Sarà perché ho vissuto gli anni del mio catechismo in un contesto parrocchiale quasi idilliaco nella mia percezione, perché la venerazione del Santo Padre Giovanni Paolo II era molto sentita nel circondario e specialmente da mia madre e mia nonna, o perché l’adorazione del Corpo Eucaristico era in famiglia un caposaldo tale che in Chiesa si poteva voltare le spalle all’edicola del Corpus Christi solo dopo essersi segnati con la croce, ma mi è sempre sfuggito il motivo della polemica sul celibato sacerdotale a vedere come la vita famigliare, fino a una certa età, mi apparisse specchio della vita religiosa, e al contempo contenuta in essa, nonché perché Wojtila era stato da me più volte udito affermare che la vocazione della famiglia e del matrimonio non era inferiore, ma parallela al sacerdozio, come due diversi carismi entrambi diretti al prossimo e in ultima istanza al Cielo. D’altronde, la Sacra Famiglia è oggetto di culto proprio in quanto figura di ciascuna famiglia tra le nostre, per quanto imperfetti tutti noi possiamo essere nel rassomigliarle nei nostri nuclei civili.
La lettura della traduzione italiana del libro di Jean Mercier, autore che in una vecchia intervista su Famiglia Cristiana sorrideva al paragone con il nostro Guareschi, regala molteplici sorprese al lettore. Dopo l’eccellente introduzione dell’autore, già pubblicata dal traduttore Giovanni Marcotullio qui su Breviarium tempo fa, una prima parte ripercorre nel dettaglio la storia del celibato nella Chiesa dalle origini a oggi. Adeguata attenzione viene rivolta ai diversi passaggi chiave: il concilio di Nicea nel 325, il concilio “In Trullo” del 691, la riforma di Gregorio VII, la controriforma, il Concilio Vaticano II e gli ultimi tre pontificati. Il resoconto di Mercier è lucido, sintetico, ma dettagliato, verrebbe da dire essenziale e bilanciato.
Tali caratteristiche si riscontrano poi in ancora maggior dettaglio nelle rimanenti quattro parti, laddove:
- la seconda è dedicata alle accuse rivolte al celibato per dimostrare che non sempre colpiscono il bersaglio;
- la terza parte studia le realtà già esistenti di preti sposati nel Cristianesimo latino, e specialmente quindi pastori protestanti e anglicani sposati convertiti secondo la Costituzione Apostolica Anglicanorum cœtibus;
- la quarta parte è dedicata ai preti sposati nelle altre chiese, specie orientali;
- nella quinta si ripercorrono gli esiti dell’intera inchiesta in vista delle conclusioni finali.
Già l’ampiezza e la portata dell’indagine, con le interviste a ciascun singolo prete sposato e spesso a sua moglie, dà l’idea dell’onestà e della serietà di Mercier, a cui interessa allargare il terreno del dibattito anziché chiuderlo. Unico appunto è che, per quanto possa essere vero che spesso le testimonianze dei “preti spretati”, come Gianni Gennari ci ricorda si chiamassero qualche tempo fa, siano compromesse, andrebbero in realtà anch’esse raccolte, con la voce annessa delle compagne, magari riuscendo a sollevare qualche altro elemento non rilevato soggiacente al dibattito, come nel volume Rubbettino di Enzo Romeo Lui, Dio e Lei: Il problema del celibato nella Chiesa (2018).
Dal canto mio, sento la prospettiva di Mercier, così equilibrato anch’egli nel rappresentare il pontificato Wojtila come un felice connubio tra le istanze tradizionaliste e progressiste nella Chiesa, tanto da poter dimenticare che quegli anni rispetto a oggi godettero di una benefica pax Dei, come particolarmente consona nel rilevare che la scarsità odierna delle ordinazioni sacerdotali fa anch’essa il paio con la corrispondente mancanza di matrimoni, stavolta ancora speculare nella carenza come lo fu nell’abbondanza. Parlando con un parroco di una piccola provincia, tempo fa, concordammo che la luce della fede nuziale è il riflesso della luce divina di cui è innanzitutto portavoce il sacerdote, così come la luna brilla riflettendo il sole.
Ma uguale equilibrio contraddistingue la disamina ad opera di Mercier su vantaggi e svantaggi della vita da sacerdote sposato: il prete non potrà mantenere la famiglia col solo conguaglio che gli spetta, quindi la moglie dovrà lavorare, però d’altro canto il prete sposato capirà meglio i problemi delle coppie e famiglie in parrocchia; oppure, il prete sposato metterà spesso moglie e figli prima dei suoi fedeli, però avrà una vita affettiva più compensata del celibe, spesso solo.
La radicalità della scelta del sacerdozio celibe è d’altronde lodata come e più del matrimonio, in quanto nel primo caso si raccoglie interamente la sfida al mondo di rinunciare a ogni bene eccetto il Signore e la sua generosità, mentre nel secondo caso non si rinuncerebbe alla moglie. Questo ragionamento, però, mi pare contraddittorio, perché allora il prete, ad esempio, non dovrebbe nemmeno avere una parrocchia, o avrebbe rinunciato a tutto tranne alla parrocchia. L’amore della donna e il suo dono libero di sé viene senz’altro da Dio anch’esso, così come viene da Dio anche il dono di sé alla donna.
Perciò ritengo personalmente che Mercier faccia bene a proporre, come fa nelle conclusioni, l’estensione a tutti i casi (di pastori protestanti e anglicani) in cui può essere opportuno della dispensa al celibato, ma ritengo anche che in egual modo debba dipendere caso per caso la possibilità per i preti già ordinati di sposarsi in seconda battuta, senza che ciò debba neppure diventare regola in questo secondo caso, come non lo deve già nel primo.
Riguardo la continenza come possibile condizione, già in passato, dello sposalizio sacerdotale, Mercier afferma in chiusura alla quinta parte:
Secondo la teologia cristiana, il prete che attualizza il sacrificio della croce durante la messa prende simbolicamente il posto del corpo di Cristo, il Tempio della Nuova Alleanza. Tutto sta nel sapere se, in quel momento, il corpo umano del prete deve essere anche conformato al corpo sacrificato di Cristo nella sua unione alla Chiesa, e se questo sacrificio debba essere simboleggiato dalla continenza.
Jean Mercier, Il celibato dei preti. La disciplina della Chiesa deve cambiare?, Cinisello Balsamo 2021, 352
Portando l’accento sulla crocifissione, sembra quasi che il sacerdote incontinente crocifigga Gesù per suo capriccio, ma se si prende in esame l’aspetto eucaristico del sacrificio, allora non vi è più spazio per dubitare che sia Gesù stesso a ordinarci di mangiare il Suo corpo, dacché la preoccupazione se l’unione amorosa del celebrante tradisca Nostro Signore mi pare francamente oziosa, un po’ come se ci domandassimo se il rito sia valido qualora il celebrante scriva poesie: Chi ha dato la vita, e quindi il Suo Tempio, per liberare dal peccato la nostra umanità, non teme né la lebbra, né la peste, né il recente Co-Vid 19, e di certo non temerà l’umana espressione d’amore.
Anche per via dell’ottima resa italiana di Giovanni Marcotullio, il volume di Mercier offre ampi spunti per questa e molte altre riflessioni, dà del filo da torcere ai semplificatori in buona fede o meno buona, ed è perciò un contributo al dibattito sul celibato dei preti immancabile nelle vostre librerie reali o virtuali, se siete interessati a tali argomenti per ogni possibile motivazione, dall’interesse storico-ecclesiastico al personale discernimento vocazionale, e oltre.
Tutto sta se il nostro “sacrificio” (sacrum facere) debba essere tutto ricondotto sempre solo e troppo spesso, all’aspetto della continenza fisica in particolare con riferimento alla sessualità.
Sembra quasi che così come il mondo ci racconti e ci voglia far credere che “tutto ruota attorno al sesso” (quando non è attorno al denaro), così l’alto e incommensurabile sacrificio sia proprio la rinuncia ad esso e talmente alto ed inarrivabile è questo traguardo, che è più che normale che l’Uomo cada e per uomo possiamo considerare anche l’uomo consacrato e/o ad esempio tutte le coppie che della castità nel fidanzamento, non conoscono neppure il senso.
In realtà è vero che il “sacrificio” (sacrum facere) dell’Uomo che si volge a Dio è quello della totale rinunzia di sé in favore dell’Altro – Dio nell’Altro – rinunzia al proprio IO, al proprio orgoglio, alla propria stessa vita, per amare Dio (e il Prossimo) con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze.
Ed ecco che allora sì, il “traguardo” diviene inarrivabile e lo diviene se si crede di poterlo raggiungere sulle proprie forze, se si rinunzia all’aiuto dello Spirito Santo (che non alberga dove c’è ombra di peccato), e la sessualità (istinto primario voluto da Dio), non è che una parte del tutto, né la la più grande parte, né la più importante, perché la CONTINENZA si applica in più di un aspetto della vita dell’Uomo.
Il matrimonio non è il rito nuziale, ma l’impegno reciproco alla fedeltà dei due fidanzati, fin dai patriarchi:
Matrimonio di Isacco
Genesi 24 Abramo era ormai vecchio, avanti negli anni, e il Signore lo aveva benedetto in ogni cosa. 2 Allora Abramo disse al suo servo, il più anziano della sua casa, che aveva potere su tutti i suoi beni: «Metti la mano sotto la mia coscia 3 e ti farò giurare per il Signore, Dio del cielo e Dio della terra, che non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito, 4 ma che andrai al mio paese, nella mia patria, a scegliere una moglie per mio figlio Isacco». 5 Gli disse il servo: «Se la donna non mi vuol seguire in questo paese, dovrò forse ricondurre tuo figlio al paese da cui tu sei uscito?». 6 Gli rispose Abramo: «Guardati dal ricondurre là mio figlio! 7 Il Signore, Dio del cielo e Dio della terra, che mi ha tolto dalla casa di mio padre e dal mio paese natio, che mi ha parlato e mi ha giurato: Alla tua discendenza darò questo paese, egli stesso manderà il suo angelo davanti a te, perché tu possa prendere di là una moglie per il mio figlio. 8 Se la donna non vorrà seguirti, allora sarai libero dal giuramento a me fatto; ma non devi ricondurre là il mio figlio».
9 Allora il servo mise la mano sotto la coscia di Abramo, suo padrone, e gli prestò giuramento riguardo a questa cosa. 10 Il servo prese dieci cammelli del suo padrone e, portando ogni sorta di cose preziose del suo padrone, si mise in viaggio e andò nel Paese dei due fiumi, alla città di Nacor. 11 Fece inginocchiare i cammelli fuori della città, presso il pozzo d’acqua, nell’ora della sera, quando le donne escono ad attingere. 12 E disse: «Signore, Dio del mio padrone Abramo, concedimi un felice incontro quest’oggi e usa benevolenza verso il mio padrone Abramo! 13 Ecco, io sto presso la fonte dell’acqua, mentre le fanciulle della città escono per attingere acqua. 14 Ebbene, la ragazza alla quale dirò: Abbassa l’anfora e lasciami bere, e che risponderà: Bevi, anche ai tuoi cammelli darò da bere, sia quella che tu hai destinata al tuo servo Isacco; da questo riconoscerò che tu hai usato benevolenza al mio padrone». 15 Non aveva ancora finito di parlare, quand’ecco Rebecca, che era nata a Betuèl figlio di Milca, moglie di Nacor, fratello di Abramo, usciva con l’anfora sulla spalla. 16 La giovinetta era molto bella d’aspetto, era vergine, nessun uomo le si era unito. Essa scese alla sorgente, riempì l’anfora e risalì. 17 Il servo allora le corse incontro e disse: «Fammi bere un pò d’acqua dalla tua anfora». 18 Rispose: «Bevi, mio signore». In fretta calò l’anfora sul braccio e lo fece bere. 19 Come ebbe finito di dargli da bere, disse: «Anche per i tuoi cammelli ne attingerò, finché finiranno di bere». 20 In fretta vuotò l’anfora nell’abbeveratoio, corse di nuovo ad attingere al pozzo e attinse per tutti i cammelli di lui. 21 Intanto quell’uomo la contemplava in silenzio, in attesa di sapere se il Signore avesse o no concesso buon esito al suo viaggio. 22 Quando i cammelli ebbero finito di bere, quell’uomo prese un pendente d’oro del peso di mezzo siclo e glielo pose alle narici e le pose sulle braccia due braccialetti del peso di dieci sicli d’oro. 23 E disse: «Di chi sei figlia? Dimmelo. C’è posto per noi in casa di tuo padre, per passarvi la notte?». 24 Gli rispose: «Io sono figlia di Betuèl, il figlio che Milca partorì a Nacor». 25 E soggiunse: «C’è paglia e foraggio in quantità da noi e anche posto per passare la notte».
26 Quell’uomo si inginocchiò e si prostrò al Signore 27 e disse: «Sia benedetto il Signore, Dio del mio padrone Abramo, che non ha cessato di usare benevolenza e fedeltà verso il mio padrone. Quanto a me, il Signore mi ha guidato sulla via fino alla casa dei fratelli del mio padrone». 28 La giovinetta corse ad annunziare alla casa di sua madre tutte queste cose. 29 Ora Rebecca aveva un fratello chiamato Làbano e Làbano corse fuori da quell’uomo al pozzo. 30 Egli infatti, visti il pendente e i braccialetti alle braccia della sorella e udite queste parole di Rebecca, sua sorella: «Così mi ha parlato quell’uomo», venne da costui che ancora stava presso i cammelli vicino al pozzo. 31 Gli disse: «Vieni, benedetto dal Signore! Perché te ne stai fuori, mentre io ho preparato la casa e un posto per i cammelli?». 32 Allora l’uomo entrò in casa e quegli tolse il basto ai cammelli, fornì paglia e foraggio ai cammelli e acqua per lavare i piedi a lui e ai suoi uomini. 33 Quindi gli fu posto davanti da mangiare, ma egli disse; «Non mangerò, finché non avrò detto quello che devo dire». Gli risposero: «Dì pure». 34 E disse: «Io sono un servo di Abramo. 35 Il Signore ha benedetto molto il mio padrone, che è diventato potente: gli ha concesso greggi e armenti, argento e oro, schiavi e schiave, cammelli e asini. 36 Sara, la moglie del mio padrone, gli ha partorito un figlio, quando ormai era vecchio, al quale egli ha dato tutti i suoi beni. 37 E il mio padrone mi ha fatto giurare: Non devi prendere per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito, 38 ma andrai alla casa di mio padre, alla mia famiglia, a prendere una moglie per mio figlio. 39 Io dissi al mio padrone: Forse la donna non mi seguirà. 40 Mi rispose: Il Signore, alla cui presenza io cammino, manderà con te il suo angelo e darà felice esito al tuo viaggio, così che tu possa prendere una moglie per il mio figlio dalla mia famiglia e dalla casa di mio padre. 41 Solo quando sarai andato alla mia famiglia, sarai esente dalla mia maledizione; se non volessero cedertela, sarai esente dalla mia maledizione. 42 Così oggi sono arrivato alla fonte e ho detto: Signore, Dio del mio padrone Abramo, se stai per dar buon esito al viaggio che sto compiendo, 43 ecco, io sto presso la fonte d’acqua; ebbene, la giovane che uscirà ad attingere, alla quale io dirò: Fammi bere un pò d’acqua dalla tua anfora, 44 e mi risponderà: Bevi tu; anche per i tuoi cammelli attingerò, quella sarà la moglie che il Signore ha destinata al figlio del mio padrone. 45 Io non avevo ancora finito di pensare, quand’ecco Rebecca uscire con l’anfora sulla spalla; scese alla fonte, attinse; io allora le dissi: Fammi bere. 46 Subito essa calò l’anfora e disse: Bevi; anche ai tuoi cammelli darò da bere. Così io bevvi ed essa diede da bere anche ai cammelli. 47 E io la interrogai: Di chi sei figlia? Rispose: Sono figlia di Betuèl, il figlio che Milca ha partorito a Nacor. Allora le posi il pendente alle narici e i braccialetti alle braccia. 48 Poi mi inginocchiai e mi prostrai al Signore e benedissi il Signore, Dio del mio padrone Abramo, il quale mi aveva guidato per la via giusta a prendere per suo figlio la figlia del fratello del mio padrone. 49 Ora, se intendete usare benevolenza e lealtà verso il mio padrone, fatemelo sapere; se no, fatemelo sapere ugualmente, perché io mi rivolga altrove».
50 Allora Làbano e Betuèl risposero: «Dal Signore la cosa procede, non possiamo dirti nulla. 51 Ecco Rebecca davanti a te: prendila e và e sia la moglie del figlio del tuo padrone, come ha parlato il Signore».
52 Quando il servo di Abramo udì le loro parole, si prostrò a terra davanti al Signore. 53 Poi il servo tirò fuori oggetti d’argento e oggetti d’oro e vesti e li diede a Rebecca; doni preziosi diede anche al fratello e alla madre di lei. 54 Poi mangiarono e bevvero lui e i suoi uomini e passarono la notte. Quando si alzarono alla mattina, egli disse: «Lasciatemi andare dal mio padrone». 55 Ma il fratello e la madre di lei dissero: «Rimanga la giovinetta con noi qualche tempo, una decina di giorni; dopo, te ne andrai». 56 Rispose loro: «Non trattenetemi, mentre il Signore ha concesso buon esito al mio viaggio. Lasciatemi partire per andare dal mio padrone!». 57 Dissero allora: «Chiamiamo la giovinetta e domandiamo a lei stessa». 58 Chiamarono dunque Rebecca e le dissero: «Vuoi partire con quest’uomo?». Essa rispose: «Andrò». 59 Allora essi lasciarono partire Rebecca con la nutrice, insieme con il servo di Abramo e i suoi uomini. 60 Benedissero Rebecca e le dissero:
«Tu, sorella nostra,
diventa migliaia di miriadi
e la tua stirpe conquisti
la porta dei suoi nemici!».
61 Così Rebecca e le sue ancelle si alzarono, montarono sui cammelli e seguirono quell’uomo. Il servo prese con sé Rebecca e partì. 62 Intanto Isacco rientrava dal pozzo di Lacai-Roi; abitava infatti nel territorio del Negheb. 63 Isacco uscì sul fare della sera per svagarsi in campagna e, alzando gli occhi, vide venire i cammelli. 64 Alzò gli occhi anche Rebecca, vide Isacco e scese subito dal cammello. 65 E disse al servo: «Chi è quell’uomo che viene attraverso la campagna incontro a noi?». Il servo rispose: «E’ il mio padrone». Allora essa prese il velo e si coprì. 66 Il servo raccontò ad Isacco tutte le cose che aveva fatte. 67 Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara; si prese in moglie Rebecca e l’amò. Isacco trovò conforto dopo la morte della madre.