Freddo. Sensazione di gelo. È quanto ho sperimentato giungendo a Roma a metà gennaio: un tempo rigido che, pur venendo dalla ghiacciata Milano, non mi aspettavo, con un vento glaciale che ti penetrava nelle ossa, nonostante ti fossi coperto a più non posso. Ma anche esteriormente il clima non migliorava, con la capitale semideserta che ti faceva sentire parte di un lungometraggio surreale. Il mattino dell’Udienza papale aveva anche timidamente nevicato, abbassando notevolmente la temperatura. Le condizioni però cambiarono quando entrammo nell’“Aula Paolo VI”, mastodontica ed elegante. Ancora qualche difficoltà organizzativa, ma poi ci trovammo seduti ad ascoltare il Discorso del Santo Padre.
Ero in Vaticano con i miei genitori, Teresa e Francesco, e mio fratello Cristian per accompagnare il maestro Milo, artista di fama, e la sua famiglia. Il pittore donava a Sua Santità una sua opera di gran valore intitolata L’abbraccio dei due Papi: raffigurava, infatti, lo storico saluto tra Francesco e Benedetto, dopo la rinuncia di quest’ultimo.
Conclusa la catechesi e raggiunti i nostri posti in prima fila, il Papa regnante ci salutò a uno a uno senza badare a tempi e protocolli. Ho potuto, quindi, discorrere liberamente con lui. Anch’io avevo da offrirgli qualche piccolo dono. Un mio articolo che avevo scritto – guarda caso! – per una rivista francescana di religione, arte e scienza intitolato Amore e verità. L’ecumenismo di Papa Francesco. Ho fatto ridere il Papa quando gli ho confidato: “Spero, Santità, di aver presentato correttamente il suo pensiero!”. Dopodiché, ho regalato al Pontefice una copia del mio libro Il suo nome è Terence Hill. Una vita da film. Nella catechesi, Francesco si era domandato:
Con che spirito noi facciamo il nostro lavoro quotidiano? Come affrontiamo la fatica? Vediamo la nostra attività legata solo al nostro destino oppure anche al destino degli altri? Infatti, il lavoro è un modo di esprimere la nostra personalità, che è per sua natura relazionale. Il lavoro è anche un modo per esprimere la nostra creatività: ognuno fa il lavoro a suo modo, con il proprio stile; lo stesso lavoro ma con stile diverso.
Papa Francesco, Udienza generale del 12 gennaio 2022
Ho, così, tentato di spiegare il senso del mio libro sul famoso attore dicendo a Francesco come molti giovani siano affascinati dal mondo dello spettacolo, che però troppo spesso porta a compromessi e a deviazioni morali che ledono la dignità. Mi pareva utile proporre un esempio come quello di Terence Hill che ha dimostrato un’umiltà e un attaccamento ai valori (cristiani) nonostante il successo planetario (allo stesso modo del collega e amico Bud Spencer, come racconto nel mio libro Spaghetti con Gesù Cristo! La «teologia» di Bud Spencer, di cui avevo già precedentemente omaggiato il Pontefice). Del resto, Terence Hill ha dichiarato in un’occasione, rispondendo alla domanda che cos’era per lui il cinema:
A parte il fatto che mi piace, per me è la mia vita, è il modo di esprimermi, che poi è un privilegio. Tutti quanti noi abbiamo bisogno di esprimerci, siamo stati creati per continuare a creare, anche nel nostro piccolo, anche facendo un piatto di spaghetti fatto bene. Quella è la creazione.
Incontro a Est Film Festival, 2018
Queste parole sembrano l’eco di quelle del Santo Padre:
Non si tiene abbastanza conto del fatto che il lavoro è una componente essenziale nella vita umana, e anche nel cammino di santificazione. Lavorare non solo serve per procurarsi il giusto sostentamento: è anche un luogo in cui esprimiamo noi stessi, ci sentiamo utili, e impariamo la grande lezione della concretezza, che aiuta la vita spirituale a non diventare spiritualismo. Purtroppo però il lavoro è spesso ostaggio dell’ingiustizia sociale e, più che essere un mezzo di umanizzazione, diventa una periferia esistenziale.
Papa Francesco, Udienza generale del 12 gennaio 2022
Papa Francesco ha voluto sfogliare con cura il volumetto nelle sue mani, si è soffermato sulla fotografia che mi ritraeva insieme a Terence e alla fine mi ha ringraziato di cuore. Mi ha colpito il suo sorriso franco, il suo sguardo intenso, il suo essere lì soltanto per me in quel momento.
Semplicità. Questo mi pare il termine che può in qualche modo sintetizzare quell’incontro unico. Finita l’Udienza generale e salutato l’amico Milo e i suoi famigliari che dovevano subito tornare al Nord, restai con i miei cari un altro giorno a Roma: il vento era cessato e la temperatura si faceva gradevole. Eppure incombeva su noi lo spauracchio di quel morbo che non molla la presa e si accanisce anche contro chi si è diligentemente vaccinato.
Rincasato, il virus ebbe la meglio. Papa Francesco nella sua catechesi aveva parlato del padre putativo del Salvatore:
È bello pensare che Gesù stesso abbia lavorato e che abbia appreso quest’arte proprio da San Giuseppe. Dobbiamo oggi domandarci che cosa possiamo fare per recuperare il valore del lavoro; e quale contributo, come Chiesa, possiamo dare affinché esso sia riscattato dalla logica del mero profitto e possa essere vissuto come diritto e dovere fondamentale della persona, che esprime e incrementa la sua dignità.
Papa Francesco, Udienza generale del 12 gennaio 2022
Perché lo annoto? Perché nei giorni in cui la malattia mi stava divorando senza tregua, mio padre Francesco si era trasformato: lui infermiere professionale alla scuola del santo Giuseppe Benedetto Cottolengo si era prodigato per curare non solo il mio fisico acciaccato, ma anche lo spirito con un’attenzione commovente. Ho capito, tra le molte cose, che è questo quello che intendeva il Santo Padre in riferimento alla dignità del lavoro: non è qualcosa che semplicemente si fa, ma che anzitutto si vive. L’esempio dei miei genitori (anche mia mamma è infermiera professionale!) lo dimostrarono fino al sacrificio: standomi vicino in quel modo si erano aperti alla possibilità del contagio che, alla fine, li ha còlti.
Con tenacia, come nella Piccola Casa della Divina Provvidenza, continuiamo a ripeterci le parole del Santo Cottolengo: «La Divina Provvidenza non è mai mancata a chi spera in lei; la Provvidenza ha mille modi da provvedere» (Detto n. 39).
Ci abbandoniamo alla preghiera e ripetiamo quella che Papa Francesco ha fatto risuonare nella “Sala Nervi”, dando voce al suo predecessore san Paolo VI che l’aveva composta il 1º maggio 1969:
O San Giuseppe,
Patrono della Chiesa,
tu che, accanto al Verbo incarnato,
lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane,
traendo da Lui la forza di vivere e di faticare;
tu che hai provato l’ansia del domani,
l’amarezza della povertà, la precarietà del lavoro:
tu che irradii oggi, l’esempio della tua figura,
umile davanti agli uomini
ma grandissima davanti a Dio,
proteggi i lavoratori nella loro dura esistenza quotidiana,
difendendoli dallo scoraggiamento,
dalla rivolta negatrice,
come dalle tentazioni dell’edonismo;
e custodisci la pace nel mondo,
quella pace che sola può garantire lo sviluppo dei popoli. Amen.
Di’ cosa ne pensi