Ho scritto una tesi su Ildegarda di Bingen, santa monaca medievale renana dagli molteplici talenti: sgombrando il campo da ogni equivoco, nonostante lo studio delle sue opere e dei testi a lei dedicati, non mi sento un’esperta. Posso limitarmi ad affermare di avere avuto, durante questi anni, alcune intuizioni riguardo al suo carisma proteiforme e alle sue plurime attività. Probabilmente ho compreso soltanto qualche briciola in più di questa donna straordinaria, che spero si conosca – negli anni a venire – sempre più e meglio. E che io stessa spero di conoscere sempre più e meglio.
Tra i tanti aspetti che la riguardano, la “cucina” di Ildegarda è uno di quelli che inizialmente mi ha poco attratto. Il motivo? Non apprezzo particolarmente la rappresentazione di Ildegarda che va per la maggiore sui media (anche cattolici, purtroppo) come cuoca/nutrizionista, oscurando altri aspetti, a mio parere (ma non solo) più importanti, relativamente alla sua figura. Parlare spesso e sempre della cucina di Ildegarda la rende come la suor Germana del Medioevo, ma, senza nulla togliere alla brava consacrata esperta in cucina, che ci ha lasciato l’anno scorso, la santa renana, donna eccezionale vissuta nel Medioevo, è veramente tantissimo altro in più. C’è, però, anche qualcosa che riguarda noi prima che lei: la riduzione di Ildegarda a nutrizionista ante-litteram non sminuisce solo la sua santità ma anche il nostro cammino di fede. Alimentarsi in modo sano è certamente uno dei modi per onorare il nostro corpo come tempio dello Spirito Santo, ma le patate marce del Santo Curato d’Ars dovrebbero farci capire che la santità non è roba da corretto stile nutrizionale. Sembrerebbe scontato, ma non è così. Capita che oggi ci si balocchi spesso con l’idea che leggere certi libri, seguire certi influencer cattolici, votare certi partiti, persino seguire certe alimentazioni dia automaticamente la patente di buoni cristiani. Mi piace tornare a queste riflessioni di Papa Francesco:
Può capitare anche a noi di mettere il Signore “in disparte”, di metterlo in un angolo del cuore, continuando a ritenerci religiosi e per bene e ad andare avanti per la nostra strada senza lasciarci conquistare dalla logica di Gesù. Ma c’è una verità: Egli però ci accompagna, ci accompagna in questa lotta interiore, perché desidera che, come gli Apostoli, scegliamo la sua parte. C’è la parte di Dio e c’è la parte del mondo. La differenza non è tra chi è religioso e chi no. La differenza cruciale è tra il vero Dio e il dio del nostro io.
Francesco, Omelia nella Santa Messa in Piazza degli Eroi (Budapest), Domenica, 12 settembre 2021
Tuttavia, anch’io sono figlia di questa epoca, in cui il ritorno ad un’alimentazione più sana possibile è diventato quasi un diktat (lontani ormai i tempi in cui andare per fast food sembrava un modo di nutrirsi come un altro): col tempo ho finito per avvicinarmi a quanto Ildegarda ha avuto da dire sul cibo. Leggendo con calma il Liber subtilitatum (già dal titolo, a scanso di equivoci, non proprio un testo di ricette), in un’agevole traduzione italiana, ho potuto carpire qualche “segreto” alla sapiente monaca medievale e, con entusiasmo, ho provato a condividerlo con chi mi è accanto. Alcune persone si sono mostrate piuttosto interessate, soprattutto quelle con tribolazioni gastro-intestinali, vere o presunte. La maggior parte, però, poiché lo scibile ildelgardiano ribalta alcune delle nostre comuni credenze, ha espresso notevoli riserve e mi sono sentita rivolgere queste osservazioni critiche:
- la sapienza di Ildegarda era limitata perché non conosceva i progressi scientifici;
- l’alimentazione proposta da Ildegarda non tiene conto delle nuove scoperte in fatto di proprietà degli alimenti;
- e, persino, il naïf ma piuttosto efficace “Ildegarda non capisce nulla di cucina”.
A queste osservazioni vorrei rispondere adesso, e, con l’occasione, approfittarne per chiarire alcuni punti che mi stanno a cuore, avendo frequentato un poco le pagine della santa.
Ildegarda, prima di tutto, è una donna di fede e preghiera
Non è stata proclamata santa per le sue composizioni musicali, né per i suoi rimedi medicinali, né – ça va sans dire – per le sue osservazioni sugli alimenti. Non è stata proclamata santa nemmeno per le sue visioni, giusto per fare chiarezza, visto che le esperienze soprannaturali di Ildegarda ci spingerebbero – come ci capita, talvolta, di pensare anche per altri santi (Bernadette Soubirous in primis) – a credere che un dono di Dio, meno consueto degli altri, metta subito l’aureola in testa a chi lo riceve.
Ildegarda ha faticato come tutti noi e, più di noi, come tutti gli altri giunti alla gloria degli altari. Ha sofferto fino agli ultimi momenti della sua vita, con un penoso braccio di ferro con il clero di Magonza per la questione della sepoltura di un uomo ritenuto scomunicato. La monaca santa si riconosce creatura umile, cinis cineris, paupercula femina, espressioni che non hanno bisogno di traduzioni per farci comprendere che non ha ambizioni di alcun tipo quando scrive le sue opere.
Inoltre Ildegarda non ci illude: non tutto ciò che ci consiglia risolverà i nostri mali fisici. Più volte leggiamo nel Liber subtilitatum che un certo rimedio otterrà il suo scopo a meno che il Signore non decida diversamente. Ritengo l’acquisizione più importante da tenere in conto per non rischiare di procurarsi un suo testo come compreremmo un qualsiasi manualetto contemporaneo che promette la felicità buttando vecchi oggetti, spostando mobili o mangiando sano.
Ildegarda non è una cuoca né una nutrizionista così come noi intendiamo le due figure oggi
La nostra contemporaneità ha queste due categorie in mente, con caratteristiche determinate, ma non possiamo fare entrare la nostra santa né nell’una né nell’altra, magari con qualche spinta più o meno energica. Qualcuno si stupirebbe, per esempio, leggendo che, nel testo già citato, Ildegarda osserva dal punto di vista naturalistico – e potremmo dire farmacologico – anche le pietre, gli animali (non solo quelli commestibili) e le piante. Ildegarda, dunque, non è una cuoca: si offre a noi come una studiosa della natura, raccoglitrice di informazioni avute da altri ed esperite personalmente. Non troveremo suggerimenti per golosità “da leccarsi i baffi”. Nonostante qui e lì spuntino dei ricettari ispirati ad Ildegarda, lei non ci ha lasciato ricette così come le intendiamo noi, sempre in cerca, come siamo, del modo in cui solleticare il gusto all’estremo.
I noti “biscotti della gioia”, zuccherati o preparati con il miele (alimento che Ildegarda non apprezza: qui vediamo tutto il paradosso delle nostre ricette a lei ispirate…), in realtà sono un’invenzione postuma per rendere gradevole al nostro palato la semplice preparazione di un alimento a base di semola, chiodi di garofano, cannella e noce moscata che la nostra santa non aveva previsto né come cibo salato né come cibo dolce, ma ottimo, a suo dire, per rallegrare l’animo. I ricettari ispirati ad Ildegarda devono dunque essere presi con le pinze perché spesso contengono libere interpretazioni sia sugli alimenti che sul loro uso, non di rado in contraddizione con quanto raccomandato dalla santa. In ogni caso, la maggior parte delle volte, Ildegarda si limita a descrivere un alimento, a indicare il modo in cui dev’essere consumato, ad indicarne le sue proprietà medicinali e l’uso terapeutico che occorre fare di questo, senza dare ricetta alcuna.
Potremmo allora definirla una nutrizionista? Nemmeno. Ildegarda – fedele al vero spirito del Cristianesimo, talvolta tradito nei secoli – cerca di tenere insieme anima e corpo, non dimenticando mai che la salvezza riguarda l’interezza della persona. Pensa, dunque, come un buon nutrizionista, che la salute è anche un fatto di buona tavola, ma sorriderebbe a vederci così prigionieri dei moderni test che cercano di trovarci, a tutti i costi, intolleranti a qualcosa (glutine, lattosio, fruttosio…), convinti come siamo che abbiamo necessità di un menu personalizzato e che quanto abbiamo mangiato fino al giorno prima diventi il nostro nemico giurato il giorno dopo, solo perché “l’ha detto il nutrizionista”. Più prosaicamente ci inviterebbe a provare ad ascoltare il nostro corpo, seguendo poche regole, tra cui: non tutto ciò che è commestibile è utile alla nostra salute, sia come singoli (Ildegarda distingue spesso tra sani, ammalati, malati di precise patologie, persone in sovrappeso), sia come uomini in genere. Con equilibrio, tuttavia, perché, spesso, quell’alimento che crudo è dannoso, cotto fa bene (e viceversa). Oppure è un cibo che va meglio per qualcuno mentre altri devono assumerlo solo in alcuni casi.
Non critico cuochi e nutrizionisti, che cercano di fare al meglio il loro mestiere: ma l’idea pervasiva degli ultimi anni della ricerca del gusto a tutti i costi e, al tempo stesso, della medicalizzazione dei menu – anche in soggetti prevalentemente sani – mi sembra piuttosto perniciosa. Per l’anima (perché fomenta le nostre insicurezze e paranoie) se non per il corpo.
Ildegarda è portatrice di una sapienza medievale che a tratti eredita a tratti sperimenta personalmente
San Benedetto – al cui ordine si ascrive anche Ildegarda – ha profondamente legato, nell’esperienza del monachesimo, la contemplazione all’azione. Preghiera e lavoro per il monaco rappresentano il modo di vivere la propria unione con Dio. Anche Ildegarda si dedica con alacrità alla preghiera e ai compiti che una donna del tempo può svolgere. Il Liber subtilitatum nasce in questo contesto e si nutre sia di quanto Ildegarda ha appreso nella sua comunità di consorelle, acquisendo anche la sapienza dei secoli passati, che di quanto ha provato personalmente.
La sua sapienza ha dei limiti geografici (è principalmente imperniata su quanto appreso ed esperito riguardo ad una natura tipicamente nordica), temporali (non tratta alimenti che saranno importati in Europa successivamente alla sua morte), culturali (come definire altrimenti se non ascrivibile al proprio tempo la descrizione dell’unicorno? O leggere certi medicamenti con ingredienti quali polvere di becco di un avvoltoio?). Eppure, per questi motivi, Ildegarda non può essere liquidata con un’alzata di spalle o con un sorrisetto ironico. Innanzitutto, perché, leggendo le sue pagine, spesso si riconoscono intuizioni che la scienza ha poi confermato successivamente.
In secondo luogo, perché lo stesso “ritorno al naturale” del nostro tempo – che ci spinge a correre dappertutto alla ricerca dei grani antichi, dei cibi desueti, di ciò che mangiavano i nostri nonni o di ciò che si consuma in Oriente dalla notte dei tempi (l’esotismo non passa mai di moda) – ci fa comprendere come non tutta la sapienza di chi ci ha preceduto sia da accantonare con sufficienza. Ogni volta che sento un certo ministro parlare con disprezzo di Medioevo, quando accade qualcosa di non condivisibile o criminale, ho un attacco di orticaria.
Vorrei dirgli di tornare sui banchi di scuola e studiare, ma è tardi, per lui come per altri: si è sempre in tempo, però, per innamorarsi di Ildegarda e, attraverso di lei, scoprire parte dell’enorme ricchezza medievale. Arrivati alla fine di questa riflessione, sono certa che siete un poco delusi perché – come minimo – vi aspettavate qualche anticipazione importante su questo o quell’alimento. In realtà la rete è piena dei suggerimenti tratti dai suoi testi: io, però, vi consiglio di andare alle sue pagine. Anche questo fa parte del “gioco”: ci si innamora per esperienza diretta, non per ciò che ci viene riportato da altri. Buona scoperta di Ildegarda a tutti.
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