In questi ultimi anni, la figura di Ildegarda di Bingen è stata (meritatamente) messa al centro della scena cristiana, dopo un lungo tempo di silenzio. Come è stato possibile dimenticarsi per tanti secoli di questa donna di cui è più semplice elencare i (pochi) ambiti in cui non fu attiva anziché scorrere la lista dei suoi numerosi talenti e qualità, illuminati dalla Grazia?
Motivi di un lungo silenzio
Un’attenta analisi permette di gettare almeno un fascio di luce sul mistero della “dimenticanza di Ildegarda”. La santa fu profondamente “medievale”, recando con sé tutta la ricchezza, ma anche i pregiudizi che si accompagnano a questo termine: è inevitabile che i secoli successivi, i quali lentamente ma inesorabilmente avevano preso le distanze dal Medioevo – fino al vertice illuminista, con il suo attacco al presunto oscurantismo di quell’epoca –, finirono per mettere da parte anche questa figura così fortemente connotata temporalmente e culturalmente. Allo stesso modo, una progressiva riscoperta del Medioevo, iniziata già nell’Ottocento, è culminata in un certo recupero di diverse personalità come la sua.
Quasi procedendo “a colpi di sonda”[1], si potrebbe tuttavia sostenere l’esistenza di un motivo supplementare utile a spiegare questa dimenticanza. Si tratta della difficoltà di classificare Ildegarda. Quale fu il suo peculiare carisma? Fu una religiosa? Una mistica? Una profetessa? Una veggente? Riguardo ad alcuni aspetti i suoi studiosi dibattono ancora. Ildegarda potrebbe aver sofferto lo stesso destino di alcuni outsider della storia umana, talmente fuori dagli schemi da essere consegnati, come prigionieri scomodi, alla cattiva memoria, come direbbe la scrittrice cilena Isabel Allende.
Questa ipotesi, però, – pur plausibile – potrebbe non arrivare al nucleo della domanda sulla dimenticanza. In questo senso, è utile riflettere su quanto scrive una sua biografa:
Ildegarda è stata onorata con molti titoli nella speranza di poterla collocare più facilmente in qualche schema familiare, certamente anche con l’intenzione di rendere giustizia alla sua molteplice attività. Tuttavia, anche se essa viene chiamata la prima dottoressa tedesca, la prima poetessa tedesca o la prima musicista, e viene indicata come profetessa teutonica o come colonna di fuoco fiammeggiante, come portabandiera della fede in un mondo pieno d’indifferenza e di corruzione morale, si potranno scegliere infine solo quei titoli che emergono dalla sua propria visione, dove Ildegarda vede se stessa come “colei che grida nel deserto”, come una tromba attraverso la quale il Dio dell’universo annuncia il suo messaggio, come specchio in cui l’inaccessibile luce divina si rende visibile, come guida che conduce attraverso la vita terrena alla beatitudine divina[2].
La difficoltà di classificazione potrebbe allora essere un alibi: Ildegarda stessa ci guida verso una comprensione piena della propria esperienza spirituale. Siamo dunque condotti verso un ulteriore motivo di questa dimenticanza, ancora più teologicamente rilevante. Viene in mente l’obiezione posta nel Vangelo di Giovanni da alcuni discepoli che – dopo aver ascoltato Gesù – se ne andarono: «Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?» (Gv 6,60). Oltre al motivo superficiale (ma non di poco conto) relativo a testi che appaiono datati culturalmente, con una simbolica e riferimenti che, man mano che ci si allontana dal Medioevo, diventano ostici, la “durezza” del linguaggio ildegardiano è soprattutto di altra natura. Leggendo le pagine dei suoi scritti, in particolare le sue opere teologicamente più rilevanti, si ha l’impressione di essere di fronte ad uno dei profeti dell’Antico Testamento. Se i profeti sono sempre figure scomode, Ildegarda non fu da meno. Così la sua riscoperta – al di fuori della linea indicata dal Magistero – non ha significato l’accettazione integrale della sua personalità e della sua esperienza.
Donna in relazione
Quali sono gli aspetti principali che rendono Ildegarda una figura così attraente per la nostra attualità? Partiamo dal modo in cui Ildegarda visse l’esperienza ecclesiale. L’eccezionale personalità della santa renana ci potrebbe condurre su un sentiero errato: pensarla come solitudine immensa. Ildegarda fu invece una donna di relazione e – va da sé – di profonda relazione intra Ecclesiam. All’ombra della monaca benedettina, crebbero e ricambiarono in dedizione, oltre Wolmar, fidato e prezioso collaboratore, anche il successore alla morte di questo, Goffredo, che iniziò la biografia della santa; Wilbert, prima suo corrispondente poi suo segretario quando morì Goffredo; Richardis von Stade, consorella molto cara a Ildegarda e il suo affetto più importante. Quando Richardis – spinta e forse allettata dalle pressioni dell’ambizione familiare – lasciò Disibodenberg, dove fu badessa Ildegarda, per diventare a sua volta guida di un altro monastero, la santa visse il suo dolore più forte, che si rivelò, tuttavia, come «pedagogico: soltanto su Dio bisogna puntare tutto»[3]. Tuttavia, sebbene avesse imparato, a sue spese, a non mettere in ombra l’Amore per dare spazio agli amori, Ildegarda fu sempre donna aperta alla relazione con il suo prossimo. I rapporti amicali con Wolmar, Richardis, Goffredo e, in misura minore, con le molte anime in cerca di Dio che, attratte da lei, entrarono in monastero o chiesero i suoi consigli, non dicono, però, soltanto l’umanità di Ildegarda: rivelano anche il suo profondo sentire cum Ecclesia, testimoniato anche dalla sua ricerca di conferme da parte dell’autorità ecclesiastica.
Lo spazio ildegardiano
Andando ai luoghi (potremmo dire: lo spazio ildegardiano, altro tratto significativo della figura di Ildegarda), la vita della santa renana, dopo la progressiva notorietà, conobbe una peregrinatio che, tuttavia, non fu mai una vagatio, un girovagare senza meta[4]. Rappresentò, invece, un’indiscutibile apertura al mondo: Ildegarda fondò monasteri (Rupertsberg, Eibingen), incontrò l’imperatore Federico Barbarossa a Ingelheim, entrò in relazione con altre personalità del tempo, viaggiò in lungo e in largo per i territori dell’odierna Germania e forse si spinse fino al Belgio, per predicare, ammonire, confortare, giungendo in Francia, a Parigi, con la volontà di mettere le sue opere sotto la lente di teologi esperti[5]. Lo spazio ildegardiano non fu più delimitato dalle mura solide – non solo materialmente – del monastero, ma si estese sino ad inglobare città e villaggi, chiese e volti di sconosciuti, nuove emozioni e tentazioni antiche come l’uomo[6]. In questa peregrinatio, Ildegarda non smarrì il senso della propria missione: fu data e si consegnò al mondo per farsi strumento di salvezza per le anime. Lo spazio ildegardiano, allora, fu sì esteso ma non privo di confini ideali, delimitati dalle visioni che continuarono a guidare la donna perché svolgesse nel migliore dei modi il compito assegnatole.
La donna forte
L’ultimo atto della vita della santa riguardò la sua natura di donna forte, altro tratto essenziale della sua esistenza, e si aprì su un contenzioso con i chierici di Magonza. Ildegarda accolse un giovane scomunicato, riconciliatosi però con Dio prima della morte, sebbene in forma privata. L’ultimo desiderio del moribondo fu di essere sepolto nel cimitero dell’abbazia di Rupertsberg. Per i prelati di Magonza, però, quell’uomo era ancora formalmente sotto scomunica e la sua sepoltura sarebbe dovuta avvenire in terra sconsacrata. Ildegarda si mantenne ferma e seppellì il giovane dove egli aveva desiderato essere tumulato. L’umiltà con cui la santa agevolmente si lasciava guidare dalle visioni non mutò integralmente quella personalità che oggi affascina, particolarmente le donne: Ildegarda fu testimone luminosa dell’Amore di Dio non malgrado il proprio carattere, ma con il suo carattere. Perché fu testarda, ma non irremovibile; determinata ma non ambiziosa; schietta ma non inasprita. L’ultimo atto della sua vita fu, perciò, dolceamaro, anche per la sua scelta coraggiosa[7].
Questi aspetti peculiari di Ildegarda di Bingen danno ancora di più il senso della gravità dell’oblio in cui era scivolata, ma al tempo stesso, ci spingono alla gratitudine verso Dio per averne consentito la riscoperta.
[1] Usando un’espressione efficace, cara a Vittorio Messori.
[2] R. Termolen, Ildegarda di Bingen. Biografia, Città del Vaticano 2001, 19.
[3] C. Siccardi, Ildegarda, cit.,152.
[4] San Benedetto, nella sua Regola, offre un ritratto negativo dei monaci vaganti: «La quarta specie di monaci è quella che viene chiamata girovaga. Costoro vanno per tutta la vita per province diverse si fanno ospitare per tre o quattro giorni la volta nelle celle di monaci diversi, sono sempre in giro e mai stabili, asserviti ai propri voleri e alle tentazioni della gola», Benedetto, Regola, in S. Pricoco (cur.), La Regola di San Benedetto e le Regole dei Padri, Borgaro Torinese (TO) 20116, 135-137.
[5] Cfr. C. Siccardi, Ildegarda, cit., 221.
[6] Non a caso la Regola di San Benedetto proibisce al monaco, che è tornato da un viaggio, di raccontare quello che ha visto fuori: cfr. Benedetto, Regola, in S. Pricoco (cur.), La Regola di San Benedetto e le regole, cit., 265.
[7] La soluzione della contesa sarebbe arrivata solo pochi mesi prima della morte di Ildegarda, avvenuta il 17 Settembre del 1179.
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