Carlo Pedersoli (1929-2016) ha vissuto «una esistenza a suo modo “avventurosa” e non propriamente “normale” o quantomeno di “tutti”»1. Campione di nuoto, ha definito il suo personale modo con cui ha praticato (e si dovrebbe vivere) lo sport:
Devi avere la decenza – ha affermato – che quando entri in queste fasi della tua vita, devi capire sempre che non sei da solo, c’è Qualcuno, che si chiama Dio, che ti ha fatto e decide per te2.
Inoltre – spiega –,
se ho fatto quel che ho fatto nella vita (poco o tanto che sia) è proprio per il tipo di filosofia assimilata durante la mia formazione sportiva. Mentre, infatti, il successo nel cinema mi è stato dato dal pubblico, che me lo toglierà quando riterrà di averne avuto abbastanza di me, il primato di un nuotatore è deciso da un cronometro, da un parametro oggettivo. L’opinione non conta3.
Quando presagì che le vittorie sportive potevano ormai, vista l’età, tramutarsi in sconfitte4, decise di dare una svolta al suo stile di vita. Ricorda questo avvenimento «come una folgorazione. Mi chiedevo: “ma tu chi sei?”, perché non lo sapevo. “Hai fede in qualche cosa?”»5. E «così – confida – ho scoperto solo da adulto di essere credente»6. E «siccome le grazie sovrabbondano, insieme alla fede anche l’incontro con la donna che sarà di tutta una vita, aiutano il cambiamento di Carlo»7. Infatti – riconosce lo stesso Bud –, «ci sarebbe voluta la pazienza, la dolcezza e la sensibilità di quella piccola ragazza che poi sposai, Maria Amato, tanto bella quanto mingherlina rispetto a me, per farmi maturare […]. In lei c’era e c’è qualcosa di cui non mi posso privare»8.
Dal 1957 al 1960 si reca a lavorare in Venezuela per comprendere di che pasta fosse fatto, conoscendo la vita “vera”, lontano dalla “bambagia” in cui era stato custodito, in un luogo, lontano da casa, dove non lo conosceva nessuno. Quando ritorna a Roma, ricorda:
Forse bastano tre mesi, a volte tre giorni, o tre minuti, per capire chi si è davvero. A me servirono tre anni per comprendere che me la potevo cavare anche lontano dagli agi. Il mio viaggio introspettivo, il mio “turismo interno”, non era affatto finito9.
Riprende così sia a frequentare Maria, che sposerà in quell’anno, sia a vivere la sua fede cattolica con rinato entusiasmo.
Benché il suocero Peppino Amato fosse un grande produttore (La dolce vita, per citare uno dei film più famosi, o il primo Don Camillo), a Bud non venne mai la velleità di proporsi come aspirante attore, nonostante qualche comparsata in diversi film, come in Un eroe dei nostri tempi (1955) al fianco di Alberto Sordi oppure Quo vadis? (1951) o ancora Addio alle armi (1957). Invero, queste apparizioni servono a Carlo per pagare gli studi universitari e mantenersi.
Fu il cinema, invece, a “volerlo” a ogni costo. Erano gli anni del western all’italiana con 440 film girati dai primi anni Sessanta fino all’inizio degli anni Settanta, e in questo filone “nasce” Bud Spencer. Difatti – ricorda non senza ironia –, «in tutto questo fermento fatto perlopiù di pistole e speroni, Carlo Pedersoli cosa faceva? Ingrassava!»10.
Il cineasta e scrittore Giuseppe Colizzi cercava un attore per una sua pellicola e Bud aveva la giusta fisionomia, tanto che, dopo un primo colloquio andato male (perché il compenso risultò troppo basso), la produzione decise di scritturarlo e di dargli il corrispettivo richiesto. Con il film Dio perdona… Io no!, il campione di nuoto Carlo Pedersoli lascia spazio all’attore Bud Spencer, venendo a creare con Terence Hill una delle coppie più riuscite nella storia del cinema. Si consacra, grazie a quella pellicola, «la nascita di una straordinaria carriera da parte di due attori amati in tutto il mondo»11.
“Bud Spencer” – racconta egli stesso – nacque con questo film: […] era di moda usare un nome americano per rendere i western più esportabili, e data la mia stazza, mi venne naturale scegliere “bud” che in inglese significa “bocciolo”… invece lo “Spencer” era un omaggio al mio attore preferito, Spencer Tracy. Che il mio nome d’arte sarebbe stato amato al punto che per anni il pubblico ha ignorato che fossi l’ex campione di nuoto Carlo Pedersoli – del resto fisicamente irriconoscibile rispetto a Bud Spencer – non me lo sarei neanche sognato12.
Quell’esperienza, che doveva essere momentanea, aprì a un’invidiabile popolarità: se era “inciampato” per bisogno nell’ambiente dello spettacolo, era rimasto perché il pubblico l’aveva fortemente voluto, credendo in “Bud Spencer” più di quanto ci credesse Carlo Pedersoli.
Tra i grandi film di successo un posto particolare deve essere attribuito a quelli girati con l’amico Terence Hill (Mario Girotti), che iniziano un nuovo genere comico, capace di trasmettere messaggi moralmente buoni. Da Lo chiamavano Trinità (1971) fino a Botte di Natale (1995),
questo insieme di comicità, di valori positivi, di chiara presa di coscienza del bene (per cui letteralmente lottare) e del male (da estirpare, anche a cazzotti se è il caso) si svilupperà in tutti i film della coppia Bud e Terence13.
Mario – ha raccontato Maria Amato – è stato un partner ideale per mio marito. Tra di loro c’era intesa, rispetto reciproco, anche se molto diversi uno dall’altro. Entrambi uomini di fede, la vivevano con grande discrezione, senza esibirla sotto i riflettori. Forse un tempo era più normale credere, oggi non è più così. In pochi decenni sembra si sia frantumato tutto, e i giovani oggi vivono una realtà irreale. Carlo e Mario insieme, con le loro storie, facevano passare il messaggio che si può vivere una vita semplice, vera, ricca di soddisfazioni14.
Anche Terence, come Bud, ha dimostrato un’umiltà e un attaccamento ai valori (cristiani), nonostante la fama raggiunta a livello planetario. Del resto, ha dichiarato in un’occasione, rispondendo a chi gli chiedeva cosa fosse per lui il cinema:
A parte il fatto che mi piace, per me è la mia vita, è il modo di esprimermi, che poi è un privilegio. Tutti quanti noi abbiamo bisogno di esprimerci, siamo stati creati per continuare a creare, anche nel nostro piccolo, anche facendo un piatto di spaghetti fatto bene. Quella è la creazione15.
Mario è, inoltre, convinto che il suo primo incontro con Carlo non sia stato frutto del caso, anche se all’apparenza potrebbe apparire così:
Quando Giuseppe [Pedersoli] mi ha comunicato che Bud era andato via, mi trovavo ad Almeria, in Spagna, nello stesso punto dove ci siamo incontrati la prima volta, per girare il nostro primo film. Dopo la confusione, il dispiacere, anche il dolore, è arrivata una sensazione di calma, quasi di gioia: ho capito che niente succede per caso, che la vita è eterna e che Bud aveva la gioia16.
Questa gioia – perché Bud, come ricorda sua sorella Vera, «era un uomo sempre allegro»17 – è un insegnamento appreso dalla sua esperienza di credente. Se la fede – come lui stesso racconta – nella sua vita l’ha scoperta tardi18, è il tempo passato nella giungla amazzonica tra gli indios a permettergli di riscoprire il suo essere credente:
Fu lì, tra loro, che capii che credevo in Dio, che ne avevo bisogno. Riflettevo sul sacrificio di Cristo per noi. Una morte atroce, con cui Dio ci mette sempre in guardia dallo scegliere il male. Da allora non posso stare senza Dio e la Chiesa. E oggi, a 83 anni, vivo anche nel rispetto costante della morte che si avvicina. Sono convinto che solo quando arriverà capiremo tutto19.
Tale convinzione consente a Carlo di non temere la morte, perché – afferma – «dalla vita non ne esci vivo, disse qualcuno: siamo tutti destinati a morire. Da cattolico, provo curiosità, piuttosto»20.
Nonostante la grande notorietà mantenuta sino alla fine della vita terrena, per Bud rimane decisivo il rapporto con Dio:
Nella mia vecchiaia avanzata ho bisogno della religione più che mai. Ho bisogno della fede. Credo in Dio, è ciò che mi salva. E prego. Perché? Perché riconoscono in modo sempre più forte come sia nulla ciò a cui prima attribuivo un grande valore. Lo sport, dove volevo affermarmi, la popolarità. Chi si inorgoglisce per queste cose, chi insegue solo il successo, la fama, è un idiota21.
La fede, al contrario, diventa preminente:
Non posso vivere senza credere. Per esempio, il fatto che io credo mi è dato innanzitutto perché i miei genitori me l’hanno data [la fede], me l’hanno portata e me l’hanno fatta vivere; nel momento che io esco da solo nel mondo, devo capire quali di queste religioni, a quale di questo mondo, io appartengo. E devo dire non che ho studiato le altre religioni, ma le ho lette, ma mi è rimasta sempre la mia cattolica cristiana. Questo fatto è la cosa che mi manda avanti e mi dà la certezza che qualcosa dopo succederà22.
Se la vita di Bud Spencer è stata piena di successi, in lui c’è, però, una differenza, quasi una virtù rara: i suoi valori non differivano dal set cinematografico rispetto al quotidiano, non era cioè diverso il “personaggio” Bud Spencer dall’“uomo” Carlo Pedersoli23.
Sono sempre più appassionato della vita ogni giorno che passa – ha confidato –, ma la morte non mi spaventa. Perché credo che in realtà non si muore, e che la nostra anima sia viva anche dopo aver lasciato la terra. Anzi, sono certo che la vita continua. Intanto affronterò la morte, in ogni caso, con dignità e con la stessa dignità affronterò il giudizio di Dio24.
Dinanzi a questa certezza, come ha dichiarato per il Welt am Sonntag, Bud Spencer non ha alcun dubbio sulla scelta sia dell’ultimo pasto prima della morte sia con chi condividerlo: «Spaghetti. Con Gesù Cristo (Spaghetti. Mit Jesus Christus)»25.
1 S. Pinna, Spaghetti con Gesù Cristo!, p. 16. Lo stesso Bud, nella sua autobiografia, scritta a quattro mani con Lorenzo De Luca, afferma: «da quando in tutto il mondo mi chiamavano Bud Spencer, in casa mi avevano ribattezzato “il marziano”, per via della mia imprevedibilità» (Bud Spencer – L. De Luca, Altrimenti mi arrabbio. La mia vita, a cura di David De Filippi, Aliberti Editore, Roma 2010, p. 10).
2 S. Pinna, Spaghetti con Gesù Cristo!, p. 126. Queste parole sono tratte dall’intervista Bud Spencer si racconta, 19 dicembre 2014, ora riprese nel libro: A. Iovino, Grazie Bud. Bud Spencer tra fede, filosofia, l’amore per Napoli e racconti di vita, Eternity Books, Napoli 2017, p. 31.
3 Bud Spencer – L. De Luca, Altrimenti mi arrabbio, p. 13.
4 Carlo Pedersoli «rimase campione d’Italia per sette anni, partecipando a due Olimpiadi (1952 e 1956), a tre campionati europei e a tre giochi nel Mediterraneo, oltre a essere ingaggiato come centravanti nella Nazionale di pallanuoto, allora campione del mondo. Non solo, è il primo nuotatore italiano ad andare sotto al minuto e, in seguito, lo fece per altre cinquantacinque volte» (S. Pinna, Spaghetti con Gesù Cristo!, p. 27)
5 Bud Spencer, Viaggiando per il mondo ho trovato la fede in Dio, «Sovvenire» 11 (dicembre 2012) 4, pp. 2-3: p. 3.
6 Ibid., p. 2.
7 S. Pinna, Spaghetti con Gesù Cristo!, p. 49.
8 Bud Spencer – L. De Luca, Altrimenti mi arrabbio, p. 67.
9 Ibid., p. 83.
10 Ibid., p. 35.
11 S. Pinna, Il suo nome è Terence Hill, p. 33.
12 Bud Spencer – L. De Luca, Altrimenti mi arrabbio, p. 67. p. 104. In altre occasioni, oltre al rifermento al “bocciolo”, la scelta di “Bud” è spiegata perché richiamava la marca di una nota birra.
13 S. Pinna, Spaghetti con Gesù Cristo!, p. 56.
14 V. Sansonetti, La “teologia” di Bud Spencer, «Il Timone», 19 (2017) 12, n. 168, pp. 19-21: p. 21.
15 Citato in S. Pinna, Da Papa Francesco a papà Francesco (e mamma Teresa), «Breviarium», 24 gennaio 2022.
16 Id., Spaghetti con Gesù Cristo!, p. 86.
17 Ibid., p. 140.
18 «Nella mia infanzia a Napoli, dove sono nato, purtroppo l’esperienza della Parrocchia mancava. Perché c’era la guerra e la città era in macerie» (Bud Spencer, Viaggiando per il mondo ho trovato la fede in Dio, p. 2).
19 Ibid., p. 3.
20 Citato in S. Pinna, Spaghetti con Gesù Cristo!, p. 114.
21 Citato in ibid., p. 115.
22 Ibid., p. 129.
23 Cfr. L. Bertocchi, «Mangerò spaghetti con Gesù», «La Verità», 28 ottobre 2017, p. 19.
24 Citato in S. Pinna, Spaghetti con Gesù Cristo!, p. 124.
25 L. Vogelsang, Ich bin daran gewöhnt, gestorben zu sein, «Welt am Sonntag», 30 maggio 2015, n. 35, p. 18.
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