Buongiorno a tutti. Siate i benvenuti nel santuario di Notre-Dame du Laus, nelle Hautes-Alpes, per questa conferenza [pasquale] […].
In questo momento in cui gli spostamenti sono nuovamente soggetti a restrizioni, in Francia, abbiamo voluto manifestarvi il nostro sostegno fraterno, al Laus, e proporvi un accompagnamento spirituale durante il mese di aprile, grande mese di dispiegamento del mistero pasquale. Cosí per tutto il corso del mese e fino al 1º maggio, che ci farà entrare nel mese di Maria con la festa di Notre-Dame du Laus, il santuario alpino vi proporrà quattro settimane di ritiri online, ciascuno su una grande parola-chiave:
- risurrezione;
- misericordia;
- eucaristia; e
- Maria.
Quattro settimane per vivere insieme questo mese di risurrezione. Da seguire ogni giorno o come preferite; sappiate però che noi ci saremo, insieme con voi, con l’accompagnamento spirituale dei ritiri online, oltre ai 5 ufficî quotidiani trasmessi quotidianamente dalla nostra basilica.
Per questa prima settimana vi proponiamo di far risuonare in noi questa grande parola piena di speranza: “risurrezione”. Attraverso il ritiro online di questa Ottava di Pasqua aspiriamo a proclamare con sempre maggiore entusiasmo, malgrado e attraverso la prova della pandemia che perdura, questa grande e buona notizia, ancora piú importante della scoperta di un vaccino o della fine di una pandemia:
Cristo è risorto: veramente egli è risorto – alleluja!
È la notizia piú grande che l’umanità abbia mai inteso… eppure essa sembra non interessare una buona parte della stessa umanità. Quante persone hanno festeggiato Pasqua senza sapere perché? Quante neanche l’hanno festeggiata? Eppure tutti si pongono, prima o poi, la questione del senso della vita e della prospettiva della morte, ma la risurrezione di Cristo sembra non attrarli.
Lo spirito umano, però, è tanto assetato di senso: ai nostri giorni si va volentieri a guardare sul versante delle esperienze straordinarie; tra queste ci sono quelle che chiamiamo “esperienze di morte imminente” – meglio note con l’acrostico inglese NDE (per Near Death Experience) – e che affascinano molto.
Con la nostra fede cristiana, potremmo trascurare o guardare dall’alto in basso queste esperienze soggettive… Ma poiché esse interessano i nostri contemporanei sicuramente piú di quanto li interessi la Buona notizia di Pasqua, mi sembra opportuno in questa settimana dell’ottava pasquale considerare che cosa siano tali esperienze di morte imminente, per farne veicoli dell’annuncio della vittoria pasquale.
Un po’ come san Paolo, che secondo quanto riportano gli Atti disse cosí agli Ateniesi:
Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio.
Act 17,23
Nessun disprezzo, da parte dell’Apostolo, ma una pedagogia geniale che coglie ciò che preoccupa la gente per annunciare: quel che venerate senza conoscere, ecco io vengo ad annunciarvelo.
Ebbene, è cosí che vi propongo di approcciare le esperienze di morte imminente: non per assecondare una curiosità malsana o inutile, ma per trovarvi delle luci per poter proclamare a quanti vi stanno attorno:
Questa esperienza di vita dopo la morte, che voi attendete senza conoscere, ecco che ve la annuncio: Cristo è risorto. Veramente egli è risorto. Alleluja.
Affidiamoci allora al Risorto, perché egli ci illumini lungo il corso di questa meditazione.
Alleluja, alleluja, Gesú è vivo!
Alleluja, alleluja, Gesú è vivo!O Cristo Risorto, invia su di noi il tuo Spirito di verità, il tuo Spirito di Vita:
che Egli rischiari i nostri cuori, le nostre intelligenze e le nostre anime nella contemplazione della tua vittoria pasquale.Alleluja, alleluja, Gesú è vivo!
Alleluja, alleluja, Gesú è vivo!
Porre le basi di una riflessione cristiana sulle EMI
Perché la nostra meditazione sia veramente fondata sulla fede nella risurrezione di Cristo, vi propongo di porre in un primo momento le basi di una riflessione autenticamente cristiana sulle esperienze di morte imminente.
1) Di che cosa si parla?
Anzitutto cerchiamo di chiarire con precisione quello di cui parliamo, per evitare di deviare sul versante di pratiche esoteriche che non sono mai – assolutamente mai – nel progetto di Dio.
Ogni forma di ricerca di comunicazione con i morti è definita “abominio”, nella Bibbia:
Colui che interroga i morti è in abominio a Dio.
Deut 18,12
È un termine molto forte che intende rivelare chiaramente che queste pratiche sono fondamentalmente contrarie alla volontà di Dio. Ove mai queste pratiche vi attirassero, per amor del Cielo, fermatevi subito; andando contro la gloria di Dio e invocando forze che non sono in comunione con Lui, rischiate conseguenze drammatiche!
Il fenomeno delle EMI e la scienza
Ciò detto, guardiamo piú da vicino le esperienze di morte imminente, dunque non parliamo di invocazioni di morte né di auspicî formulati dai vivi, di andare a vedere ciò che accade dall’altra parte, ma di esperienze vissute da persone che non se le aspettavano. Da persone che sono morte clinicamente ma che sono tornate alla vita.
Di tali esperienze si può trovare già qualche indizio nella storia dell’umanità: lo studio dei testi antichi può lasciar pensare che alcune persone abbiano vissuto una forma di traversata della morte e di ritorno alla vita. Ne abbiamo testimonianze in scritti di ogni epoca della storia umana.
Si trovano cosí parecchi documenti che rendono conto di esperienze dell’aldilà (della morte) risalenti all’VIII secolo, in particolare quelle riportate dal monaco Beda il Venerabile, oppure ancora esperienze riportate nel XII secolo.
Forse conoscete anche il quadro di Hieronimus Bosch, del primo XVI secolo: rappresenta in modo assai suggestivo una scena con un grande tunnel luminoso. Il quadro s’intitola “Ascensione verso il paradiso celeste” e lascia pensare che l’artista abbia sentito parlare di qualcuno che abbia varcato la soglia della morte come un tunnel e una forza attrattiva espressa come una grande luce.
Ai nostri giorni, le testimonianze sono molto piú numerose, specialmente grazie ai recenti progressi delle tecniche di rianimazione. Un grandissimo numero di casi è stato quindi raccolto e studiato.
Il pioniere di questo tipo di ricerche è il famoso dottor Raymond Moody. Nel 1975 egli pubblicò un’opera di grande successo: La vita dopo la vita. Bisogna però sapere che questo psicologo non è stato riconosciuto da tutti gli scienziati come un ricercatore capace di approcciare il tema in modo sufficientemente scientifico.
A seguire, però, numerosi studî sono stati realizzati da ricercatori, medici rianimatori e altri scienziati i quali applicavano e applicano metodi rigorosi e hanno scritto articoli su riviste mediche di fama.
La prima constatazione che si deriva da tutto ciò è che il numero di testimonianze di morte imminente è molto importante.
Un’inchiesta condotta nel 1982 attesta che 8 milioni di statunitensi dicono di averne vissute. Un sondaggio del 1997, sempre negli USA, porta la cifra a 19,4 milioni di persone. In rapporto alla popolazione francese, potremmo stimare che circa 2 milioni di persone in Francia abbiano vissuto simili fenomeni.
Per la maggior parte, i medici rigettano tuttavia tali testimonianze, o non vi si interessano affatto: numerosi scienziati optano per interpretazioni psicologiche davanti alla paura della morte, o fisiologiche sulla soglia del trapasso, o farmacologiche in ragione di prodotti somministrati ai pazienti.
Cosí, per esempio, si formula l’ipotesi che il cervello, o per ipossia o per forti stress chimici, produrrebbe da sé delle immagini che sembrano reali. Instabilità del cervello, allucinazioni, disordine neurale oppure ormonale… sono queste le ipotesi spesso difese dai medici. Ma questi fenomeni sono possibili quando non c’è piú alcuna attività cerebrale?
In uno studio dal titolo “Esperienze di morte imminente: la ricerca di una spiegazione razionale”1Adrien Peyrache, « Expériences de mort imminente la quête d’une explication rationnelle », in La Recherche,nº 540, Ottobre 2018, pp. 60-64., nel 2018, Adrien Peyrache sostiene che spesso ci sia confusione fra morte cerebrale – quando il cervello è completamente inattivo – e morte clinica – quando il cuore si ferma ma il cervello può ancora avere una certa attività.
Da parte mia, non ho alcuna competenza medica che mi permetta di intervenire sulla questione: osservo soltanto che gli scienziati sono molto divisi, e talvolta un poco scombussolati da fenomeni che essi non riescono a spiegare pienamente – allo stato attuale della scienza medica.
Testimonianze soggettive
Resta il fatto che la frequenza e la concordanza delle testimonianze incoraggia a non disinteressarsene.
Certamente, si tratta di testimonianze soggettive – con tutto quanto può derivarne: in tali racconti non mancano le differenze e anche le divergenze, poiché necessariamente l’essere umano vi proietta ciò che fa parte della sua cultura, della sua credenza, delle sue aspirazioni o delle sue paure. È dunque necessaria una sana distanza in rapporto a queste testimonianze.
Direi del resto che, se le esperienze di EMI non fossero altro che testimonianze disparate, non se ne potrebbe trarre gran cosa e tanto varrebbe non interessarsene.
Questi fenomeni, però, trascendono le culture, le epoche e le religioni; abbiamo dunque il diritto di domandarci che cosa possano significare. Faccio mio allora questo giudizio di un medico – divenuto arcivescovo di Parigi – mons. Michel Aupetit. È un giudizio che mi sembra equilibrato:
Non è possibile ignorare tutte queste esperienze soggettive, in particolare quando sono tanto generali e concordano tanto fortemente. Conviene anzitutto porvi attenzione, rispettando le persone che le hanno vissute e che sovente si sentono ferite dal sarcasmo degli increduli. Bisogna ricercarne le cause naturali, ove se ne trovino, [e] per i credenti è un’occasione per riconsiderare con frutto il contenuto della loro speranza.
C.B, Le point de vue des religieux, in Le Figaro del 14 novembre 20092All’epoca mons. Aupetit era ancora vicario generale della diocesi di Parigi [N.d.T.]
È proprio quanto vi propongo adesso, guardando a questi fenomeni alla luce del mistero di Pasqua. Lascio dunque alle vostre ricerche le questioni piú tecniche e mediche, mentre vado ad adottare un approccio essenzialmente spirituale.
2) La fede non ha bisogno di prove
Attenzione però: l’approccio spirituale necessita ancora di una precauzione importante. Non avrebbe senso cercare nelle esperienze di morte imminente una prova della risurrezione.
Per noi, discepoli di Cristo, la fede nella Risurrezione non è frutto di una constatazione: abbiamo la fede per puro dono di Dio. La fede è un’illuminazione dello spirito che ci fa aderire al Mistero rivelato, non in virtú dell’esperienza dei sensi o del ragionamento, ma per Dio Stesso che solleva il velo sul proprio mistero.
Il Signore Gesú ci chiama dunque a una fede che non passa dalla constatazione, come ci sarà vivamente ricordato domenica prossima mediante le parole del Cristo risorto all’apostolo Tommaso – «Beati quanti non avranno veduto eppure crederanno» (Gv 20,29) –: una beatitudine preceduta da un appello – «Non essere piú incredulo, ma credente» (Gv 20,27).
Dunque per noi è chiaro: quel che fa la bellezza della fede nella risurrezione è il salto nell’Assoluto, in ciò che non è dominabile e che non è frutto né della nostra esperienza sensoriale né della nostra sola riflessione razionale.
Certamente, il Signore può gratificare alcune persone di esperienze soprannaturali particolari – non è certo al Laus che si può dire il contrario –, ma la qualità e la verità della vita cristiana non si misurano col numero o con l’intensità delle esperienze soprannaturali. Anche la pastora Benoîte [Rencurel, N.d.T.] ha dovuto porre degli atti di fede, poiché quanto percepiva coi sensi restava ambivalente, ed ella lo sapeva: la pastora del Laus aveva avvertenza del fatto che poteva essere frutto della sua immaginazione.
Non dobbiamo dunque cercare nelle esperienze sensibili di morte imminente una prova della risurrezione: bisogna che ci guardiamo pure dalla cattiva curiosità che ci spingerebbe a ricercare nei racconti sul passaggio della morte dettagli che ci mostrino a cosa assomiglia l’aldilà.
Se il Signore avesse voluto presentarci cosí le cose, l’avrebbe fatto nella sua Parola biblica; invece vediamo che la Parola di Dio non viene ad assecondare la nostra curiosità descrivendo a cosa assomigli il Cielo. Quando lo fa, ciò avviene in un genere letterario particolare, il racconto apocalittico, il quale non presenta una minuta descrizione delle cose, ma un’introduzione piú profonda nel mistero che ci supera.
Spero di essere stato abbastanza chiaro, in questo necessario preambolo volto a precisare che per un cristiano, le esperienze di morte imminente non sono da considerare come testimonianze probatorie, per convincere.
La fede nella risurrezione si fonda sull’amore redentore del Signore, al quale noi aderiamo, al quale noi crediamo. Noi confessiamo, in totale fiducia nella rivelazione biblica, che Gesú Cristo non è rimasto prigioniero della morte, ma che l’ha vinta per amore di noi tutti. Egli ha attraversato la grave pietra della tomba: è questa la nostra grande confessione pasquale, la quale basta in sé a nutrire la nostra speranza, a motivare la nostra carità e a farci considerare la morte senza vederla come punto finale della vita.
3) La fede ci fa confessare realtà piú grandi di noi
Se la fede non ha bisogno di prove, essa però ci dà proprio di aprirci a realtà piú grandi di noi.
Ora, il razionalismo moderno – che ha segnato gli ultimi decenni, anche in alcune correnti interne alla Chiesa cattolica – ha condotto a voler dominare tutto, a voler spiegare tutto; fino al punto di rigettare i miracoli, gli angeli e il soprannaturale in generale, in modo piú ideologico che veramente razionale.
Nella fede, invece, non è forse molto razionale e molto coerente pensare che le nostre limitate intelligenze non possano cogliere tutto della realtà divina? Non è forse razionale pensare che la nostra percezione della realtà non sia il tutto?
Avere la fede significa dunque confessare che ci sono cose piú grandi di noi, infinitamente piú grandi di tutto quanto possiamo concepire.
Cosí, anche se dobbiamo guardarci dal correre dietro alle minime manifestazioni sedicenti soprannaturali, è molto ragionevole credere alle realtà soprannaturali.
Anche per gli scienziati c’è qui un messaggio: un invito a restare umili davanti alle loro capacità, necessariamente limitate, di cogliere la realtà.
Onesti scienziati riconoscono del resto, se non altro, questa verità: non poter provare qualcosa non significa la sua inesistenza.
4) Un momento favorevole nella storia dell’umanità
Le esperienze di morte imminente possono dunque essere delle piste interessanti per pensare la realtà piú largamente, piú profondamente.
La cosa mi sembra tanto piú opportuna ai nostri giorni perché oltre alla moltiplicazione delle testimonianze di queste esperienze abbiamo l’aumento della capacità di rianimare le persone: potrebbe in ciò ravvisarsi un segno dei tempi.
Condivido allora l’approccio del vescovo di Bayonne, che recentemente scriveva nella prefazione a un libro sulle EMI:
Non c’è da dubitare che Dio, il quale sa ben adattarsi alla natura dell’uomo da lui creato, susciti oggi delle nuove evidenze di credibilità. Il sacro sudario di Torino è in quest’ordine.
Mons. Marc Aillet, Prefazione a Patrick Theillier, Expériences de mort imminente : Un signe du ciel qui nous ouvre à la vie invisible, Paris 2015, 18
Penso che anche le esperienze di morte imminente possano esserlo. Resta dunque inteso: esse non sono necessarie alla fede, ma possono aprire una bella pista di credibilità, per dischiudere quanti non cedono alla risurrezione a una speranza sull’aldilà.
Una testimonianza come quella di Michel Durand è quindi molto toccante. Colpito nel 2003 da una malattia che necessitava un intervento urgente, ebbe un arresto cardiaco sul tavolo operatorio. Clinicamente morto e poi rianimato, avrebbe testimoniato:
Voglio dire che, davvero, c’è qualcosa “dopo”. Non si vede piú il proprio fine sulla terra allo stesso modo. Si relativizza, non si vede piú la vita dalla medesima prospettiva. Si è felici di averla vissuta. Si ha voglia di dire “grazie”. Voglia di pregare con uno spirito di lode, di riconoscenza.
Riportato da Patrick Theillier, Expériences de mort imminente, 33
E aggiungo: voglia di cantare “alleluja” per tutta la nostra vita.
Allora andiamo adesso a guardare piú da vicino queste esperienze di morte imminente, per vedere come esse possano motivarci ancora di piú a cantare Alleluja in tutta la nostra vita, perché nella fede noi sappiamo che la morte non è il punto finale dell’esistenza.
Di’ cosa ne pensi