Per gentile concessione dell’Editore è riportata l’Introduzione del libro di Samuele Pinna Nell’anima di Alberto Sordi (a cura di Federica Favero, Editrice Àncora, Milano 2023, pp. 182) di prossima uscita nel ventesimo anniversario della morte dell’attore romano.
Quando l’Editrice Àncora mi ha chiesto se volessi occuparmi della figura di Alberto Sordi ho subito accettato, sia perché lusingato dalla proposta sia perché l’attore romano è uno di quei miti del cinema che attrae su di sé una naturale simpatia. Ho iniziato, così, a lavorare coadiuvato da Federica Favero che mi ha accompagnato nella stesura di questo libro, di cui è curatrice. Con grande gioia ho passato alcuni mesi a guardare per la prima volta o a rivedere i film dell’indimenticabile attore romano, e a leggere il più possibile su di lui o quanto lui stesso ha dichiarato in varie occasioni.
Non essendo un esperto di cinema, ho voluto soprattutto raccontare la sua vita, tentando di mostrare – come nei miei libri su Bud Spencer e Terence Hill – il lato umano e mettendo a fuoco l’aspetto della fede cristiana. Una sorta di viaggio nell’anima. Qui, ahimè, mi sono immediatamente imbattuto in una difficoltà sotto forma di avvertimento, messo nero su bianco nientepopodimeno che da Carlo Verdone, il quale ammoniva:
Se un appassionato di cinema, uno studioso, ma anche un semplice spettatore cercasse di individuare la vera anima di Alberto Sordi s’infilerebbe in un percorso pieno di ostacoli, senza riuscire a trovare uno sbocco.
L’appunto è importante non solo perché chi l’ha scritto ha conosciuto di persona l’Albertone nazionale, ma anche perché mette in guardia da probabili svarioni e inesattezze. Per questo ho concepito le pagine seguenti in una forma originale e mi sono circondato di validi aiuti (ampiamente presenti nel mio lavoro). Davanti a una pista non facile il mio cuore di fanciullo, forse un poco birichino, è partito in quarta per quella strada che, posso dire alla fine, è stata molto proficua (almeno per chi scrive) per conoscere più in profondità il popolare interprete del cinema nostrano. Senza cedere a facili retoriche, mi sembra di aver fatto amicizia con il protagonista di questo volumetto, perché, tralasciando le sue indiscusse capacità recitative, mi è apparso un grande uomo e una persona di fede. Una di quelle schiette, all’apparenza semplici ma prive di qualsivoglia senso d’inferiorità. Una persona discreta, iperprofessionale, attenta al prossimo da amare evangelicamente e ai cambiamenti in atto, capace sovente addirittura di anticipare gli eventi grazie a un acceso spirito d’osservazione. Non si propone, quindi, una semplice biografia (ce ne sono molte e ben fatte da cui ho attinto a piene mani), ma – come si accennava – un itinerario mediante la storia di una vita, quella di un italiano che con i suoi film ha ben descritto anche quella del nostro Paese. Ogni capitolo si conclude poi con un’intervista, che desidera riprendere le tematiche affrontate e, per quanto possibile, rilanciarle. L’aver conosciuto, infatti, anche chi ha avuto la ventura di incontrare di persona Alberto Sordi ha di molto accresciuto non solo le mie conoscenze su di lui, ma mi ha pure aiutato a comprendere un poco di più la grandezza della sua umanità.
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La struttura del volume è, dunque, molto semplice: si è partiti dalle origini familiari di Alberto e dal contesto in cui è nato e cresciuto (la sua Roma). L’esergo iniziale del capitolo è tratto dalle parole di san Giovanni Paolo II, che Sordi ha conosciuto personalmente e apprezzato e, quindi, gioco forza ho poi conversato con il cardinal Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificium Consilium de Cultura del Vaticano, che ha incontrato più volte l’attore. Il secondo capitolo riguarda, invece, i difficili e a tratti duri esordi: anche il popolare artista ha dovuto fare i conti con i fallimenti, come lui stesso confida:
Se vi raccontassi come mi trattavano sui set e dove mi presentavo per propormi, pensereste: “Ma chi gliel’ha fatto fare a quello lì”. Eppure le umiliazioni subite non mi avvilivano, ci rimanevo male, ma quando incontravo un regista, un produttore o un agente, non potevo fare a meno di ripetergli fino allo sfinimento: “Non mi paghi, lavoro gratis, ma mi provi, a qualunque condizione”.
Ho qui conversato con Paola Comin, che gli ha fatto da agente e gli è stata molto vicina negli ultimi anni di vita. Il capitolo seguente si sofferma sul successo – un vero proprio boom dopo anni di gavetta – del “divo” romano, il quale l’ha vissuto con grande umiltà. Il dialogo in questo caso è con monsignor Dario Edoardo Viganò, tra i massimi esperti di cinema e direttore della Rivista del Cinematografo. L’ultimo capitolo, infine, indaga intorno alla religiosità di Alberto Sordi e sul suo essere stato un cattolico praticante. Ho deciso di intervistare il filosofo Vittorio Possenti, interrogandolo su alcune questioni fondamentali per ogni uomo di qualsiasi tempo. Ho infine conversato con il cardinal Angelo Comastri sui temi della fede presenti in queste pagine: l’importanza di Dio e dei Santi, la famiglia come luogo di crescita, la figura di Karol Wojtyła, la devozione mariana, etc.
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Nel percorso di questo libro sono richiamati diversi lungometraggi (era impossibile citarli tutti e per questo rimandiamo alla filmografia completa inserita a fine libro) per mostrare come arte e vita, in Alberto Sordi, andassero a braccetto. È risaputo che il cinema è “la settima arte”: mai come nel nostro tempo ha un potere, un fascino e una diffusione incredibili. Tuttavia, quando un’opera artistica non nasce soltanto da uno spirito libero e geniale, ma si piega a logiche differenti e alle mode dominanti, rischia di essere svilita. Non solo, il mondo della celluloide produce molti guadagni e, come ogni realtà che vive di commercio, può essere degradata fino alla deriva del consumismo, sacrificando così il trascendentale del “bello” (che sempre richiama quello del “vero” e del “buono”). Lungi dal voler formulare dozzinali valutazioni, basti l’assennata critica di Alberto Sordi ai produttori, i quali sono tendenzialmente più attratti dai soldi che dai capolavori: «Vedono un film come un prodotto che deve dare una resa e se non rende lo gettano nella spazzatura». Non era di certo la sua logica, di un uomo che è stato – secondo Furio Scarpelli – non solo un interprete sulle scene, ma anche un soggettista:
Il suo essere autore, prima che attore, ubbidiva al fondamentale principio che si deve cercare di essere voce e sguardo della propria società. Alberto non si limitava a riferire, spietatamente, romani e italiani, occidentali insomma, ma era anche la voce della loro parte più nascosta, forse della loro coscienza. Sapeva che sottraendo l’ironia al reale, si commette atto di falsità. Siate soltanto seri e sarete poco seri.
Si parla poi spesso della sua eredità artistica e viene subito in mente Verdone, il quale però si è ogni volta schermito: il film In viaggio con papà (1982)
ha avuto – afferma Carlo – un grande significato perché era come un passaggio di testimone (questa è una frase di Alberto), un abbraccio tra un padre e un figlio a livello artistico, anche se io non mi sono mai sentito artisticamente figlio di Sordi perché lui è unico.
Forse, a ben vedere, un altro erede dell’Albertone nazionale potrebbe essere, con tutti i distinguo del caso, Checco Zalone (l’intuizione è di Giancarlo Governi), perché è tra i pochi ormai che riesce a fare ancora satira sociale di livello. Qui si ritorna al punto da cui si è partiti, ovvero dal viaggio nell’anima dell’attore romano: lui, uomo affabile e profondamente credente, è stato un grande “eutrapelico”, ha cioè saputo manifestare quell’allegria tipica di una sana spiritualità cristiana, capace di mettere alla berlina tutte le forme del peccato nella consapevolezza che è sempre possibile la redenzione. Il tutto condito con una intelligente comicità, perché – come ebbe a dire nei panni del Marchese del Grillo – «Quanno se scherza, bisogna èsse’ seri!».
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