L’autunno porta seco tinte a tratti malinconiche segnando il passaggio da una canicola spossante a un rigido rigore. E il tempo dei colori accesi, eppur tanto grevi, e di un clima ballerino, onde il sole, non più sfrontato ma sovente audace, tende nel suo raggiar a riscaldare più del dovuto ogni vivente sfidi il suo infocato incedere. E ben scolpita nella mia memoria, quale rada riparata dai marosi dell’oblio, una limpida giornata ove le nuvole si rincorrevano sbarazzine in un cielo agitato dal vento. Gli sfolgorii del giorno tendevano a vincere il diaccio causato dalle sferzate d’aria frizzante, a meno di appostarsi, senza convenienza alcuna, in zone ombrose. E la città eterna sfavillava baroccheggiante dinanzi a un chiarore tale che, a esser onesti, le faceva il giusto onore. Rammento con nitore l’incontro di quel giorno di un lontano ottobre oramai inoltrato. L’agitazione palpabile mi impose una puntualità fin esagerata, tanto che fui costretto ad aspettare l’avvio di quell’agognato colloquio nella sala delle Guardie svizzere con tanto di alabarde e di saluto militare a ogni piè sospinto. Sembravamo, io e miei due solerti e teneri accompagnatori, dei galeotti in attesa di sentenza. Poi il paesaggio muto in un crescendo di cortesie: “benvenuti” a vario titolo ci colsero quasi alla sprovvista, tra inchini, sorrisi e inconsueti cerimoniali, e un’automobile privata con tanto di graduato alla guida ci porto dall’angusta stanzetta alla dimora in cui il vecchio Papa ci attendeva. Il casamento ci si presento come un museo in piena attività, custode di non comuni magnificenze: il marmo, pulito e lucido, a tappezzeria di opere d’arte appese alle pareti o appoggiate su mobili raffinati per gusto e fattura, la faceva da padrona. Infaticabili suore s’impegnarono negli onori di casa e, mentre attendevo di essere ricevuto, i pensieri vagavano veloci, ma uno si fisso nella mia mente e fu confermato quando ripresi la via del ritorno. Il dono della Sapienza non è altro che saper guardare la realtà con gli occhi Dio, di Colui cioè che ha posto in essere l’essere. E chi più del Creatore, l’Essere per eccellenza, può vantare di conoscere il reale? Il sapore buono delle cose è – e non può essere altrimenti – intrinseco in Lui. Il sapiente, allora, non è l’indovino da trovate inattendibili o il falso profeta di calcolate buone nuove, ma colui che sa leggere al meglio ciò che ci circonda. Anticipa i tempi non per un occulto prodigio, ma perché in grado di scrutare le vicende che si susseguono, avendo come bussola la parola divina. Vero profeta, anche di sventura, se è il caso.
Entrai con trepidazione nella stanza solenne ma non trionfale e ad attendermi un uomo vestito di bianco pronto al sorriso e dai tratti gentili. Mi inginocchiai e lambii con le mie labbra l’anello del pescatore per rispetto al protocollo e per devozione non a un uomo, sebbene grande, ma a una persona che si è lasciata trasfigurare da Dio. Con movenze ieratiche e una dolce sonorità nella voce mi fece alzare per abbracciarmi e baciarmi su entrambe le guance, gesto che mi parve tradire affetto. Una sua battuta stemperò la tensione, confidandomi, dopo aver saputo la mia età, che gli apparivo molto più giovane. Finiti i saluti, ci accomodammo, sedendoci a gomito a gomito: io su una comoda poltrona e lui su un divano dalla candida tinta e d’oro bordato. Conversammo di innumerevoli argomenti e osservai, non senza sorpresa, il mio insigne interlocutore intento a voler conoscere il mio punto di vista, teso a comprendere ciò che custodivo nell’intimo. Si parlò con naturalezza di Chiesa, di teologia, della preghiera, di amici in comune, di eventi che furono e dei nostri progetti. Il tempo passò veloce e quasi mi rammaricai quando giunse alla fine. Ora il Papa emerito desiderava intrattenersi un poco coi miei genitori – miei compagni di viaggio –, che accolse con viva partecipazione. In quel giorno rimase indelebile nel mio cuore l’amabilità di una persona umile perché sapiente e sapiente perché umile. Una mitezza accompagnata da un evidente appagamento di chi vive con gusto, lasciandosi trasportare dal buonumore, pur non dimenticando il travaglio e il gemito del cosmo. Fu, così, quando mio padre si lasciò sfuggire una frase spiritosa e il Pontefice, Sommo anche in tale occasione, rispose pronto, facendo seguito a una sonora quanto contagiosa risata. Ecco la Sapienza, dono divino, riassunta – se è concesso – in una personalità plasmata, per sua libera scelta, dall’ascolto della volontà del divino Spirito. Una capacita di giudizio accesa eppur mai cedevole all’invettiva o alla lamentela e, al contrario, in grado di mostrare un’assennata via d’uscita dalle difficolta. Un andare in fondo alle questioni, senza fermarsi ai luoghi comuni o a facili quanto inutili risposte, ripugnando la consuetudine di banalizzare e valutando i fatti in modo serio e sereno. Un’enciclopedia vivente, insomma, non per dare sfoggio di cultura ma per indagare a fondo ogni aspetto e non minimizzarlo con deboli battute. Mai un termine fuori posto, nessuna sbavatura o facile giudizio. Al contrario, la ragione veniva potenziata, sostenuta com’era da alte riflessioni e sorretta da una radicata e appassionata fede teologale. Nel qualunquismo odierno si proclama con fierezza tutto e il suo contrario e le parole buttate fuori sono più veloci di quelle meditate all’interno dell’intelletto, poco costretto oramai al sano raziocinio. Non e, dunque, linfa benefica star alla presenza di coloro che con saggezza difendono l’unico interesse della Verità, la quale – sola – rende liberi?
Riporto al cuore, grato, tra i ricordi che si sommano rigogliosi, se non lussureggianti, la gioia di chi è consapevole che il Signore è uno, che si è chiamati all’allegrezza, sintomo di santità, e che non deve mancare il motivo per un discreto sorriso senza chiudere gli occhi alla sofferenza altrui o propria.
Benedetto XVI mi ha insegnato, con squisita consonanza, che la compagnia di Cristo non toglie nulla e dona largamente, basta non essere superficiali e frettolosi nelle stime, mettendosi per primi in discussione e chiedendo a Dio di essere illuminati sul da farsi. In definitiva – mi ripeto –, guardare la creazione con gli occhi misericordiosi del Creatore, affinché il nostro “decidere sul da farsi” corrisponda sempre più in modo perfetto al Suo. E, magari nel paradosso, gustare il sapore buono della vita, la quale non si gioca solo nel tempo presente perché chiamata a ristare nell’eternità. Rileggo – ora – un passo dell’Imitazione di Cristo e mi pare di trovare la sintesi di quel che ho appreso:
E se tu sapessi anche tutta la Bibbia e gli scritti di tutti i filosofi, che vantaggio potresti trarne senza la carità e la grazia di Dio? «Oh, vanita delle vanita! E tutto è vanita» (Qo 1, 2; 12, 8), fuorché amare Dio e servire Lui solo. Ed è questa, dunque, la più alta sapienza: avvicinarsi a Dio disprezzando il mondo.
De imitatione Christi 1, 1, 3
Davvero, ne sono sempre più persuaso, ista est summa sapientia. Ed ecco, forse, la cagione per cui, con animo fanciullesco, comprai lungo la strada, in un piccolo chiosco fuori dalle mura vaticane, io tanto ghiotto, sugose caldarroste. In illo tempore, compresi con gioia birichina che possedevo nelle mie mani il tutto nel frammento.
Di’ cosa ne pensi