Quest’anno il mese di novembre potrebbe anche essere considerato “il mese dei Maccabei”: da una parte infatti si è aperto con la XXXI settimana del tempo per annum, che nell’Ufficio delle Letture della Liturgia delle Ore del Rito Romano ospita una significativa selezione dei due libri dei Maccabei; dall’altra si conclude con i primi giorni della festività ebraica di Hannukkàh, che celebra appunto la rivolta maccabaica al regno ellenistico ed ellenizzante di Antioco IV Epifane.
Il testo centrale (e quattro paradossi storici relativi ai giudei)
Proprio nella lettura del giovedì della XXXI settimana del tempo ordinario, il Breviario propone peraltro il punto culminante della restaurazione maccabaica, ovvero il cuore della festa giudaica di Hannukkàh1Nonché il memoriale della fondazione della stessa festa.:
Un giorno Giuda e i suoi fratelli dissero: «Ecco sono stati sconfitti i nostri nemici: andiamo a purificare il santuario e a riconsacrarlo». Così si radunò tutto l’esercito e salirono al monte Sion. Trovarono il santuario desolato, l’altare profanato, le porte arse e cresciute le erbe nei cortili come in un luogo selvatico o montuoso, e gli appartamenti sacri in rovina. Allora si stracciarono le vesti, fecero grande pianto, si cosparsero di cenere, si prostrarono con la faccia a terra, fecero dare i segnali con le trombe e alzarono grida al Cielo.
Giuda ordinò ai suoi uomini di tenere impegnati quelli dell’Acra, finché non avesse purificato il santuario. Poi scelse sacerdoti incensurati, osservanti della legge, i quali purificarono il santuario e portarono le pietre profanate in luogo immondo. Tennero consiglio per decidere che cosa fare circa l’altare degli olocausti, che era stato profanato. Vennero nella felice determinazione di demolirlo, perché non fosse loro di vergogna, essendo stato profanato dai pagani. Demolirono dunque l’altare e riposero le pietre sul monte del tempio in luogo conveniente finché fosse comparso un profeta a decidere di esse.
Poi presero pietre grezze secondo la legge ed edificarono un altare nuovo come quello di prima; restaurarono il santuario e consacrarono l’interno del tempio e i cortili; rifecero gli arredi sacri e collocarono il candelabro e l’altare degli incensi e la tavola nel tempio. Poi bruciarono incenso sull’altare e accesero sul candelabro le lampade che splendettero nel tempio. Posero ancora i pani sulla tavola e stesero le cortine. Così portarono a termine le opere intraprese. Si radunarono il mattino del venticinque del nono mese, cioè il mese di Casleu, nell’anno centoquarantotto, e offrirono il sacrificio secondo la legge sull’altare degli olocausti che avevano rinnovato. Nella stessa stagione e nello stesso giorno in cui l’avevano profanato i pagani, fu riconsacrato fra canti e suoni di cetre e arpe e cembali.
Tutto il popolo si prostrò con la faccia a terra e adorarono e benedissero il Cielo che era stato loro propizio. Celebrarono la dedicazione dell’altare per otto giorni e offrirono olocausti con gioia e sacrificarono vittime di ringraziamento e di lode. Poi ornarono la facciata del tempio con corone d’oro e piccoli scudi. Rifecero i portoni e le camere e vi misero le porte. Vi fu gioia molto grande in mezzo al popolo, perché era stata cancellata la vergogna dei pagani. E Giuda e i suoi fratelli e tutta l’assemblea d’Israele stabilirono che si celebrassero i giorni della dedicazione dell’altare nella loro ricorrenza, ogni anno, per otto giorni, cominciando dal venticinque del mese di Casleu, con gioia ed esultanza.
Dal primo libro dei Maccabei 4, 36-59
Si devono annotare immediatamente alcuni paradossi:
- Il primo è che questa pagina biblica, che magnifica le gesta della resistenza, della reazione e della restaurazione giudaiche sotto il dominio ellenistico fu scritta in greco e non in ebraico,
- Il secondo è che, sebbene la comunità giudaica di Alessandria ne abbia incluso il novero nel proprio canone (la cosiddetta “versione dei LXX”, o “Bibbia greca”), fu il “canone corto” a prevalere nell’assetto del giudaismo riformulato nel “Sinodo di Jabne” dopo la distruzione del Tempio, quindi a tutt’oggi questa pagina non risulta presente nel TaNaK degli ebrei che celebrano Hannukkàh.
- Il terzo è che la politica maccabaica cercò una sponda contro le decadenti vestigia dell’impero alessandrino nella sorgente potenza romana, e ve lo trovò: ciò permise la diffusione di importanti e antichissime comunità giudaiche nella diaspora, una tra tutte quella romana, attestata almeno dal 160 a.C. I Maccabei insomma ripararono l’autonomia politico-cultuale giudaica sotto la protezione di un potere politico pagano almeno quanto quello dell’odiato invasore.
- Il quarto ed ultimo è che questa festa ebraica, oggi molto importante, abbia radici relativamente tarde (diciamo talmudiche per brevità) e che la sua importanza nel sentimento popolare sia cresciuta in epoca recentissima (diciamo da un secolo in qua) come “festa d’inverno” da affiancare al Natale cristiano, a sua volta “dopato” dal consumismo del XX secolo.
Due importanti testi agostiniani
Anche i cristiani hanno almeno un enorme paradosso sui Maccabei: per loro hanno infatti nutrito calorosa devozione quando erano scomodi nei confronti degli ebrei (come nel tardo-antico) o dei protestanti (in evo moderno), mentre ai nostri giorni li lasciano pressappoco ignorati nei libri meno letti delle Scritture. Negli anni ’20 del IV secolo Agostino scriveva:
Da questo periodo alla restaurazione del tempio non si ebbero in Giudea re ma principi fino ad Aristobulo 155. Però la cronologia di questo periodo non si ha nei libri della Scrittura, considerati canonici, ma in altri, fra cui i Libri dei Maccabei che non i Giudei ma la Chiesa ritiene canonici a causa della pena di morte subita con ammirevole coraggio da alcuni martiri i quali, prima che il Cristo venisse nel mondo, si batterono fino alla morte e sopportarono indicibili sofferenze per la legge di Dio 156.
Aug., De civitate Dei XVIII,36
Ecco accennato il punto dolente, del quale diremo meglio tra poco: i fatti attestati nei libri dei Maccabei (composti in greco, ma da ebrei alessandrini) attestano che l’istituzione monarchica era venuta meno in Israele, e questo poneva grossi problemi apologetici ai giudei mentre offriva un’importante argomentazione per i cristiani – se la dinastia di Davide è terminata, come potrà il Messia discendere da lui? E se non può più venirne alcuno, ciò non implica che uno ce n’è già stato?
Per questa ragione, oltre che per i contenuti di meravigliosa edificazione, i cristiani accolsero con gioia i libri dei Maccabei, al punto da edificare loro delle basiliche martiriali! Ci è conservato un intero sermone agostiniano dedicato ad argomentare la legittimità e la liceità dell’appropriazione dei Maccabei ad opera dei cristiani. Tanta è la sua bellezza che in questo contesto ci piace riportarlo per intero:
La gloria dei Maccabei ha reso solenne per noi questo giorno. Mentre si dava lettura delle loro straordinarie ‘passioni’, abbiamo non solo ascoltato, ma abbiamo persino veduto e siamo rimasti intenti a contemplare. Esse si compirono un tempo, prima dell’incarnazione, prima della passione del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo. Vissero in quel primo popolo, in mezzo al quale sorsero i Profeti, i quali ne predissero la venuta. Né alcuno pensi che non vi sia stato un popolo di Dio prima che vi fosse un popolo cristiano. Anzi, per così dire – com’è la verità non la consuetudine dei nomi – persino il popolo cristiano allora fu quel popolo. Non è infatti che Cristo cominciò ad avere un popolo dopo la sua passione, ma era suo il popolo discendenza di Abramo; rendendo a questi testimonianza, il Signore stesso affermò: Abramo desiderò vedere il mio giorno; e lo vide e se ne rallegrò 1. Nacque dunque da Abramo quel popolo, che fu schiavo in Egitto e che, dopo essere stato liberato con mano potente dal paese della schiavitù per mezzo di Mosè, servo di Dio, condotto attraverso il Mar Rosso per il ritrarsi dei flutti, provato nel deserto, sottoposto alla Legge, viene stabilito nel regno. Da esso, come ho detto, sorsero i Profeti, da esso fiorirono questi martiri. È certo che Cristo non era ancora morto: ma fece di loro dei martiri Cristo che doveva morire.
2. Perciò è anzitutto questo da raccomandarsi alla Carità vostra: di guardarvi dal non ritenerli cristiani quando provate ammirazione per quei martiri. Furono cristiani, ma con le opere anticiparono il nome di cristiani, diffuso più tardi. È però evidente come per loro non si trattasse di confessare Cristo; dal re empio e persecutore non erano costretti a rinnegare Cristo. Più tardi i martiri, quando a questo venivano indotti, per evitarlo, raggiunsero una simile gloria. Infatti i persecutori del popolo cristiano, che seguirono nel tempo, costringevano i loro perseguitati a rinnegare il nome di Cristo; quelli, opponendo estrema resistenza nella fede nel nome di Cristo, pativano dei tormenti quali, mentre se ne dava lettura, abbiamo saputo che costoro avevano tollerato. Dunque, a questi martiri più recenti, che a migliaia hanno imporporato la terra, si imponeva e si ripeteva dai persecutori: rinnegate Cristo.. Rifiutandosi di farlo, pativano di quelle sofferenze che anche costoro subirono. Certo, a questi si diceva: Rinnegate la Legge di Mosè. Si rifiutavano: soffrivano per la Legge di Mosè. Questi per il nome di Cristo, quelli per la Legge di Mosè.
3. Viene fuori un giudeo a direi: Come mai questi nostri li annoverate tra i vostri martiri? Con quale inconsideratezza ne celebrate la memoria? Leggete le loro confessioni: notate se confessarono Cristo. Gli risponderemo: Veramente sei uno di quelli che non hanno creduto in Cristo e, tagliati dall’olivo, subentrando l’oleastro, rimasero disseccati fuori 2; che dirai, uno dei perfidi? Quelli non confessavano ancora apertamente Cristo, perché il mistero di Cristo rimaneva ancora celato. Infatti il Vecchio Testamento è il velamento del Nuovo, mentre il Nuovo Testamento è la rivelazione del Vecchio Testamento. Dei Giudei non credenti, tuoi padri, ma tuoi fratelli nel male, fa’ perciò attenzione; di quei tali, bada a quel che dice l’apostolo Paolo: Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore. Quel medesimo velo rimane, alla lettura del Vecchio Testamento, esso non sarà rimosso, perché è in Cristo che viene eliminato. Ma quando sarai convertito a Cristo – dice – quel velo sarà tolto 3. Il velo – dice – rimane alla lettura del Vecchio Testamento, esso non sarà rimosso perché è in Cristo che viene eliminato: non la lettura del Vecchio Testamento, ma il velo che vi è steso sopra. Insomma, la lettura del Vecchio Testamento non viene eliminata, ma portata a compimento da colui che ha detto: Non sono venuto ad abolire la Legge, ma a darle compimento 4. Il velo, dunque, viene eliminato perché diventi intelligibile quel che era oscuro. Ciò era senza dubbio chiuso, perché non si era ancora introdotta la chiave della croce.
4. Infine, fissa lo sguardo alla passione del Signore, fa’ che sia presente ai tuoi occhi mentre pende dalla croce, e quasi leone, per sua volontà ivi disteso, che non in forza della necessità sta morendo per uccidere la morte, ma avendone il potere. Proprio a questo sii attento: fra l’altro, nota che sulla croce ha detto: Ho sete 5. E mentre i Giudei, senza rendersi conto di quel che facevano e di propria mano portavano a compimento, legarono ad una canna una spugna imbevuta di aceto e gliela porsero da sorbire, egli, ricevuto l’aceto, avvertì: È compiuto. E, chinato il capo, rese lo spirito 6. Chi intraprende un viaggio così come egli morì, con altrettanta verità e potenza di lui che aveva detto: Ho il potere di offrire la mia anima e di riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso e la riprendo di nuovo 7? Viene a conoscenza del regno del Vivente chi ha degnamente considerato la potenza di lui che muore. Ma proprio ai Giudei aveva detto questo per mezzo del Profeta: Io mi sono addormentato 8. Come volesse dire: Perché vi vantate della mia morte? Perché vi gloriate inutilmente quasi mi abbiate vinto? Io mi sono addormentato. Iomi sono addormentato perché ho voluto, non perché da parte vostra siete stati uccisori. Io ho portato a termine quel che ho voluto: voi siete rimasti nel peccato. Perciò, accettato e sorbito l’aceto, disse: È compiuto 9. Che cosa è compiuto? Ciò che è stato scritto di me. Che cosa è stato scritto di lui? Hanno messo fiele nel mio cibo, e quando avevo sete mi hanno dato da bere aceto 10. Comprendendo in un’attenta considerazione tutti i particolari di quanto si era svolto durante la passione di lui: ora quelli avevano scosso il capo davanti alla croce, ora avevano accostato il fiele, ora avevano potuto contarne le ossa mentre pendeva teso, ora venivano divise le vesti, ora avevano tirato a sorte la tunica inconsutile, dopo uno sguardo di insieme, e dopo aver in certo modo enumerato tutto quanto i Profeti avevano predetto di lui, rimaneva un non so che di minor conto: E quando avevo sete mi hanno dato da bere aceto. Per aggiungere questo poco che era rimasto, disse: Ho sete. Ricevuto quel poco che era rimasto, avvertì: È compiuto. Detto questo, chinato il capo, rese lo spirito 11. Allora le fondamenta della terra si scossero, allora, infrantesi le rocce, vennero in luce le profondità della terra, allora i sepolcri restituirono i morti; e per dire la ragione per cui abbiamo esposto tutto ciò, poiché era tempo ormai che nel mistero della croce tutto quanto era occulto nel Vecchio Testamento venisse rivelato, il velo del tempio si squarciò 12.
5. D’allora, quindi, dopo la risurrezione, si cominciò ad annunziare Cristo apertamente. Si venne al momento in cui le cose che erano state predette cominciarono a compiersi nel modo più palese: ecco i primi martiri a dare le più ferme testimonianze di Cristo. I martiri confessarono, rivelato, proprio colui che allora i Maccabei confessarono non rivelato. Questi morirono per Cristo presentato nel Vangelo; quelli morirono per il nome di Cristo celato nella Legge. Appartengono a Cristo gli uni e gli altri, Cristo ha aiutato nel combattimento gli uni e gli altri, Cristo ha coronato gli uni e gli altri. Cristo ha gli uni e gli altri al suo servizio, come chi è di elevatissima potenza e procede con una schiera di uomini fedeli, fra alcuni che lo precedono ed altri che lo seguono. Fissa piuttosto il tuo sguardo proprio su di lui che è capo nel veicolo della carne: a lui rendono omaggio quelli che precedono, a lui sono devoti quelli che seguono. Infatti, perché tu sappia – sappia chiaramente che morendo per la Legge di Mosè sono morti per Cristo – ascolta Cristo stesso, ascolta, o giudeo, e si apra finalmente il tuo cuore e si tolga il velo dai tuoi occhi. Se credeste a Mosè, credereste anche a me 13. Questo ascolta, questo accogli, se puoi. Se sono riuscito ad eliminare il velo, guarda. Se credeste – dice – a Mosè, credereste anche a me: di me infatti egli ha scritto 14. Se Mosè ha scritto di Cristo, chi veramente è morto per la Legge di Mosè, ha dato la vita per Cristo. Di me – dice – egli ha scritto. Coluial quale resero omaggio le lingue dei confessori, è pure colui al quale rese omaggio la cannula di quanti scrissero cose vere. Come potrete comprendere la cannula di Mosè, voi che avete apposto aceto alla canna? Voglia il cielo che una buona volta beviate il vino di lui al quale, anche al presente, bestemmiando, porgete aceto.
6. Pertanto, i Maccabei sono martiri di Cristo. Quindi, non impropriamente, non a sproposito, anzi certamente doverosa da parte dei cristiani la celebrazione del loro giorno, la loro solennità. Sanno celebrare qualcosa di simile i Giudei? Si fa notare che in Antiochia è eretta una basilica in onore dei santi Maccabei, cioè in quella città che porta proprio il nome del re persecutore. In realtà, ebbero a soffrire da parte di Antioco, l’empio re persecutore, e il ricordo del loro martirio viene celebrato in Antiochia, così che risuonano insieme e il nome del persecutore e la memoria di colui che dà la corona. Questa basilica è tenuta dai cristiani, ed è stata costruita da cristiani. Perciò siamo noi a doverne celebrare la memoria, noi la conserviamo: da noi i loro sacrifici sono stati imitati in tutto il mondo da migliaia di santi martiri. Quindi nessuno si ritragga, fratelli miei, dall’imitare i Maccabei e che non pensi, imitando i Maccabei, di non imitare dei cristiani. Si accenda veramente nei nostri cuori il desiderio dell’imitazione. Gli uomini imparino a morire per la verità. Imparino le donne da tanta pazienza e dalla fortezza superiore ad ogni dire della loro madre, che sapeva salvare i propri figli. Sapeva possedere quelli che non temeva di perdere. Questi avvertirono i patimenti ciascuno nel proprio corpo, quella, vedendo soffrire, soffrì in tutti loro. La madre dei sette martiri divenne sette volte martire: non separata dai figli che seguiva con lo sguardo, e unita ai figli morendo. Tutti li vedeva, tutti li amava. Aveva negli occhi quel che era nella carne di tutti; non soltanto non ne restava atterrita, ma giungeva a incoraggiarli.
7. Il persecutore Antioco la ritenne simile alle altre madri. «Convinci tuo figlio – disse – perché non muoia». E quella: «È certo che persuaderò mio figlio a vivere incoraggiandolo a morire: tu vuoi indurlo alla morte risparmiandolo». Ma quale non fu l’esortazione, quanto pia, quanto materna, come volta a procedere secondo il doppio senso spirituale e carnale! Figlio, abbi compassione di me – disse – abbi compassione di me che ti ho portato in seno nove mesi, ti ho allattato per tre anni, ti ho condotto a questa età: abbi compassione di me 15. Tutti si attendevano parole di conseguenza: Ubbidisci ad Antioco, non abbandonare tua madre. Quella, al contrario: Ubbidisci a Dio, non abbandonare i tuoi fratelli. Se ti sembra di abbandonarmi, proprio allora non mi abbandoni. Ivi ti avrò, dove non avrò più timore di perderti ancora. Ivi ti conserverà a me Cristo, dal quale Antioco non potrà strappare. Ebbe timore di Dio, ascoltò la madre, rispose al re, si unì ai fratelli, attirò la madre.
Aug., s. 300
Considerazioni storiche
Nel 2005 Luigi Pizzolato e Chiara Somenzi hanno curato un saggio dedito precisamente a ricostruire contorni e sfondi di una temperie per noi remota. Scrive Somenzi:
In genere anche la letteratura rabbinica antica non dà prova di grande entusiasmo per il ricordo dei Maccabei e delle loro gesta, anche a causa dell’alleanza stabilita da Giuda Maccabeo con i Romani, vista come un tradimento. Anche gli autori pagani che hanno scritto sugli | Ebrei non si sono mai interessati molto ai Maccabei: gli unici due autori che hanno fatto riferimento alla fase maccabaica della storia giudaica sono stati Pompeo Troppo e Tacito. L’interesse di Egesippo per i Maccabei sembra dunque corrispondere piuttosto ad una visione tipicamente cristiana della storia giudaica che intende misurarsi con il giudaismo stesso.
Luigi F. Pizzolato e Chiara Somenzi, I sette fratelli Maccabei nella Chiesa antica d’Occidente, Milano 2005, pp. 62-63
La polemica non era cultuale-culturale, ma riguardava l’esegesi di Gen 49,10, e da Giustino a Girolamo, passando per Egesippo e Cipriano, infiammava – di pari passo con la crescita del ruolo patriarcale degli Hillel:
All’epoca di Gerolamo infatti i patriarchae degli Ebrei, discendenti da Hillel, godevano non solo di grande prestigio ed autorità, pienamente riconosciuta dal governo romano con privilegi e titoli, ma, accampando, attraverso Hillel, una diretta ascendenza davidica, si presentavano come i continuatori della series dei re giudei. I Padri della Chiesa, posti di fronte alla potenza del patriarca ebreo, potenza che crebbe progressivamente dal III fino alla fine del IV sec., dovettero impegnarsi seriamente per provare che, nonostante questo, lo scettro, a partire da Cristo, era stato tolto a Giuda e la serie dei re davidici non continuava affatto nei patriarchi ma si era interrotta con Cristo nel quale si era compiuta la profezia di Gen 49,10.
Ivi, 64
Nel suo Commento ai Salmi, infatti, Girolamo introdusse una chiosa storico-politica che per la temperie del confronto tra la Chiesa e la Sinagoga era allora piuttosto pesante:
I giudei dicono che il Signore ha promesso con giuramento di non far mai mancar loro un condottiero o un capo [dux sive princeps], che attualmente identificano coi loro patriarchi: «Ecco, il Signore conserva ancora al giorno d’oggi il suo giuramento con noi!». Ma se davvero ne sono convinti, come mai li vediamo sottomessi alla potestà romana e piegarsi ai comandi degli imperatori?
Hier., In ps. LXXXVIII, v. 1
I Maccabei avevano agito con lucidità politica, cercando l’alleanza coi romani, ma non potevano immaginare (e comunque non avrebbero avuto alternative valide) che l’alleato di allora sarebbe rapidamente diventato il nuovo oppressore. Il partito farisaico, dunque, che avrebbe condotto il giudaismo del I secolo fuori dall’impasse delle Guerre Giudaiche, si trovava nella scomoda posizione di chi da un lato deve molte posizioni di comfort ai patti con l’ex alleato e dall’altro non si può gloriare nel presente delle politiche avvedute di un secolo prima.
Dunque Egesippo intende fondare la propria polemica antigiudaica sul piano storico, tracciando una sorta di “controstoria” del regno giudaico, la cui decadenza, con il venir meno della regolare successione di sacerdoti e re, avrebbe avuto inizio da Erode, re non giudeo (ma solo “semigiudeo” perché idumeo, secondo la testimonianza di Giuseppe Flavio seguita da Egesippo), in coincidenza con la venuta del Cristo, vero re, per giungere fino alla distruzione del Tempio e di Gerusalemme, definitiva sanzione della fine del regno giudaico. Se si considera dunque che, in una visione storica cristiana, poiché dopo la venuta di Gesù la storia del regno giudaico non può assolutamente continuare, è proprio con i Maccabei (e con i loro discendenti Asmonei) che si chiude il “tempo storico” del popolo ebraico, non è peregrino ipotizzare che al ruolo preminente assegnato da Egesippo ai Maccabei nella storia giudaica sulla base di una parola “profetica”, possa essere collegato un preciso valore polemico antigiudaico. Alcuni dati interni sembrerebbero confermarlo: coerentemente con la lettura cristiana di Egesippo di una degenerazione della monarchia giudaica a partire da Erode, usurpatore del regno, la storia maccabaica viene infatti presentata come una fase ancora positiva e “sana”, della cui bontà è espressione proprio quell’alleanza stipulata con i Romani che screditò i Maccabei presso i Farisei.
Ivi, 65
Verso una memoria riconciliata (…e condivisa?)
Oggi che siamo tutti generalmente più disposti a considerare con indulgenza i paradossi (perfino le contraddizioni) delle posizioni nostre e altrui, in un’epoca in cui di solito neppure si prova più a illustrare la verità del cristianesimo mediante il compimento delle profezie nel Cristo, cristiani ed ebrei si trovano davanti a un avversario comune, che corrode il senso di riti e simboli più sagacemente ma non meno violentemente di quanto Antioco IV facesse coi nostri padri. Ridurre Hannukkàh a un’incolore “festa delle luci” è come lasciarsi imporre la vulgata di Gesù “brav’uomo”: impuntarsi sul fatto che le sufganiyôt (bombe alla crema) devono essere fritte in ossequio all’olio delle lampade maccabaiche, e non cotte al forno, sarebbe come sentenziare che “il Pandoro è il dolce di Natale per eccellenza perché letto alla greca il suo nome significa “tutto dono”, come Gesù”.
Dalla rivelazione giudaico-cristiana il mondo si attende la Verità, cioè quel che più di tutto desidera e che da sé neppure riesce a immaginare adeguatamente: celebriamo con gioia e gratitudine i Maccabei, bandendo le gelosie per questo piccolo martirologio convidiso, e disponiamoci a far ardere sul candelabro della nostra anima
la luce vera,
Gv 1,9
quella che illumina ogni uomo.
Note
↑1 | Nonché il memoriale della fondazione della stessa festa. |
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