aiuta che chi è aiutato viene immerso in un bagno di Grazia, immeritata Grazia. Dio non teme ogni nostra miseria e non si scandalizza del cattivo odore emanato dal nostro stato, qualunque esso sia.

Se invece ci si irrigidisce o specularmente si vuol piacere a tutti i costi, il pastore, la guida, può finire per impantanarsi con colui che è già nelle sabbie mobili del disordine aumentando la voragine del nulla nel fratello e nella sorella. Appare inutile (e fedifrago) dire che siamo “fratelli tutti” se il fratello, pastore e guida, ci conferma in ciò che non è Bene. Costui non è un pastore ma un manipolatore, un opportunista seduttore che ha già venduto sé e il fratello al nemico dell’uomo e di Dio, o che, nella migliore delle ipotesi, vive una grave ipocrisia bipolare. E, sia ben chiaro, questa ipocrisia è forma raffinatissima e mutata di clericalismo.

Sarebbe assai grave se il pastore o la guida rinforzasse scelte auto-validanti, confermanti il ripiegamento soggettivistico della Persona.

Tornando a quanto dicevamo della Resurrezione dell’amico Lazzaro, Cristo non teme né la corruzione né il cattivo odore del nostro essere avvoltolati e auto-confermati nel fango; tuttavia occorre stare severamente attenti che a furia di affermare che “Non ci sono situazioni, non ci sono peccati, non c’è corruzione nella quale siamo rinchiusi che siano impenetrabili alla grazia” [16] si rischia di affermare che non ci sono più né situazioni mortali, né peccato, né corruzione. Questo sì che calpesterebbe ogni azione soteriologica di Cristo e ci impedirebbe la trasformazione nella Grazia, perché il peccato sarebbe normalizzato come costituente la nostra essenza e la nostra dignità. E questo è un modo raffinato per affermare che Dio è un bugiardo e ci inganna [17] negando l’empietà.

Da ricordare che l’empietà è il modo patinatissimo che abbiamo, in quanto credenti, per chiamare bene il male. E questo è un habitus terribile ed ingannatorio che ci rende anestetizzati ai richiami trascendenti della Grazia.  

Nella vita affettiva disordinata, ad esempio nell’adulterio o nella pornografia, l’esperienza tende a confermare sé stessa in quel principio auto-validante della percezione liminale. E questa auto-validazione dissocia il sé dal sé e crea un habitus dissociativo sempre più deformato e deformante. Questo è uno degli effetti dell’empietà.

Simil cosa avviene per l’omo-sessualità esercitata.

Infine sulla grave parcellizzazione degli equilibrati suggerimenti del Catechismo, presi in modalità aut-aut oppure in parte celati nella pastorale, ne parleremo più avanti.

Un punto decisivo è la vita fraterna. A salvaguardia della Grazia che dona misericordia e chiede-donando la vita nuova, è opportuno che chi opera in “pastorali complesse” non sia mai lasciato solo ma che abbia una solida vita fraterna, specie tra sacerdoti e tra i sacerdoti e il loro Vescovo. È poi indispensabile che abbia alle sue spalle una solida vita di preghiera e un fiume di consacrati che pregano per il suo apostolato.

È necessario quindi che siano messe in prima linea persone evangelicamente equilibrate, che non siano portatrici di difficoltà affettive non integrate che spesso si manifestano in atteggiamenti mondani, clericali, di mondanità spirituale, freak, bohémienne. Anche il sacerdote che faccia esclusivamente vita di comunità con fratelli e sorelle fragili nella dimensione affettiva correrebbe dei rischi.

È pertanto compito del Vescovo discernere con attenzione il candidato che meglio possa fare il bene di questi fratelli e sorelle, avendo davanti agli occhi l’amore e la comunione fraterna verso i suoi preti.

V. IL SÉ È FATTO PER DIO E SENZA DIO CERCA SURROGATI

Non è dunque sano disgiungere la dimensione affettiva da quella relazionale. La bontà dell’una è la bontà dell’altra. Qui entra in gioco il consiglio evangelico, complesso e prezioso, della castità. Cosa significa mancare verso la castità?

È un concetto facilmente spiegabile con un’iperbole: se, per paradosso, non si cadesse nell’uso disordinato della sessualità ma, nel contempo, ci si comportasse da manipolatori, ipocriti, opportunisti, si mancherebbe allo stesso modo, gravemente, verso la castità. Ciò accade quando il sé smette di cercare le radici della sua felicità e si ripiega in un solipsismo che, come ogni spinta ego-narciso-centrata, tende a fondar-si su sé stessa non operando mai quel percorso di trascendenza insito nel suo essere Persona.

La Persona che vive una spinta omo-affettiva, più o meno radicata, innegabilmente non cerca l’altro da sé per essere e per compiersi nel Bene ma cerca l’uguale (omo) per non uscire mai da sé. La castità, pertanto, può essere proposta come quel dono che veicola l’uscita da sé per il Bene rispettoso dell’altro. L’altro non è una cosa, un mezzo per raggiungere l’espressione di una pulsione ma è appunto un altro, un Bene in sé da rispettare “togliendoci i calzari ai piedi” (Es. 3,5).

E alla luce di quanto detto si può arrivare a comprendere che una Persona con una tensione omo-affettiva che vive in castità (pur con duro combattimento nella Grazia[18]) è più orientata alla santità di una Persona che ha dimenticato l’altro e lo cosifica nell’immaginario o nelle relazioni ordinarie e quotidiane. La spinta affettivo-sessuale non è garanzia di Bene se non rispetta i canoni dell’alterità e dell’incontro con l’altro di una Persona in quanto tale. Abbiamo detto “affettivo-sessuale” e non “etero-affettiva” perché per ontologia del Bene presente la dimensione etero-affettiva è la dimensione affettivo-sessuale[19]. La tensione omo-affettiva si pone, quindi, già come un disordine di ciò che l’affettività e la sessualità sono, pur non costituendo una colpa ma, anzi, per paradosso, alla luce della luce dell’annuncio del Vangelo[20], come un’opportunità, un canale di possibile virtuosità casta sperimentabile alla Luce della Fede e ponendo la Persona con omo-affettività in un posto privilegiato di compimento di sé nonostante la ferita.

VI. L’OMOFOBIA E LA TRANSFOBIA SONO NEO-LINGUAGGIO CREATO ALLO SCOPO DI ALIMENTARE IL PREGIUDIZIO

A volte ci sono dei termini sintetici che aiutano a sistematizzare un pensiero, anche complesso, per aiutarci nella comprensione della realtà. A volte sono intuitivi, altre volte vengono costruiti a tavolino ma con basi antropologiche fondate, altre volte ancora vengono creati ad-hoc con scopi di marketing ideologico. Purtroppo, sia il termine omofobia che il termine transfobia cadono tra quest’ultimi e sono un pessimo servizio antropologico specialmente per le Persone con omo-affettività o con difficoltà di identità di genere.

Il creare tali termini ha una funzione catalizzatrice del costante bisogno, individuale e collettivo, di “identità”. Sentirsi parte di una categoria particolare o proteggibile, rafforza il culto di sé e alimenta il consenso. E tale “rinforzo sociale” diventa per alcuni una vera e propria “febbre”. Febbre che, come ogni stato alterato di coscienza, personale o collettiva, crea un obnubilamento della ragione e della ragionevolezza.

Il termine “Omofobia” è stato coniato dallo psicologo George Weinberg negli anni ‘60. Il significato che si attribuisce correntemente a questo neologismo indica la paura o il disgusto nei confronti delle persone con omo-affettività. Non va dimenticato che l’introduzione di questo termine aveva il fine di sostenere una ideologia e normalizzare l’omosessualità.

Se dovessimo sostenere il significato di paura (razionale o irrazionale) del sesso uguale probabilmente potrebbe essere fobia propria di molte Persone con omo-affettività. Infatti tale paura, a differenza della omofobia-interiorizzata (teorizzata dalle correnti omo-file), che invece tratta la “paura” culturalmente radicata ed inconscia dell’omosessualità sia nelle Persone con omo-affettività sia nelle Persone con affettività “naturale” (cioè ordinata ai fini della sessualità, comunione e procreazione), l’omo-fobia potrebbe essere tranquillamente definita come la consapevolezza profonda che qualcosa dentro di sé è “rotto” e non funziona. Questa paura, propria della Persona con omo-affettività viene associata, per motivi profondi, alla “colpa”, creando così il “senso di colpa”. Occorre constatare, tuttavia, che la tensione omo-affettiva non è, in sé, una colpa né una deminutio della dignità della Persona.

Ed in tal senso, il vero omofobo, è la Persona con omo-affettività e non certo per pressione culturale (omofobia-interiorizzata) ma per intima e profonda consapevolezza in ordine al significato radicato ed ontologico della sessualità a cui si risponde in maniera inadeguata con una indebita simmetria, tensione omo-affettiva = colpa. Questa percezione profonda muove a reazioni inadeguate sia a livello personale che collettivo, sia nella creazione di “normalizzazioni” irragionevoli, sia in battaglie di tipo legislativo e culturale. E, in tal senso, tutte le correnti omo-file sono profondamente omofobiche per reazione profonda ad un disagio che vogliono negare dentro di sé.

Anzi tali correnti, sostenute da un grande battage comunicativo e legale (e non potrebbe essere altrimenti per salvaguardare un sé ferito), spingono per sostenere questo sguardo omeostatico. La vera omofobia è proprio presente qui, in queste correnti, in queste lobby organizzate, in queste parate di “orgoglio gay” che, purtroppo, non fanno in alcun modo il bene delle Persone con omo-affettività e delle Persone con difficoltà di identità di genere. E i cristiani hanno il dovere di dirlo con amore e rispetto, ma con chiarezza, e tenendo alto il volto (Gen. 4,6-7).

Come dunque definire correttamente l’avversione, in quanto paura razionale o irrazionale dell’omosessualità? Non è bene cercare una risposta sintetica o un termine sintetico davanti ad un problema complesso che tocca l’affettività umana e di ogni Persona. Sarebbe una comoda e terribile semplificazione, che non farebbe il bene di nessuno. C’è inoltre da considerare che esiste una sorta di auto-coscienza sedimentata dell’umanità verso qualcosa che la può danneggiare. Pertanto dietro l’avversione culturale (inestricabile dal dato genetico, relazionale e affettivo) verso l’omo-sessualità non c’è una “omo-fobia” una “paura liminale e sub-liminale” verso le relazioni omosessuali ma una coscienza profonda che l’umanità ha verso comportamenti lesivi al bene primario che è la famiglia, donna-uomo-figli, cellula fondante del nucleo della Persona e della custodia della Persona e modello naturale di Bene Comune. Il desiderio di ri-scrivere un dato culturale svincolandolo dal significato autentico ed antropologico della sessualità è lesivo da chiunque provenga, sia in ambito delle Istituzioni ed autorità civili che dalle Istituzioni ed autorità religiose. È una sorta di concessione ad ideologie sociali che spaccano la Persona dal di dentro ledendo gravemente il Bene Comune. Ciò su cui occorre invece puntare, con decisione e con vera educazione civica, è il rispetto, sempre e comunque, del Principio di Persona e della sua unica caratteristica. I comportamenti rimangono nella sfera non sostanziale ma accidentale, per quanto radicata.

Facciamo un esempio di paradosso: una Persona che vivesse una sessualità “naturale” ma compulsiva sarebbe da considerare un “malato”, proprio in ordine al significato intrinseco della sessualità. Orbene, non avrebbe molto senso che una eventuale aggregazione di persone che vivono una dimensione sessuale compulsiva e depauperante il significato intrinseco della sessualità possa definire chi non vive tale pulsione come sessuofobico. Questo inganno linguistico e logico si ritrova nel termine omofobia.

Resta pacifico, e vale la pena ribadirlo, che chi vive una sessualità “naturale”, non ossessiva e pulsionale, è comunque chiamato a rispettare la Persona che vive una sessualità disordinata in quanto Persona, capace di diritti e di doveri e di un unico e prezioso percorso vocazionale. La Persona è più importante in dignità e sostanza di ogni sua tensione e comportamento.

Come già sottolineato, l’assunzione del termine “omofobia” e del più recente termine “transfobia” (dall’Oxford dictionary del 2013), veicola la ghettizzazione della Persona che vive una determinata tendenza o difficoltà identitaria e non aiuta di certo questi fratelli e queste sorelle. Né aiuta la comunità a vivere corretti principi di accoglienza Personalistica e cristiana.

Pertanto è veramente errato che la comunità cristiana si allinei nell’uso di questi termini perché tradirebbe sia i fratelli e le sorelle che vivono una certa tensione e, nel contempo, rafforzerebbe pressioni ideologiche che di cristiano e di evangelico non hanno nulla: Sarebbe omo-fila volendo non essere omo-fobica.

Ma come siamo arrivati a questo punto?

È noto che siamo giunti a questo grazie a pressioni sociologiche e scarsa formazione antropologica di cui sono venate vaste correnti della psicologia e della sociologia moderna. È noto anche che vi sono state sollecitazioni “politiche” prima sull’APA e poi sull’OMS per derubricare l’omosessualità dall’essere una malattia[21]. Tuttavia l’omo-affettività è e rimane una “condizione particolarmente distonica vocazionalmente” che rimanda oggettivamente ad un disagio per ciò che la sessualità è e per come interessa il bene della Persona. Il sospetto è che alla psicologia ed alla medicina odierna manchino proprio le categorie antropologiche indispensabili ad affrontare il problema del sé, in questa dimensione fondante.

Semplificando, e purtroppo qui non possiamo fare altrimenti, noi sappiamo che tale disordine affettivo, come ogni disordine affettivo, parimenti disastroso nei confronti della Vita in Cristo, è non diagnosticabile alla luce degli elementi della medicina moderna e della psichiatria e che la risposta che possiamo dare, al bene di questi fratelli e di queste sorelle, come credenti, è che si tratta di una conseguenza della ferita di origine.

Tuttavia tale risposta necessita di un cammino personalizzato, unico, attento e carico di rispetto, non affettato e, soprattutto, carico di Speranza nel Risorto che ha vinto la morte, ogni morte[22].

Solo la Speranza, scoperta e fatta germogliare nel cuore può portare a vincere un profondo senso di angoscia e di “distonia vocazionale”.

Ogni Persona, ogni sé, merita tutta l’attenzione e la personalizzazione del proprio cammino. Non si gioca e non si scherza con le dimensioni profonde della vita affettiva, pena l’effetto reattivo dovuto alle negazioni e alla sottolineatura impropria di diritti distonici il ben della Persona e il Bene sociale. Non si può fare a meno di notare che i gruppi di pressione di tipo omo-filo adottano un atteggiamento tipico di chi sta negando la difficoltà antropologica e sessuale e preferiscono dirottare le loro rivendicazioni in battaglie di “diritti”. Ma il terreno dei diritti è un campo talmente ristretto che difficilmente riuscirà a sanare il dolore profondo che vive la Persona con omo-affettività. O al massimo sanerà in forma di parvenza, come distrattore non centrando mai la vera e profonda domanda che la Persona con omo-affettività si porta dentro.

In sintesi potremmo rilevare i passaggi di tale neo-linguaggio:

→ È stata innanzitutto creata una nuova classificazione a sostegno di una ideologia e che impedisca ogni forma di critica, di espressione legittima usando il neo-termine come progresso.

→ Si cerca un appoggio nei Classici greci a sostegno della nobiltà culturale dell’amore omosessuale, come “amore puro”[23].

→ Automaticamente gli oppositori a questi neo-termini sono stati relegati nel campo dei malati o dei soggetti da rieducare o addirittura da perseguire penalmente.

→ In questa cornice di neo-linguaggio, gli interlocutori sono stati ridotti al silenzio: sarà omofobo chi critica le “unioni omo-affettive”, chi condanna “l’utero-in-affitto” e chiunque non sia allineato con tale visione. In sostanza è stata creata una forma patinata di neo-razzismo che è in sé antitetica al concetto di inclusione, se vogliamo parlare di società civile, e di comunità fraterna se ci spostiamo nell’ambito della cristianità.

→ In questa opera di riscrittura del linguaggio sono stati utilizzati tutti i canali di comunicazione, specie quelli immediati e rapidi per ri-educare attraverso la televisione, le pubblicità, le serie TV, inquinando le fonti di informazione (talvolta enciclopediche) online.

→ Si è dunque sostenuto un clima di sentire comune a sostegno normalizzante dell’omo-affettività cosicché chiunque la pensi diversamente si deve trovare al di fuori della “normalità”.

→ In contesto ecclesiale si è sovente commutato i fatti di pederastia efebofila in pedofilia in modo da non entrare in contrasto con il sentire comune (dentro e fuori la Chiesa)[24].

→ Non basta trovare (arbitrariamente) il sostegno dei classici greci per sostenere il neo-linguaggio ma si è cercato di sostenere spiritualmente l’omo-affettività connotando personaggi biblici e fatti biblici in questa chiave.

VII. SUGGERIMENTI PRATICI

Da quanto precedentemente osservato è chiaro che occorre un approccio accoglienterispettoso e personale nella pastorale verso ogni persona che viva una tensione omo-affettiva o che viva difficoltà di identità di genere.

☼ Davanti a tensioni sessuali, piuttosto forti e prepotenti, occorre rispondere con la delicatezza e la chiarezza al contempo. E, proprio sul versante dell’attitudine pedagogica e della formazione chiara a livello affettivo, è evidente che occorre crescere non poco, perché tale et-et pastorale (che include un aut-aut sulla dimensione morale e un cammino di gradualità[25]) necessita di un equilibrio che è dono dello Spirito Santo, accolto, coltivato e custodito. È lo Spirito che guida i processi pastorali e li conduce al porto sicuro della salvezza, non di certo le nostre rigidità e tantomeno i compromessi con le mode e i pensieri del mondo[26].

☼ L’annuncio Kerygmatico e antropologico deve essere maturato non solo con lo studio ma piuttosto con la preghiera, propria e della comunità, per sostenere ogni approccio pastorale delicato che tocca la vita delle Persone.

☼ Atteggiamenti da evitare in ogni modo sono certamente da parte nostra le rigidità ma anche i piacionismi e i concordismi omo-fili, sia a livello biblico, sia a quello antropologico. Consapevoli che l’abilità manipolatoria di spiritualizzare o normalizzare ciò che è male e dannoso è un danno incalcolabile per la Chiesa e per ogni Persona. Solo chi è accolto nella Sua debolezza da Dio e fa veramente esperienza di salvezza e di guarigione può veicolare salvezza e guarigione senza appropriazione e senza manipolazione. Evitando in ogni modo ogni forma di abuso di coscienza.

☼ L’abuso di coscienza, inoltre, non è operato solo da chi vuole forzatamente “riparare”, a furia di brain-storming “esterni” e contenutistici, una ferita ed una tensione omo-affettiva ma anche da chi parte e si muove dal presupposto che la coscienza è fonte di verità e non, piuttosto, luogo di verità. Nel primo caso, considerando la coscienza come fonte di verità, si incarta il soggetto nel sé già ferito producendo un danno di abuso enorme. Nel secondo caso, in chi sa bene che la coscienza è “luogo” di Verità, è consapevole che la coscienza può essere erronea, obnubilata e coperta da un velo di bad-practice che ne genera un habitus che la ingolfa[27]. Tuttavia nella coscienza profonda, luogo di Verità, nel Cuore del Cuore Dio può svelarsi e sanare tutta la vita, il senso, il perché del mistero di contraddizione che, tra l’altro, ciascuno di noi porta come fardello ed opportunità[28]. Noi siamo cristofori e come tali possiamo portare (e dobbiamo portare) Gesù, per ontologia e mandato battesimale, perché Egli stesso emerga nel cuore e nella vita di questi fratelli e di queste sorelle. Proprio perché cristofori siamo chiamati ad intercettare il fondo dell’angoscia che vive l’uomo nella modernità dove l’incrinare della relazione fondante con Dio ha prodotto la morte di ogni speranza.

Eppure l’uomo spera, anela. La modernità ha prodotto un vuoto che attira tutto a sé come un “buco nero” che mai si sazia nella voracità dell’avarizia e da ogni forma di lussuria. Qui, in questo vuoto, se anche noi lo abbiamo drammaticamente affrontato, come viator e discepoli, possiamo aiutare i nostri fratelli e le nostre sorelle che vivono una tensione omo-affettiva o una difficolta di identità di genere più o meno radicata. Semplicemente perché possiamo “portare” Colui che sazia la fame di ogni vivente (Sl. 144,16) e colma in maniera compiuta quel vuoto generato da ogni sorta di disordine (Ef. 2,4-5). L’Amore di Cristo, morto e risorto per ogni Persona, donato a perdere a ciascuno, è il paradigma, non certo le frasi ad effetto, drammaticamente soggettivistiche ed ingolfanti, come “love is love”[29]. La realtà non viene modificata in base alla nostra percezione o al nostro pensiero o al nostro sentire liminale ma dalla Grazia vivificante di Cristo. Questo dono, di cui fare esperienza commuta il “love is love” in “sono amato dunque sono”. Sono amato, posso amare. Grazie a Cristo amo, dunque sono. E tutto cambia, non per convinzione esterna o liminale o subliminale ma per esperienza radicale e profonda[30]. È Cristo che compie e colma i tre bisogni/attitudini fondamentali[31] trasformando la filautia in Carità.

☼ Dal punto di vista metodologico, occorre, nel contempo, maturare una certa sistematicità pur mantenendo la personalizzazione del percorso, riguardante sia i contenuti che l’approccio. Nella Pastorale delle Persone giovani, ad esempio, si adotta un linguaggio appropriato, sia contestuale che esperienziale, valorizzando le sane motivazioni e le potenzialità ma senza diminuire la tensione vocazionale e la tensione alla trascendenza. Parimenti nella Pastorale delle Persone con omo-affettività o difficoltà di identità di genere occorre valorizzare le motivazioni e le potenzialità che tali fratelli e tali sorelle hanno a beneficio proprio e della comunità.

☼ Un primo approccio e vicinanza occorre certamente fornirla alle famiglie di figli e figlie che si sono apertamente dichiarati omo-affettivi o con difficoltà di identità di genere. Sia questi fratelli e queste sorelle che le loro famiglie vivono, come noi e con noi, un’opportunità di crescere nella carità e nella valorizzazione della Persona. Le difficoltà o gli eventuali disordini esistenziali di una Persona non sono causa di esclusione della comunità ma oggetto di continua tensione al Bene nel Bene.

☼ È proprio la virtù teologale della Speranza che ci consente di “pensare come Cristo” avere il “pensiero di Cristo” (1Cor. 2,16), i “sentimenti di Cristo” (Fil.2,5) e lo “sguardo di amore dello Spirito” (Gal. 5,22) in ogni situazione complessa. Dio apre sempre una via dove sembra ci siano muri e crea legami rinnovati a beneficio di tutta la comunità. Senza le Persone, anzi senza quella specifica Persona, con qualunque tensione o difficoltà, si perde qualcosa. Accoglienza e chiarezza, pur nella gradualità. Ogni Persona si deve e si può scoprire come “bene-detta” da Dio anche senza ricevere alcuna “benedizione” alle sue scelte.

☼ La comunità accoglie la Persona lì dove sta, in quella porzione di terra, magari disordinata e assuefatta, non per accogliere alcune sue scelte ma per accogliere la sua Persona perché incontri Cristo. È solo Lui, infatti, l’amante perfetto che, con il Suo Cuore, guarisce ogni ferita ed ogni disordine trasformando il male in Bene e portando la Persona ad esprimere le sue ineludibili ed irripetibili potenzialità. Ed è qui la missione della comunità. Attenzione: non un fare dall’alto ma un fare per essere ciò che si è. Cristo più che mettersi in alto si è affiancato ed ha testimoniato ciò che Egli era. L’unico luogo in cui è stato innalzato è sulla Croce. La comunità, dunque, non si compie a furia di reiterate sottolineature dottrinali ma si compie e si definisce nella sua trascendenza nella carità. Più una comunità vive nella disciplina della disappropriazione più veicola il Bene e fa percepire, magari dietro un “no” chiaro e fermo, uno splendido “sì” al Bene, al sé profondo della Persona, alla Grazia che sta silenziosamente lavorando.

☼ La comunità, dunque, a sua volta, è chiamata a crescere non solo nella chiarezza dell’antropologia del Vangelo ma nell’offrire “forti preghiere in suppliche e lacrime a chi può esaudire la sua pietà e liberare da morte” (Eb. 5,7) coltivando, in modo particolare il mezzo del digiuno. Digiuno da ogni condanna, digiuno dalla discriminazione, digiuno dal cibo, digiuno dal politicamente corretto, digiuno da clericalismi e dalla conquista degli spazi… ma anche digiuno da ogni approssimativa mancanza di discernimento. L’invito di Dio al Suo popolo “Su venite e discutiamo!” (Is. 1,18) non è un invito alla promiscuità ideologica e sincreticamente, al “vogliamoci comunque bene anche se siamo diversi”, ma piuttosto a mettersi in perenne ascolto come figli del Padre e discepoli perenni di Cristo.

Lo Spirito Santo, Amore dell’Amore, porti a compimento, nei suoi tempi e modi, quello che manca alle nostre forze e a queste povere righe.

“Il Signore completerà per me l’opera sua.
Signore, la tua bontà dura per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani” (Sl. 138,8)

Paolo Cilia

3 giugno 2024, Santi Carlo Lwanga e 12 compagni


[1] CONCILIO VATICANO II, “LUMEN GENTIUM”, 37

[2] PAPA FRANCESCO, “AMORIS LÆTITIA”, Cap. 8

[3] PAOLO CILIA, “Neanche Io ti condanno, va’ e non peccare più – senza la Giustizia la Misericordia non compie sé stessa”, 20 novembre 2014, https://www.ilcattolico.it/catechesi/spiritualita/appunti-per-il-sinodo-sulla-famiglia-neanche-io-ti-condanno-va-e-non-peccare-piu.html

[4] VANGELO SECONDO MATTEO 13,27-28 “Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo.”

[5] PAOLO CILIA, “EUCARESTIA, DONO O DIRITTO?”, 30 aprile 2020, https://www.ilcattolico.it/rassegna-stampa-cattolica/formazione-e-catechesi/eucaristia-dono-o-diritto.html

[6] PATRIZIA GREGORI, “Orandum est ut Desiderium desideretur”, 30 APRILE 2020, https://www.ilcattolico.it/rassegna-stampa-cattolica/formazione-e-catechesi/orandum-est-ut-desiderium-desideretur.html

[7] GIOVANNI PAOLO II, “Omelia SANTA MESSA A CONCLUSIONE DELLA V ASSEMBLEA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI”, 8, 25 ottobre 1980

[8] Joseph RATZINGER, Dogma und Verkündigung, Erich Wewel Verlag, München–Freiburg im Breisgau, 1973, p. 233, «Wenn man fragt, ob der Teufel Person sei, so müsste man richtigerweise wohl antworten, er sei die Un-Person, die Zersetzung, der Zerfall des Personseins, und darum ist es ihm eigentümlich, dass er ohne Gesicht auftritt, dass die Unkenntlichkeit seine eigentliche Stärke ist – Se ci si chiede se il diavolo sia una persona, allora si dovrebbe rispondere correttamente che egli è la non-persona, la decomposizione, la disintegrazione della personalità e quindi è peculiare per lui il fatto di apparire senza volto, che l’irriconoscibilità è la sua vera forza»,

[9] PAOLO CILIA, “ATTI INTRINSECAMENTE DISORDINATI. ANATOMIA DI UN’AFFERMAZIONE CRISTALLINA IN UNA CONFERENZA STAMPA A TRATTI PERMEATA DI AUTODIFESA”, 16 APRILE 2024,  https://www.ilcattolico.it/rassegna-stampa-cattolica/formazione-e-catechesi/atti-intrinsecamente-disordinati.html

[10] TOMMASO D’AQUINO, “SUMMA TEOLOGICA”, I, q. 20. a. 2. Vd anche: II Sent., d. 26, q. 1; C. G. I, c. 111; De Ver., q. 27, a. 1; In Ioan.,5, lect. 3

[11] Benedetto XVI, “Udienza per la presentazione alla Diocesi di Roma della Lettera sul compito dell’Educazione”, 23 febbraio 2008

[12] SEVERINO BOEZIO, “Liber de persona et duabus naturis contra Eutychen et Nestorium”,  “naturae rationalis individua sustantia”

[13] PAPA FRANCESCO, “EVANGELII GAUDIUM”, 169-170

[14] PAOLO CILIA, “CRISTO GUIDA LA CHIESA”, ““Brindare alla propria coscienza” come dicono alcuni citando, erroneamente, il card. Newman, diventa l’occasione, tutta carnale, rivestita di spiritualità, di dire quello che noi pensiamo, su tutto e su qualunque cosa; come se dal nostro pensiero dipendesse il mondo e non piuttosto una nostra percezione personalissima di esso […] anche ai cultori della “sola coscienza personale” non come espressione limitata ed operativa di un sacrario che abbiamo ricevuto (e che va coltivato rettamente), ma che erigono come assoluto che pretende di creare la realtà perché intuita e pensata: “Io vedo e penso e dunque decido ciò che è”. È l’infantilismo ed assurdo cartesiano di confondere il percepito con l’ontologico che viene assunto come prassi quotidiana.”, https://www.ilcattolico.it/rassegna-stampa-cattolica/formazione-e-catechesi/cristo-guida-la-chiesa.html, 22 febbraio 2024

[15] BENEDETTO XVI – PAPA FRANCESCO, “LUMEN FIDEI”, 33

[16] VATICAN NEWS, intervista a P. Martin S.J. “Padre Martin: Gesù non ha paura dei nostri peccati, ci fa uscire dalla tomba”, https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2024-06/padre-james-martin-libro-lev-lazzaro-intervista-tornielli.html

[17] GENESI 3,4

[18] Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 407

[19] GIOVANNI PAOLO II, “CICLO DI CATECHESI SUL GENESI”, a partire dal 5 settembre 1979

[20] CONCILIO VATICANO II, “SACROSANCTUM CONCILIUM”, 9, “… prima che gli uomini possano accostarsi alla liturgia, bisogna che siano chiamati alla fede e alla conversione: «Come potrebbero invocare colui nel quale non hanno creduto? E come potrebbero credere in colui che non hanno udito? E come lo potrebbero udire senza chi predichi? E come predicherebbero senza essere stati mandati?» (Rm 10,14-15). Per questo motivo la Chiesa annunzia il messaggio della salvezza a coloro che ancora non credono, affinché tutti gli uomini conoscano l’unico vero Dio e il suo inviato, Gesù Cristo, e cambino la loro condotta facendo penitenza. Ai credenti poi essa ha sempre il dovere di predicare la fede e la penitenza; deve inoltre disporli ai sacramenti, insegnar loro ad osservare tutto ciò che Cristo ha comandato, ed incitarli a tutte le opere di carità, di pietà e di apostolato, per manifestare attraverso queste opere che i seguaci di Cristo, pur non essendo di questo mondo, sono tuttavia la luce del mondo e rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini.”

[21] REDAZIONE UCCR, “USCIRE DALL’OMOSESSUALITÀ SI PUò, L’APA È SOLO POLITICA”, https://www.uccronline.it/2011/11/16/lex-presidente-dellapa-%C2%ABdallomosessualita-si-puo-uscire-lapa-e-solo-politica%C2%BB/ , 16 NOVEMBRE 2011

[22] PAPA FRANCESCO, “AMORIS LAETITIÆ”, 256: “Ci consola sapere che non esiste la distruzione completa di coloro che muoiono, e la fede ci assicura che il Risorto non ci abbandonerà mai. Così possiamo impedire alla morte «di avvelenarci la vita, di rendere vani i nostri affetti, di farci cadere nel vuoto più buio»”

[23] CORRIERE DELLA SERA, U. Veronesi: “Quello omosessuale è l’amore più puro, al contrario di quello eterosessuale, strumentale alla riproduzione”, https://www.corriere.it/cronache/11_giugno_23/veronesi-amore-gay_cba482c8-9d92-11e0-b1a1-4623f252d3e7.shtml, 23 giugno 2011. Dopo questa esternazione del Dr. Veronesi diversi si sono cimentati in difesa delle relazioni omo-sessuali sin dall’antica Grecia. Tuttavia è lo stesso Platone che afferma nelle Leggi, al 636c: «Il piacere di uomini con uomini e donne con donne è contro natura e tale atto temerario nasce dall’incapacità di dominare il piacere»

[24] PAOLO CILIA, “CHIESA, ABUSI E RIFORMA: DA DOVE RIPARTIRE”, https://www.ilcattolico.it/catechesi/studi/chiesa-abusi-e-riforma-da-dove-partire.html, 13 GENNAIO 2019

[25] GIOVANNI PAOLO II, “FAMILIARIS CONSORTIO”, 34 “«Perciò la cosiddetta “legge della gradualità”, o cammino graduale, non può identificarsi con la “gradualità della legge”, come se ci fossero vari gradi e varie forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse.”

[26] GIOVANNI PAOLO II, “CHRISTIFIDELES LAICI”, N. 15 “La Chiesa, infatti, vive nel mondo anche se non è del mondo (cf. Gv 17, 16) ed è mandata a continuare l’opera redentrice di Gesù Cristo, la quale «mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure la instaurazione di tutto l’ordine temporale»”

[27] ROMANO GUARDINI, “LA COSCIENZA”, “Fra le tendenze dell’età moderna v’è quella di negare radicalmente l’assolutezza della coscienza. Di ridurre la coscienza ad una questione di temperamento, e quindi contrapporre all’uomo «morale» un uomo «amorale», oppure ridurre la coscienza a un prodotto della storia o dell’ambiente sociale. Così essa sarebbe qualche cosa che è maturata a poco a poco, che si è acquistata con l’educazione e che potrebbe anche scomparire di nuovo. Bisogna anche qui farsi largo attraverso un intrico di semiverità sociologiche, psicologiche e storiche fino al fatto elementare: la coscienza esiste! Esiste in noi quel supremo qualche cosa, che è in relazione col bene, che risponde al bene come l’occhio alla luce.”, https://www.ilcattolico.it/catechesi/etica-e-morale/la-coscienza.html, 20 FEBBRAIO 2014

[28] BIBBIA, “LIBRO DEI SALMI” (CEI 1974), 63,7 “un baratro è l’uomo e il suo cuore un abisso”; “ROMANI” (testo TILC), 8,27 “E Dio, che conosce i nostri cuori, conosce anche le intenzioni dello Spirito che prega per i credenti come Dio desidera.”

[29] OBAMA, “LOVE IS LOVE”, President Obama reacts to the Supreme Court’s decision to legalize same-sex marriage nationwide, https://www.nbcnews.com/video/love-is-love-obama-says-after-high-court-legalizes-same-sex-marriage-471812675527, June 26 2015

[30] AGOSTINO VESCOVO DI IPPONA, “CONFESSIONI”, III, 6, 11, “Tu autem eras interior intimo meo et superior summo meo; Tu eri più dentro in me della mia parte più interna e più alto della mia parte più alta.”

[31] PAOLO CILIA, “SERIE DI RIFLESSIONI SUI BISOGNI FONDAMENTALI E LA FILAUTIA”, “Bisogno/attitudine di identità, bisogno/attitudine di essere amati, bisogno/attitudine di amare”, https://www.ilcattolico.it/rassegna-stampa-cattolica/formazione-e-catechesi/serie-di-riflessioni-sui-bisogni-fondamentali-e-la-filautia.html , 8 OTTOBRE 2016

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