M’incontro al telefono con Giorgio Torelli dopo aver letto il suo consueto articolo apparso sul paginone che gli riserva ogni domenica la Gazzetta di Parma. So che mi chiederà un parere e mentre squilla il telefono rileggo veloce l’incipit del pezzo datato 26 febbraio:
Oggi, ultima Domenica di un Febbraio titubante sul da farsi, il ragazzo che persiste in me (e tutto sommato mi riesce congeniale) compie 95 anni. E prova a tirar le reti per accertare quanto la così prolungata esperienza di vivere gli abbia procurato, non come bottino, ma come dono. L’esser ospite del mondo non mi ha imposto contropartite, ma consigliato un precetto: vivere è l’occasione per avventurarsi in quel che vale. Certo, ogni tanto scarmigliandosi per l’insistenza delle tramontane contrarie agli zefiri. Il Signore, nei vortici del Lassù, tiene aggiornato l’archivio degli iscritti al genere umano. E sa, perché non glie l’ho mai nascosto, il come e il quando io abbia vilipeso il timone, navigando anche a rovescio nel trasalir dei marosi. E così, facendomi compatire da me stesso per diserzioni dalla linea di luce intenta a cercarmi, mai perdendomi di vista. Tant’è vero che, srotolandosi la metrica del Tempo, ho avuto il correttivo – sempre rivaccinazioni – di panificanti incontri e dimestichezze con tanti contemporanei saldamente votati ad ogni forma di virtù. E sto accennando a quel repertorio spirituale e pratico che non è ornamentale, ma propulsivo di fattività per la costante revisione della civile convivenza, così spesso avariata.
Non posso esimermi dal porgergli i migliori auguri per l’importante genetliaco e il suo ricordo va grato ai suoi genitori, Siorgino e Sioralinda, che lo hanno amorevolmente voluto figlio. Ma tutta l’attenzione è poi rivolta a Carlina, la moglie adorata, «invitta di mente e di cuore nel riproporsi dolcissima»:
Avevo diciassett’anni e lei sedici, quando, nelle dorate stagioni di Parma (nido di cova delle speranze), mi fu dato a voler di Provvidenza d’incontrare Carlina, raggiante liceale certa di sé. E cresciuta sotto la reverenda e storica cupola delle Madri Orsoline dal velo trapunto. Orfana di madre a dieci anni, s’era costruita un’identità di subitanea attrattiva. Mi fu amica. Poi, ispiratrice a puntate quando tutt’e due, universitari iscritti a Medicina, approdammo serenamente al reciproco amore motivato. E si progettò di laurearci in bisturi e forbici per poi partire insieme, come dottori da avamposto, verso un frammento di mondo tropicale, dove languissero creature in balia della malora. Ci volevamo un bene fresco e sorridente.
La loro amicizia sponsale, dopo anni di frequentazione, inizia nel 1951 al Passo della Cisa e si snoda per quasi l’intera vita, eppure si vede ancora la tenerezza vivace di chi sceglie con santa caparbietà – nonostante tutto – il bene per l’altro: «E siamo ancora qui – scrive Giorgio –, in un’ennesima Primavera, iscritti negli sperimentati sentimenti della quinta età. Io vidimato dai 95, lei dai prossimi 94».
Le stelle si rivelavano ormai propizie e principiava la vita insieme nella Milano in tiro dei fervorosi anni Cinquanta. Mi sarei aggirato nei paralleli, inviato da settimanali di reputazione, mai a narrare guerre e rivoluzioni, ma storie vere di attiva e leggendaria prossimità. Carlina, interpretando con inesausta passione i doveri del medico specialista, seguitava a tornir d’amore tre figli: Alessandra (a soli 63 anni il suo ad Deum), Stefano (ora 62), Michele Arcangelo (ora 51). Ci scrivevamo una lettera ogni giorno per non subire lontananze occasionali.
Un anno fa davamo insieme alle stampe Cacciatore di buone nuove. Giorgio Torelli, giornalista a modo suo e ora siamo qui ancora a raccontarci i fatti che incontriamo lungo il nostro cammino, a rimirar ciò che abbiamo vissuto, a prospettar un futuro nebuloso. Si passa da discorsi profondi a quelli occasionati dalle notizie del momento, a volte assai serie a volte facete. Ci scappa sempre una battuta e un dolce risata la segue, ma sappiamo essere compunti davanti a riflessioni che interrogano l’uomo nelle tragedie ancor oggi subite. Il giornalista di “cose viste dal vero” medita e mi viene in mente un passo del mio libro in cui lui firma il Congedo, vergandolo con queste parole:
Ho collezionato e messo in parole vite d’ogni risalto. Sono stati sessant’anni di scrittura, tuttora in corso d’opera, sovrastata da un pensiero dominante. Questo: che ogni mio aver scantonato possa essere abbuonato da quel che più spesso invoco come continuo involucro dei pensieri: la debordante, paterna misericordia di Dio, senza la quale – credo – solo rarissimi passaporti per la nuova dimensione potranno essere vidimati (p. 153).
Aggancio la cornetta dopo la lunga chiacchierata. Rimango edificato, ripensando anche al nostro discorrere. Riprendo, così, tra le mani il suo scritto domenicale e mi soffermo sul Post scriptum, dove si commenta l’immagine in arredo all’articolo: trattasi dell’arcangelo Raffaele, che si erge alato sul campanile diritto come un fuso tra cattedrale e antelamico Battistero.
Protegge la corale d’animi dei Parmigiani di nascita e di acquisizione. E gli domando di mettere anche lui una santa parola perché la celeste indulgenza voglia annettere anche i nostri respiri.
Ad multos annos, caro Giorgio scrittore, giornalista e fedele reporter di buone nuove!
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