Domani, 3 maggio 2022, sarà disponibile nelle librerie l’ultimo libro di John Jeffries Martin, decano di storia di uno degli atenei più prestigiosi al mondo, la Duke University, intitolato A Beautiful Ending. The Apocalyptic Imagination and the Making of the Modern World (pubblicato dalla casa editrice dell’Università di Yale).
La presentazione del libro si è svolta al GreenParlor di Milano il 26 aprile scorso con la presenza dell’Autore e con l’intervento di Davide Riserbato, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. John Martin aveva già collaborato con me e con il professor Riserbato per la poderosa miscellanea Fenomeno & fondamento. Ricerca dell’assoluto (Libreria Editrice Vaticana 2017), a cui hanno partecipato studiosi di tutto il mondo, a dire l’amicizia che ci lega da anni. Nel luglio 2016 eravamo sempre tutti e tre a Venezia e c’è un aneddoto che riguarda proprio il volume ora fresco di stampa:
In quel periodo John si stava dedicando alla ricerca – ha raccontato Riserbato – ed eravamo riusciti a convincere il bibliotecario del Convento di San Francesco della Vigna, la cui biblioteca custodisce oltre 200mila volumi – e tra questi, quelli del fondo antico, sono ben 40mila –, a mostrarci qualcosa di straordinario, anzi di unico, cioè l’ultima copia esistente della prima edizione a stampa del Corano (1538) a opera del tipografo Paganino Paganini. Si pensava non ne fosse sopravvissuta nessuna copia (erano state tutte bruciate soprattutto nel rogo di Istanbul del 1538). Ma poi una copia era stata identificata nel 1987 da un’allora dottoranda, Angela Nuovo, oggi ordinaria di Storia del libro presso l’Università Statale di Milano. Una storia affascinante, che meriterebbe una trattazione a sé (è l’unica copia sopravvissuta di un’operazione commerciale finita male, conclusa con il fallimento degli stampatori). Bene, di questo tesoro, a pagina 50 del libro di John si trova riprodotta una sura la Sura al-Fātiḥa (i sette versi che costituiscono l’incipit del Corano). E quindi, penso di condividere anche il pensiero di don Samuele, ci sentiamo in qualche modo parte della splendida avventura che questo libro racconta.
Il testo di Martin rilegge il Moderno (da fine Cinquecento a inizio Settecento), con acribia e la sicurezza di chi ha fatto sintesi di ricerche – eccellenti – di tutta una vita, nella sua multiforme costruzione (the Making of…): da Colombo a Lutero, da Carlo V all’Impero Ottomano, da Calvino a Mercatore, dai nativi americani a Montaigne, passando per la Cabala, Paracelso e i Rosacroce. Lo studio si fonda sull’immaginario apocalittico, intrecciando il percorso delle tre fedi monoteiste, cristiana, ebraica e musulmana, in ciò che l’Autore definisce «la treccia apocalittica» (The Apocalyptic Braid).
Una visione, quella che emerge – spiega ancora Riserbato con puntualità –, che certamente includeva la paura della Fine, nel mondo antico, medievale e moderno, cioè, quella di uomini e donne che vedevano eventi come pestilenze e guerre, o disastri naturali come terremoti e inondazioni, come segni degli ultimi giorni, ma che nondimeno era una visione, quale si sviluppò prima nel giudaismo e poi nel cristianesimo e nell’islam, che combinava invariabilmente tali paure con un senso di profonda speranza.
Scrive a tal proposito Martin:
Così, almeno per i fedeli, l’Apocalisse ha alimentato la speranza per la quale, all’orizzonte del tempo, avrebbero vissuto un Bellissimo Finale. In larga misura questa convinzione era fondata sulla convinzione che sarebbe stato Dio e non gli esseri umani a porre fine al mondo; e, in questa fine divinamente ordinata, avrebbe fatto la sua comparsa un mondo di giustizia e un mondo senza sofferenza.
E prosegue Riserbato:
Si tratta di una visione provvidenziale della storia, al di là della netta separazione operata nel Moderno tra politica, scienza e religione. John interpreta questa visione, così caratterizzata in senso apocalittico, e dunque religioso, come un marchio della modernità. Come «una forza motrice nell’espansione dell’Europa oltreoceano, nella crescente espansione dell’impero e nello sviluppo di nuove tecnologie e di nuove comprensioni del mondo naturale».
Per l’Autore, infatti,
il continuo appello al pensiero apocalittico manifesta il fatto che la comprensione del nostro mondo richiede che siamo in grado di cogliere non solo la dimensione secolare ma anche la dimensione religiosa dell’esperienza umana.
A giudizio di Riserbato, che non possiamo non condividere, A Beautiful Ending ha cercato di dimostrare l’intreccio tra queste due dimensioni, e sono significative ancora le parole di John, che nella sua conclusione al volume, citando il capitolo 21 di Apocalisse, afferma:
Anche mentre scrivo, molti in tutto il mondo continuano a riporre la loro fede nella rivelazione (Apocalisse). Come potrebbero non farlo? In un mondo pieno di sofferenza, molti sperano in una Nuova Gerusalemme nella quale «Dio stesso sarà con loro, e tergerà ogni lacrima dai loro occhi, e non vi sarà più la morte né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21, 4).
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