La teologia è un sapere scientifico? A prima vista, no. L’idea di scienza è infatti un recinto chiuso, almeno da Galileo in avanti: la scienza è scienza se è sperimentale e matematizzata. Questa “chiusura” del concetto di scienza è però arbitraria, anche se è stata stata culturalmente dominante per qualche secolo. L’idea di scienza potenzialmente può essere estesa perché sia adatta a ricomprendere anche altre discipline non strettamente sperimentali.
L’ingresso di Aristotele in Occidente
In Occidente la rivendicazione della scientificità della teologia sorge in parallelo con la diffusione del termine stesso “teologia”. Nell’Oriente cristiano si parlava di teologia per descrivere la ricerca sulla dottrina cristiana. In Occidente invece, lungo il medioevo e fino al XIII secolo, si usava nel senso di parte della dottrina cristiana in cui si parla di Dio e della Trinità. Solo nel XIII secolo il termine teologia viene ad indicare la ricerca e l’esposizione della dottrina cristiana – cioé dell’insegnamento cristiano. In parallelo, con la diffusione delle opere di Aristotele, la teologia comincia ad “ambire” allo statuto di scienza. Perché?
Per l’Occidente la riscoperta di Aristotele nel XIII secolo è un evento epocale. Bisogna pensare che di Aristotele si conoscevano soltanto le opere di logica – anche di Platone pochi dialoghi (il Timeo e, da metà XII secolo, Menone e Fedone). Con la diffusione del sapere di Aristotele nelle università succedono due cose.
- L’Occidente cristiano incontra per la prima volta una visione complessiva e sistematica della realtà, ma del tutto alternativa a quella cristiana.
- Dalla seconda metà del XIII secolo la Facoltà delle Arti cambia. Prima era prima soltanto propedeutica alla teologia e formata da numerose discipline (le arti liberali, musica, retorica eccetera). Ora diventa una vera e propria facoltà di filosofia, portatrice della discussione di quel sapere sistematico incontrato in Aristotele.
Le scienze per Aristotele
Aristotele aveva infatti definito sia la struttura formale e i procedimenti che costituivano un sapere come scienza, sia una visione architettonica delle scienze. Esse venivano ordinate in senso gerarchico secondo due criteri:
- A seconda del loro scopo – le scienze pratiche sottostavano a quelle teoretiche, che avevano per fine non l’agire o il produrre, ma il sapere per se stesso.
- A seconda del loro legame reciproco – scienze che fornivano ad altre scienze la base per i proprii procedimenti erano ovviamente primarie o superiori.
Al vertice delle scienze stava la sapientia–scientia (sapienza-scienza) costituita dalla metafisica. Dunque: la teologia voleva continuare a proporsi come superiore al sapere della Facoltà delle Arti? Essa doveva presentarsi come scienza ed esibirne caratteri e procedimenti.
Tommaso d’Aquino: una scienza… aristotelica
Come “caso” esemplare di questo momento di dibattito e ricerca prendiamo Tommaso d’Aquino. Tommaso d’Aquino (1224 ca – 1274) è un teologo domenicano che in due periodi della sua vita si trova ad insegnare come maestro a Parigi. Nei primi articoli della prima questione della sua Somma Teologica Tommaso discute la scientificità della teologia. Per farlo ha ovviamente bisogno di un modello di scientificità da estendere o ritrovare nel procedere stesso della teologia. Il modello lo trova nella riflessione sulla natura della scienza che ritrova in Aristotele. Invece il procedimento teologico è quello che dalla seconda metà del XII secolo si è ormai imposto. Esso prevede l’esposizione argomentata di ciò che è creduto in base alle autorità (testi, della Scrittura o di Santi e Dottori).
Il modello di scienza Tommaso lo ritrova negli scritti di logica dello Stagirita, in particolare nei Secondi Analitici. Il procedimento conoscitivo che caratterizza la scienza è quello che riesce a concludere conseguenze in maniera certa e necessaria e a partire da premesse che non siano soltanto ipotetiche (se… dunque), ma anche vere. Prendendo il sillogismo come forma base di questo procedimento, è dimostrativo (e non “soltanto” dialettico) il sillogismo che parte da premesse sapute come vere. Perciò Aristotele può affermare che ogni scienza parte da premesse che non sono dimostrate – in ogni caso mai dalla scienza stessa.
Dove trovo le giuste premesse?
Tra queste premesse indimostrate stanno:
- quelli che chiameremmo princìpi di ragionamento comuni a tutte le scienze – principio di identità, di non-contraddizione, che l’intero è superiore ad una sua parte eccetera;
- princìpi o premesse proprie di quella scienza – pensiamo agli assiomi della geometria per questa disciplina;
- un certo numero di definizioni soprattutto a riguardo dell’oggetto della scienza – cosa siano punto e linea eccetera;
- l’oggetto stesso della scienza, che cosa sia (almeno in maniera generale) e che esso sia – per esempio il movimento e le nature ad esso soggette per la fisica aristotelica.
Come può dunque una scienza assumere legittimamente come veri i princìpi proprii e il proprio stesso oggetto? In entrambi i casi è l’intelletto a giustificarli, o direttamente o indirettamente.
Direttamente se essi sono evidenti (per tutti o quasi). Di conseguenza intuendone la verità e mostrando dialetticamente che il contrario di ciò che è vero è assurdo. Come per il principio di non-contraddizione o quando nella fisica Aristotele assume che vi sia il moto (il divenire) ritenendo assurdo il contrario.
Indirettamente quando la scienza in questione è in posizione subalterna rispetto ad una scienza superiore e più generale. In quel casoi princìpi sono assunti come veri perché sono conclusioni della scienza primaria o superiore. Qui l’intelletto garantisce indirettamente per la verità dei principi. Esso giustifica la verità dei princìpi della scienza superiore. La loro certezza e necessità si trasferisce dunque a quelle conclusioni che la scienza secondaria assume come princìpi proprii.
Quali premesse per la teologia?
Su questa base epistemologica Tommaso conduce la propria argomentazione, che troviamo nei primissimi articoli della sua Somma di Teologia. Argomentazione diretta a mostrare che la teologia è un sapere scientifico. Tommaso non ha bisogno di mostrare che la teologia procede come se fosse una scienza. Infatti da Abelardo in avanti la disciplina aveva assunto un procedimento di tipo argomentativo che si adeguava alle esigenze di un procedimento dimostrativo. Ciò che Tommaso deve mostrare è ciò che non è evidente da sé. Ovvero che il rapporto tra premesse e conclusioni rispetti le esigenze del Filosofo perché la teologia possa essere detta scienza.
Da quali premesse procede la teologia? Le premesse della teologia sono gli articoli di fede – quelli che si sarebbero detti poi dogmi e oggi dati della rivelazione. Essi sono veri e saputi come veri in quanto creduti tali ovvero in quanto si crede a Dio che li rivela attraverso i suoi testimoni autorevoli. Ma Dio conosce in maniera indubitabile (per auto-visione) ciò che rivela. In maniera analoga pure i santi, post-mortem, vedono Dio e dunque conoscono con certezza Lui e i suoi insegnamenti. Dio e i santi dunque vedono in maniera indubitabile ciò che sulla terra è creduto. Il teologo perciò assume i suoi princìpi dalla loro scienza superiore. Di conseguenza le premesse della teologia sono vere in quanto assunte da una scienza superiore. La teologia è, perciò, una scienza, ma subalternata in quanto assume i proprii princìpi da una scienza superiore e non dall’esercizio dell’intelletto comune a tutti.
Rispondo dicendo che la teologia è una scienza. Ma bisogna sapere che il genere delle scienze è duplice. Ve ne sono alcune infatti, che procedono da princìpi noti per mezzo della luce naturale dell’intelletto, come l’aritmetica, la geometria e simili. Ve ne sono anche altre, che procedono da princìpi noti per mezzo della luce di una scienza superiore, così come la prospettiva procede da principi resi noti per mezzo della geometria, e la musica da principi resi noti per mezzo dell’aritmetica. E in questo modo la teologia è una scienza, poiché procede da principi noti per mezzo della luce di una scienza superiore, che è precisamente la conoscenza posseduta da Dio e dai santi. Da dove segue che come la musica crede ai princìpi consegnati a lei dall’aritmetico, così la teologia crede ai princìpi rivelati a lei da Dio.
Summa Theologiae, I, q. 1, a. 1, co.
Premesse credute o evidenti?
Quali rilievi critici si possono fare? Cominciamo da quelli che emergono proprio dall’argomentazione di Tommaso.
L’Aquinate si riferisce ad Aristotele per il concetto di scienza subalternata, ma nel trasferire il rapporto tra scienze lì esposto sembra non dare adeguato peso ad un fatto. È vero che lo scienziato che assume i princìpi dallo scienziato “superiore” crede a quest’ultimo per fondare le proprie argomentazioni. Ma è pure vero che di per sé, almeno potenzialmente potrebbe dedicarsi alla scienza “superiore” anche lui. Così facendo potrebbe avere scienza certa di quelle conclusioni che gli servono da princìpi partendo dall’intuizione dei princìpi. In ogni caso al minimo l’intuizione dei princìpi di ogni genere di scienza è accessibile a chiunque.
La fede come forma fondamentale dell’esistenza
Non così per i princìpi della teologia. Tommaso lo afferma con chiarezza ed onestà: gli articoli di fede «non sono per sé noti, perché non sono concessi da tutti». Essi infatti sono creduti, anche se nei luoghi e nel tempo di Tommaso creduti perlopiù da tutti. Questo limite tuttavia mette in evidenza un aspetto importante. Se la teologia vorrà esibire la propria “patente” di scienza dovrà argomentare la credibilità dei proprii princìpi, gli articoli di fede. Non solo: più in generale e più profondamente dovrà argomentare il ruolo originario della fede per la vita dell’uomo: sia pratica che intellettuale che esistenziale.
Al terzo va detto che colui che possiede una scienza subalterna non attinge in maniera perfetta alla ragione del sapere se non in quanto la sua conoscenza si completa in qualche maniera con la conoscenza di colui che possiede la scienza superiore. Ciò nondimeno tuttavia di chi è subalterno si dice che sa (scientificamente) non in base a ciò che presuppone di conoscere, ma in base alle conclusioni, le quali sono dimostrate necessariamente a partire dai princìpi presupposti. E così anche il credente può dire di possedere la scienza delle cose che sono dimostrate a partire dagli articoli di fede.
Quaestiones disputatae de veritate, q. 14, a. 9, ad 3
La teologia come discussione aperta
Se la debolezza del riferimento alle premesse dimostrate da una scienza superiore non permette di concedere che la teologia sia una scienza, essa diventa un sapere ipotetico. Conclusione evidente in particolare per tutti coloro che non condividono la certezza (in fede) nella verità delle premesse. Anche così però una simile concezione della teologia permette un esercizio della ragione teologica che è verificabile, anche se solo per ipotesi (concedendo le premesse o princìpi). Ciò significa che il suo procedere è in qualche maniera controllabile, specialmente quando sia condotta una ricerca sulle premesse. Ricerca che renderebbe le premesse, se non certamente vere per tutti, non assurde e controllabili nel loro statuto di credibilità.
Nonostante queste difficoltà Tommaso continua ad affermare la non-dimostrabilità di tutti i dogmi (princìpi, articoli di fede). Discutendo dell’oggetto della teologia, cioé Dio, ammette che esso non è evidente. Non solo: le sue “dimostrazioni” (le cinque vie) concludono senza dimostrare Dio come è inteso dalla fede, ma dimostrando l’esistenza, indeterminata in larga parte, di un primo termine trascendente. La natura intima di Dio infatti è accessibile solo all’interno di un orizzonte di fede, grazie alla rivelazione.
Parlare di Dio: un linguaggio umano per comunicare il paradosso
Questo riferimento apre all’ultima osservazione. Se la natura più profonda di Dio – il suo essere Trinità ad esempio – supera le capacità dell’universo e della ragione come è possibile parlarne? I nostri concetti e il nostro linguaggio devono essere usati in maniera analogica ovvero in maniera da dire anche altro da ciò che dicono comunemente. Ciò spiega l’utilizzo metaforico e la pluralità di sensi delle Scritture. Ciò spiega anche l’attenzione all’analogia nell’utilizzo dei concetti e del linguaggio. Per esempio, quando si dice che Dio è onnipotente cosa si intende per potenza, cosa per “tutto”?
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