Alla scoperta dell’anima di Alberto Sordi

Presentazione del libro “Nell'anima di Alberto Sordi”, 10 maggio 2023
Grazie alla sapiente regia della casa editrice San Paolo, si è tenuta a Genova la presentazione del libro di don Samuele Pinna, Nell’anima di Alberto Sordi (a cura di Federica Favero, Àncora 2023). Riportiamo le trascrizioni dell’intervento di saluto del cardinal Angelo Bagnasco, vescovo emerito di Genova e già Presidente della CEI e del CCEE, e della prima parte della relazione del professor Marco Salotti, già docente di Storia e Critica del Cinema all’Università di Genova.
Saluto di S. E. il cardinal Angelo Bagnasco

Un saluto cordiale e affettuoso a don Samuele, caro confratello e caro amico di non lunga data – possiamo dire – nel tempo, ma di intensa partecipazione, amicizia e stima vicendevole. Tra l’altro a lui e a don Massimiliano [Sabbadini], che oggi non è potuto essere qui presente tra noi per motivi di famiglia, rinnovo il mio ringraziamento per l’attenzione, la perizia e l’intelligenza, la generosità con cui mi hanno aiutato in vista della pubblicazione del volume Pastori dentro. Chiesa, società, persona [Prefazione di Papa Francesco, a cura di Samuele Pinna e Massimiliano Sabbadini, San Paolo 2022] che raccoglie, come si sa più o meno, le mie Prolusioni del secondo quinquennio alla CEI, in forma specifica di temi specifici e, quindi, forse più fruibili come loro hanno pensato, voluto e operato.

Il video della presentazione

Una prima considerazione riguarda un apprezzamento per l’Autore, perché – seppure con uno sguardo un po’ rapido, ma non distratto, confermato in tanti altri incontri di lavoro che abbiamo fatto in questi ultimi anni – mi sono accorto e ho apprezzato molto la sua capacità di leggere e di scavare in ogni terreno, anche i più semplici, che possono essere quotidiani, possono essere normali, apparentemente, forse talmente normali da non avere particolari perle preziose o tesori nascosti. Don Samuele, invece – mi riferisco ad altri suoi testi [come quelli su Bud Spencer e Terence Hill o le Lettere di don Augusto] – sa scavare dentro a personaggi e situazioni, perché non solo c’è l’occhio della fede, ma perché c’è anche l’occhio dell’umano. Dato che noi sulla terra siamo tutti diversi – miliardi e miliardi, fino alla fine dei tempi –, siamo tutti unici perché Dio non crea fotocopie ma soltanto pezzi originali e irripetibili. Siamo però, nello stesso tempo, anche tutti uguali, cioè della stessa pasta, quella pasta che porta la firma di Dio, perché la più grande prova dell’esistenza di Dio Creatore e successivamente Redentore è dentro ciascuno di noi, non è fuori di noi. La portiamo scritta nel cuore come la sua firma, vale a dire quell’anelito, quella tensione, quella nostalgia, che a volte assume gli accenti del tormento – un tormento benefico – di assoluto, di vita, di amore, di pienezza, di gioia che, in una parola, Dio ha messo in ciascuno di noi. In questo siamo veramente tutti uguali. E, allora, dentro questa chiave di lettura della natura umana, dentro alle diverse tipologie che è ciascuno, ecco che don Samuele, a mio parere – questa è una mia lettura, ma non credo che siamo molto lontani dalla realtà –, riesce a scovare e a identificare quegli indizi anche minimi della vita di un uomo e di una persona nella sua vita quotidiana che sono il segno, che sono la traccia, che non nascondono ma indicano quella che è la tensione verso l’Assoluto. E per questo volevo ringraziarti, perché è una chiave di lettura – che è una capacità non solamente intellettuale ma innanzitutto religiosa –, che ti qualifica e ti conduce come paradigma verso qualunque figura o qualunque situazione tu finora hai affrontato.

Io non conosco il personaggio di Alberto Sordi se non da alcuni film visti nella mia infanzia e nella giovinezza, e ci sarà poi il Professore che ci inquadrerà questo personaggio così significativo, dentro una storia che è la nostra. Da qualche scorcio (ma anche da altre fonti), però, mi pare di avere intuito di un’anima profondamente religiosa, al di là delle maschere che non erano di nascondimento ma di rivelazione dell’animo italiano, dell’uomo comune, della normalità umana. Oltre le maschere che Sordi volentieri e magistralmente interpretava, egli tradiva sempre una sapienza, il gusto della normalità della vita, che ha caratterizzato – speriamo che continui a caratterizzare –, il nostro popolo, la nostra tradizione, negli aspetti più buffi, più simpatici, ma anche più drammatici del dopo guerra. Quindi, un esempio che è un pezzo di storia, ma che è un esempio anche di fede. Mi colpiva, leggendo qualche pagina, la preoccupazione di Alberto Sordi, in alcuni suoi film, dove in particolare in uno [Nell’Anno del Signore], trattando – se così si può dire – con il regista sulle trame che doveva egli in qualche modo interpretare, era preoccupato se i due carcerati o criminali [i carbonari condannati a morte] si sarebbero pentiti veramente nella vita, non solo nel film, e il regista gli rispondeva che questa era per lui una cosa indifferente. A questo punto, l’attore romano ha fatto scivolare il discorso sulla fede dell’interlocutore, e davanti all’insistenza dell’indifferenza rispetto al problema della morte, del Paradiso, della vita eterna, Sordi si fece molto serio, silenzioso e poi concluse con un: “Peggio per te!”. Non era uno scaricare nessuno, ma era l’espressione di una sofferenza interiore, di un dolore, di un desiderio che il bene infinto di Dio, della vita eterna, cioè del Paradiso, potesse essere condiviso da tutti.

E poi un esempio, appunto, come accennavo, della vita normale: credo che nel nostro tempo – altri se vorranno potranno dire meglio – ci sia un grande bisogno di tornare alla normalità. La normalità della vita quotidiana, del buonsenso comune, della sostanza delle cose, non dell’apparenza. Si vive troppo di apparenza! Chi è il più grande tra noi? Chi è il più importante? Si vive troppo d’immagine, e stiamo parlando di un attore che ha avuto grande successo, evidentemente anche in quell’ambiente l’immagine ha una sua valenza e questo è chiaro ed è inevitabile. Ma c’è modo e modo di vivere dentro diversi ruoli, sia quelli fittizi, degli attori e via discorrendo, sia quelli reali, della realtà di ciascuno. Tornare alla normalità! Ascoltando come tutti noi le esibizioni artificiali, sempre più artificiali, io penso che – come diceva Romano Guardini – «l’occidentale non è un occidentale, è un occidentalista», vale a dire un uomo la cui razionalità è diventata sempre più artificiosa, costruita, anormale. Quanto più le espressioni che noi vediamo in giro e che passano in veste di normalità diventano numerose, tanto più io credo che rinasca, che si risvegli nella gente il gusto, il senso delle cose normali, la bellezza delle cose quotidiane che si ripetono nei loro giorni ma che costruiscono la vita di ciascuno e la storia di tutti.

A partire dalla mia piccola esperienza, mi pare che si possa dire almeno questo di Alberto Sordi: che sia stato un esempio di italianità. Com’è bella l’Italia, guardando Sordi e non solo lui (certamente anche agli attori di una volta), il popolo italiano, la nostra tradizione! Tradizione del nostro popolo italiano che non è soltanto una tradizione del modo di vivere, ma è anche la bellezza dell’Italia naturistica, è il genio dell’Italia, che all’estero dà il meglio di sé più che in Patria, purtroppo, e che gli altri riconoscono. La bellezza e la tradizione della gastronomia come da noi da nessuna parte nel mondo e così – siamo in una bellissima chiesa – fino al nostro territorio trapuntato – direi abbracciato – da chiese mariane, da santuari dedicati alla Madonna, che più vado conoscendoli, più li immagino come un grande manto, il manto della Vergine, la grande Madre di Dio, che abbraccia questo suolo benedetto, che noi dovremmo apprezzare molto di più, come ritengo che apprezzasse molto Alberto Sordi, di essere cioè italiano e di amare la propria terra. Ecco, direi che ci auguriamo, auguro a me e a tutti quanti noi, attraverso le parole e lo scritto di questi nostri amici, di poter accostare e scoprire meglio Alberto Sordi, non solamente come un grande attore, ma come un triplice esempio che ho cercato brevemente di indicare. Grazie!


Relazione iniziale del professor Marco Salotti

Sono naturalmente imbarazzato perché dopo le parole del cardinal Bagnasco è molto difficile per me parlare di cose molto modeste come il cinema, peraltro comico; non parliamo nemmeno di registi o di attori che si sono cimentati magari con problemi religiosi o metafisici, ma stiamo parlando invece della cronaca, molto semplice e molto spicciola, quotidiana, di un italiano molto medio, che è il ritratto che fa Sordi nei suoi film.

Il libro di don Samuele Pinna, ha una sua – secondo me – assoluta originalità. In che senso? Se noi oggi dovessimo fare un film su Alberto Sordi, dovremmo chiamarlo non Una vita difficile (che è il titolo di un film celebre di Dino Risi in cui Sordi è protagonista, forse uno dei suoi migliori film, o comunque uno dei film più celebrati dalla critica laureata, di serie A), invece noi dovremmo chiamarlo Una vita facile.

Non sembra che Sordi – sia nella sua vita privata sia in quella di attore, di teatro e di cinema – abbia avuto queste grandi difficoltà, grandi drammi, grandi angosce. Cosa voglio dire? Che sembra che la sua vita sia sempre stata sorretta da una sorta di disegno provvidenziale, come se lui avesse pregato in qualche modo, come se avesse avuto la Madonna accanto. Come ricordava don Samuele, è presente nel giardino della villa di Sordi una statua della Madonna che lui salutava ogni volta che usciva. Forse, questo per noi potrebbe essere un Sordi inedito ma che don Pinna mette assolutamente e giustamente in luce. Ora, l’originalità consiste anche in un altro aspetto: quando si scrivono delle monografie su registi o su attori (ma soprattutto su attori) io non credo che chi scrive si ponga molto il problema se quell’attore abbia un’anima o meno. Sì, se scriviamo una biografia su Bergman, su Dreyer, su Bresson, perché è quasi automatico considerare se abbiano un’anima o dei problemi di tipo religioso, come il silenzio di Dio, etc. Persino chi si professa ateo, come Buñuel o come Pasolini, in fondo, dopo un po’ – parlo di Pasolini – deve svelare il suo intimo profondo cattolicesimo; e non a caso ho citato Buñuel e Pasolini, perché sono due registi che quasi si incamminano verso una sorta di santità. Pasolini cercando di essere arso sul rogo come eretico, Buñuel finirà sepolto per sua volontà in un convento di frati a Città del Messico dopo aver fatto moltissimi film di argomento religioso, cristologico in particolare (e sembrava un personaggio non solo ateo, ma anche blasfemo, per esempio nel finale di L’âge d’or, nel confronto tra Cristo e Sade, un personaggio sadiano de Le Centoventi Giornate di Sodoma). Quindi, c’è un animo assolutamente tormentato. E, quindi, in questo caso va bene, a loro l’anima gliela dobbiamo necessariamente attribuire. Ma a un attore comico l’anima si può attribuire?

Tra l’altro noi saremmo sorretti da un pregiudizio storico, per cui i comici sono quasi sempre dei guitti, occorre diffidare, non sono dei grandi interpreti di tragedie e drammi, cioè se uno recita Racine o Corneille sicuramente avrà una sensibilità, ma l’attore comico ha questa sensibilità? Chissà? Faccio un esempio, così ci capiamo. Quando Nanni Moretti esordisce con il suo primo grande lungometraggio Ecce Bombo (siamo nel 1978), a un certo punto questo giovane regista post-contestazione, arrabbiato, romano (della classe però bene, colta), entra in un bar e sente per l’appunto un discorso da bar e c’è uno che fa il qualunquista dicendo: “Ma tanto in Italia i rossi e i neri sono tutti uguali, etc.: la solita Italia!”. Il protagonista, allora, sbotta in maniera anche molta animata, urlando: «Ma non siamo mica in un film di Alberto Sordi! Ma non siamo mica in un film di Alberto Sordi! Ve lo meritate Alberto Sordi!». Ecco, questo è in fondo il pregiudizio che è sempre un po’ gravato su Sordi, al di là del fatto che sia stato amatissimo dal pubblico, ma certo non molto dalla critica laureata o di alto conio. E il libro di don Pinna ci dice altro; anche Pasolini fa tutta una disquisizione nel 1960 su una rivista – faceva allora il critico cinematografico, non si era ancora cimentato nella regia, poi lo farà proprio in quell’anno con Accattone –, dove ha da ridere sul qualunquismo di Sordi, su questi personaggi cattivi, insopportabili, arrivisti, che sgomitano, egoisti, cinici, antipatici sostanzialmente. Il comico, secondo Pasolini, può essere anche cattivo, anche Charlie Chaplin, anche Charlot può essere cattivo, ma al fondo di questa cattiveria alla fine deve manifestarsi la bontà, la pietà. E Pasolini non ravvisa, invece, questa bontà e questa pietà nei film di Sordi, o comunque nel personaggio di Sordi.

Sordi “un ayatollah cattolico” – parola di Verdone

Ora – non ho perso il filo – perché don Pinna è così originale nel suo scrivere, nel suo affrontare l’argomento? Perché invece dice: “Non è vero”, fa una specie di apologia di Sordi uomo, di Sordi fedele, dotato assolutamente di un’anima, che scorre però sotterranea in una maniera quasi carsica al di sotto dei personaggi biechi, molto spesso, che lui ama rappresentare e che vuole rappresentare da grande moralista, perché questo Sordi è: è un castigatore di costumi, dei mores, facendoci ridere, ma in realtà stiamo ridendo di noi. Quando noi usciamo da un film di Alberto Sordi – e questo lo diceva giustamente Pasolini – noi ci vergogniamo di noi stessi, perché siamo noi quelli che Sordi ha creato o ha animato sullo schermo. Ora, però, io mi fermo, scusate, e do la parola all’Autore. Non sono sicuro se lui sia d’accordo con me sul fatto che abbia scritto un libro agiografico, proprio nel senso della patristica – e a me piace! –, come lo ha fatto, peraltro, in un altro libro interessantissimo su Bud Spencer, dotandolo di capacità teologiche o comunque di una vocazione teologica.

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