La ripresa delle attività cultuali nella cd. Fase 2 stimola ulteriormente un dialogo costruttivo tra autorità confessionali e pubblici poteri. Pertanto, da ecclesiasticista, in considerazione della prossima auspicata ripartenza delle celebrazioni religiose non posso non sottolineare la delicatezza e l’importanza delle decisioni che saranno assunte in questi giorni per le relazioni tra Stato e Chiesa cattolica, improntate, nella Fase 1, ad uno spirito di generosa e proficua collaborazione. C’è da sottolineare innanzitutto che l’impegno a cooperare lealmente e reciprocamente per il bene del Paese si impone con ancora maggiore rigore in relazione all’esercizio del culto pubblico, materia per cui le disposizioni costituzionali e concordatarie prevedono il riconoscimento di una autonomia organizzativa in capo alla Chiesa cattolica.
In questa direzione sembravano muoversi i fitti colloqui intrapresi tra la Conferenza Episcopale Italiana e il Governo italiano in ordine alla gestione della Fase 2 sul fronte della libera partecipazione ai riti religiosi, finora sospesi. In particolare, da ultimo, l’interlocuzione dello scorso 23 aprile tra il Ministro dell’Interno e la CEI sembrava presupporre la condivisa formulazione di un punto di equilibrio rappresentato dalla possibilità di consentire la celebrazione delle Messe con la partecipazione dei fedeli, sin dal 4 maggio.
Il D.P.C.M. dello scorso 26 aprile, per tutto il periodo compreso tra il 4 e il 18 maggio negava, però, una ripresa delle attività cultuali, ad eccezione delle esequie ecclesiastiche, ammesse preferibilmente all’aperto e alla sola presenza dei familiari del de cuius – nel numero massimo di 15 persone – e nel rispetto delle altre misure di sicurezza. La scelta politica, secondo indiscrezioni, sembrava essere suggerita dai rilievi sollevati dagli esperti del tavolo tecnico del governo, che rinvenivano nella partecipazione alla Santa Messa insuperabili criticità, rappresentate sia dall’età media avanzata dei fedeli, che dagli inevitabili “assembramenti” che si sarebbero formati soprattutto all’atto della celebrazione del Sacramento dell’Eucarestia.
Immediata la reazione dei Vescovi italiani, che in una Nota fatta circolare nella notte del 26 aprile, esprimevano il loro disappunto rispetto alla presa di posizione governativa, ritenuta del tutto lesiva della libertà di culto e soprattutto del principio di bilateralità espresso nelle molteplici interlocuzioni dei giorni precedenti, che sembravano preludere a una diversa gestione della cd. Fase 2. L’intervento dei Vescovi italiani induceva il Presidente del Consiglio dei Ministri a diramare un Comunicato, in cui si ribadiva l’impegno ad elaborare un protocollo per accelerare la ripresa delle celebrazioni nel più breve tempo possibile.
I toni dello scontro venivano definitivamente smussati dallo stesso Santo Padre, che nell’Omelia della Messa del 28 aprile in Santa Marta, ha invitato all’obbedienza alle leggi civili e alla prudenza di fronte al rischio di una recrudescenza della minaccia pandemica.
È quindi in corso di preparazione un protocollo per consentire l’esercizio pubblico del culto nella fase 2 della crisi pandemica. In questa direzione si è mosso l’impegno degli ecclesiasticisti e dei canonisti.
In particolare, i componenti del gruppo di Ricerca DiReSom (Diritto, Religioni, Società multiculturale) hanno affidato ad un position papers la proposta operativa per consentire la cauta ripresa delle attività cultuali di tutte le confessioni religiose.
Tra le diverse proposte si segnala, dunque, quella elaborata dal Gruppo di Ricerca DiReSom, consultabile qui e che qui si ripropone integralmente.
Maria d’Arienzo
Ordinario di Diritto ecclesiastico e canonico
Università degli Studi di Napoli Federico II
Proposta per una cauta ripresa
in sicurezza
delle celebrazioni religiose
Nella nostra veste di professori e ricercatori di diritto e religione nelle università statali, costituiti nel gruppo di ricerca “Diresom” – che nel corso di questa pandemia ha attivato il primo portale web internazionale su diritto, religione e coronavirus (www.diresom.net) – sottoponiamo al Governo italiano e alle istituzioni confessionali un contributo alla riflessione circa la possibilità di consentire le celebrazioni dei culti religiosi, nel rispetto delle misura necessarie per prevenire il contagio del virus Sars-Cov-2, causa della malattia Covid-19.
1. Stato dei fatti. Le regole d’emergenza dettate in Italia per contenere il contagio sull’intero territorio nazionale hanno limitato varie libertà. Principalmente, è stata limitata la libertà di circolazione, ridotta alle sole ipotesi di «comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute». In questo quadro emergenziale, sono state anche sospese le «cerimonie religiose e civili, ivi comprese quelle funebri» e l’apertura dei luoghi di culto è stata condizionata all’«adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro…» (Dpcm 8 marzo 2020).
Purtroppo, questa normativa emergenziale è stata complessivamente poco chiara.
Ha lasciato molti margini di interpretazione discrezionale, solo parzialmente risolti dalla pubblicazione di risposte sui siti istituzionali, che sono peraltro sempre state molto restrittive della mobilità personale. Ad esempio, l’apertura dei luoghi di culto non è stata considerata condizione sufficiente per rendere legittimo uno spostamento dalla propria abitazione, se non in prossimità della stessa (Faq 10 aprile 2020), anche se si è ritenuto accettabile l’ingresso nei luoghi di culto – alle condizioni generalmente stabilite – qualora la mobilità fosse stata determinata da altre ragioni legittime (Faq del Ministero della Salute del 15 marzo 2020; Nota della Direzione Centrale degli Affari dei Culti del Ministero dell’Interno, del 27 marzo 2020).
In occasione delle celebrazioni pasquali, è stata considerata accettabile la partecipazione ai riti religiosi cattolici di una certa rappresentanza dei fedeli, ed è stato chiarito che i matrimoni religiosi si sarebbero potuti celebrare, purché alla sola presenza del celebrante [rectius: del ministro di culto, che non è il celebrante del matrimonio canonico], dei nubendi e dei testimoni, e comunque sempre nel rispetto delle prescritte norme igienico-sanitarie e della necessaria distanza interpersonale.
Queste regole, anche se sono state precisate in una Nota ministeriale indirizzata alla Conferenza episcopale italiana, devono essere ritenute operative verso tutte le espressioni di culto religioso in forza del principio di laicità dello Stato.
Le cronache degli ultimi giorni hanno dato notizia di contatti intervenuti fra la Conferenza episcopale italiana e le autorità di Governo per concordare opportune modalità di esercizio della libertà di culto nella cosiddetta “fase 2”, annunciata per il periodo successivo al 4 maggio 2020. Tuttavia, il Dpcm 26 aprile 2020 ha mantenuto inalterato il quadro generale, ammettendo la sola celebrazione dei funerali «preferibilmente» all’aperto, col concorso di non più di 15 partecipanti. La Conferenza episcopale italiana ha quindi emanato un’immediata Nota di dissenso lamentando la compromissione dell’esercizio «della libertà di culto» e, in pari data, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha comunicato che «nei prossimi giorni si studierà un protocollo che consenta quanto prima la partecipazione dei fedeli alla celebrazioni liturgiche in condizioni di massima sicurezza».
2. Questioni problematiche. Dal punto di vista tecnico-giuridico, va ricordato che nel nostro ordinamento la libertà di culto è protetta dall’art. 19 della Costituzione nei confronti di «tutti», pertanto non sono ammissibili regole differenziate sulla base dell’appartenenza religiosa. Ciò significa che il Protocollo di cui parla la Presidenza del Consiglio del Ministri dovrà contenere misure rivolte a tutte le Confessioni religiose, anche quelle che non hanno stipulato un’intesa con lo Stato italiano, ai sensi dell’art. 8 comma 3 della Costituzione. Ricordiamo che l’interlocuzione con le Confessioni religiose è costituzionalmente favorita e costituisce un obbligo giuridico, senza però attribuire ai soggetti confessionali una competenza normativa che si rifletta nell’ambito statale.
Il principio sotteso alla legittimità delle norme di emergenza, sia passate che future, consiste nella prevenzione del contagio, perciò a questo scopo è legittimo subordinare le ordinarie attività sociali al rispetto di precise condizioni di precauzione obbligatorie, relazionate al tipo di luogo in cui si è necessitati a entrare e dalla ragione che abbia determinato l’uscita dalla propria abitazione. Sulla base dei principi generali e delle indicazioni contenute nel Dpcm 26 aprile 2020, complessivamente volte ad introdurre taluni parziali allentamenti delle pregresse restrizioni della libertà di circolazione, a nostro avviso può essere legittimo ritenere lecita la mobilità per coloro che intendano recarsi in un luogo di culto, anche per partecipare ad una celebrazione religiosa, purché si prevengano assembramenti, si mantenga il distanziamento sociale e si garantiscano le necessarie condizioni di sicurezza e sanificazione dei luoghi; sarà inoltre necessario limitare la permanenza nei luoghi di culto al tempo strettamente necessario.
3. Linee-guida. Per favorire questa possibilità operativa, si propone l’adozione di alcune linee-guida che subordinino la celebrazione collettiva di qualsiasi culto al rispetto delle medesime misure di distanziamento sociale e di carattere igienico-sanitario che possono essere stabilite per altre analoghe forme di riunione consentite:
- I luoghi di culto siano aperti solo se sussistono le condizioni di sanificazione e igiene dettate per l’ingresso negli altri luoghi chiusi ma aperti al pubblico, e in particolare:
- a) sia possibile mantenere la misura di distanziamento interpersonale;
- b) siano garantiti la pulizia e l’igiene ambientale con frequenza almeno due volte al giorno e in funzione dell’orario di apertura. Le superfici devono essere pulite con disinfettanti a base di cloro e di alcol;
- c) sia garantita un’adeguata areazione naturale e ricambio d’aria;
- d) sia garantita la disponibilità e l’accessibilità a sistemi per la disinfezione delle mani;
- e) sia previsto l’utilizzo di mascherine e di guanti “usa e getta”;
- f) all’ingresso degli edifici di culto siano disponibili adeguate informazioni circa la necessità di osservare le obbligatorie misure igienico-sanitarie e il prescritto distanziamento sociale.
- L’ingresso contemporaneo nei luoghi di culto sia consentito ad un numero massimo di persone tale da permettere il rispetto delle prescritte distanze interpersonali:
- sulla base della superficie interna del luogo, si consideri previamente il numero massimo delle persone ammissibili contemporaneamente (massimo tre ogni quaranta metri quadrati);
- si affigga un cartello all’ingresso del luogo di culto che indichi il numero massimo delle persone contemporaneamente ammesse all’ingresso;
- l’accesso sia quindi opportunamente organizzato sotto la responsabilità di chi organizza la riunione di culto al fine di limitare l’ingresso al numero massimo di persone consentito, e impedire impropri assembramenti delle persone in attesa all’esterno dei luoghi di culto.
- Sia favorita la celebrazione del culto in luoghi aperti, ove non è necessario osservare tutte le e prescrizioni adottate per l’ingresso in luoghi chiusi, ferma restando la necessità di assicurare il distanziamento sociale.
- Le autorità confessionali assumano idonee misure di accomodamento dei riti religiosi al rispetto delle misure di prevenzione del contagio, curando l’osservanza del distanziamento interpersonale e proibendo ogni uso promiscuo di contenitori per bevande e alimenti di qualsiasi tipo e per qualunque scopo.
- Le autorità confessionali assumano l’impegno di informare adeguatamente i propri fedeli dell’obbligo di non uscire di casa, e quindi di non partecipare alle celebrazioni del culto, nel caso in cui siano sottoposti alla misura della quarantena ovvero siano risultati positivi al virus o nel caso in cui presentino sintomatologia da infezione respiratoria e febbre (maggiore di 37,5°C). Ciò vale a maggior ragione anche per i ministri del culto.
- Si costituiscano in sede locale appositi organismi di rappresentanza che permettano alle Prefetture e ai Sindaci di monitorare, in collaborazione con le locali comunità di fede, sia la prevenzione del contagio sia il rispetto del diritto di libertà individuale di partecipazione alle celebrazioni religiose. Tali organismi si avvalgano della consulenza di esperti con idonee competenze tecnico-scientifiche, affinché siano adottate e adattate eventuali specifiche misure precauzionali riferibili al singolo contesto locale.
Questo Position Paper redatto a cura di DiReSoM nasce da una riflessione collettiva di:
Pierluigi Consorti (coordinatore) – Università di Pisa
Simone Baldetti – Università di Pisa
Fabio Balsamo – Università “Federico II” di Napoli
Rossella Bottoni – Università di Trento
Cristina Dalla Villa – Università di Teramo
Antonello De Oto – Università di Bologna
Mario Ferrante – Università di Palermo
Fabio Franceschi – “La Sapienza” Università di Roma
Luigi Mariano Guzzo – Università di Catanzaro
Maria Cristina Ivaldi – Università della Campania
Chiara Lapi – Università di Pisa
Maria Luisa Lo Giacco – Università di Bari
Adelaide Madera – Università di Messina
Enrica Martinelli – Università di Ferrara
Francesca Oliosi – Università di Trento
Daniela Tarantino – Università di Genova
Stefano Testa Bappenheim – Università di Camerino
Alessandro Tira – Università di Bergamo
Carissimo Giovanni,
grazie per i continui aggiornamenti sul tema, io mi permetto di tornaci con una altro mio commento nel quale faccio mie alcune tue considerazioni molto pratiche – con tanto di schematizzazioni grafiche – nel’articolo precedente a questo (https://www.breviarium.eu/2020/04/24/covid-19-italia-messe-cum-populo-test/).
Partendo dalla tua analisi, anche se in modo molto più sintetico, quanto a misurazioni e possibile diffusione, permanenza delle particelle infettive, ho elaborato un schemino molto semplice di cui qui il link (non so se le immagini nei commenti vengo direttamente visualizzate) https://i2.wp.com/www.illustrazionecreativa.com/images/PIANTA_CHIESA_COVID19.jpg
Non tenere conto la forma della pianta (è la prima che ho trovato), avessimo un’unica o tre navate e fossero tutte panche in fila sarebbe lo stesso.
Abbiamo 30 panche da 2 mt dove, a panche stipate potremmo avere anche 5 persone per panca. Consideriamo quindi un totale tra le 130-140 persone.
Sarebbe una chiesa medio-piccola, ma il ragionamento e la proporzione numerica non cambierebbe.
Con 2 persone per panca e saltando un banco si e uno no (posizione logistica inevitabile) i 130-140 posti diventerebbero in modo incontrovertibile 36.
Ora 36 e quasi un 1/4 esatto della capienza completa.
Se un doppia funzione domenicale consentiva a 260-280 fedeli di partecipare alla Messa (lasciamo stare più quelli in piedi, altre sedie, ecc, ecc., non è questo il punto che peraltro renderebbe la proporzione ancora più negativa), potendo arrivare ad un massimo di 72 fedeli, che ne sarà degli altri?.
Bisognerebbe organizzare dei “turni”… in un giro di 4 Domeniche, ognuno avrebbe, diciamo in un mese, partecipato almeno una volta alla Messa.
Sempre che tutti diligentemente i turni li si rispetti… oppure turni scritti e documenti alla mano.
Oppure, ogni Diocesi dovrebbe fare un immane lavoro, una sorta di censimento, e “smistare” fedeli da parrocchie affollate ad altre che lo fossero molto, molto meno.
E altro ancora ci sarebbe – non mi addentro qui alle ipotesi di movimento o meno e di distribuzione della Eucaristia, ma se non partiamo da considerazioni logistiche e di numero, non andiamo da nessuna parte… ci arrabattiamo in discorsi più o meno logici su altro piano, ma che nulla hanno a che fare con CONCRETI problemi da risolvere.
Andrebbe a mio modesto avviso, certamente per un tempo, mantenuta la sospensione del precetto domenicale di modo che chi fosse in grado di recarsi alle Messe feriali, abbia il buon (e cristiano) cuore, di lasciare ad altri il posto libero la Domenica.
Chiudo dicendo che, segni a terra, per spostarsi mantenendo le distanze, posti a sedere marcati o delimitati, sono la cosa più banale da farsi… basta un po’ di nastro adesivo giallo e del colore che più si conviene.
Ogni parrocchia poi ha le sue peculiarità come capienza rispetto numero di fedeli partecipanti e questo sarà da valutare caso per caso, ma questa valutazione di carattere generale, credo non possa essere ignorata ed in questa inseriti tutti i punti descritti nel documento degli esimi Professori sopra.
Carissimo Giovanni,
grazie per i continui aggiornamenti sul tema, io mi permetto di tornaci con una altro mio commento nel quale faccio mie alcune tue considerazioni molto pratiche – con tanto di schematizzazioni grafiche – nell’articolo precedente a questo.
Partendo dalla tua analisi, anche se in modo molto più sintetico, quanto a misurazioni e possibile diffusione, permanenza delle particelle infettive, ho elaborato un schemino molto semplice di cui qui il link (non so se le immagini nei commenti vengo direttamente visualizzate)
http://www.illustrazionecreativa.com/images/PIANTA_CHIESA_COVID19.jpg
Non tenere conto la forma della pianta (è la prima che ho trovato), avessimo un’unica o tre navate e fossero tutte panche in fila sarebbe lo stesso.
Abbiamo 30 panche da 2 mt dove, a panche stipate potremmo avere anche 5 persone per panca. Consideriamo quindi un totale tra le 130-140 persone.
Sarebbe una chiesa medio-piccola, ma il ragionamento e la proporzione numerica non cambierebbe.
Con 2 persone per panca e saltando un banco si e uno no (posizione logistica inevitabile) i 130-140 posti diventerebbero in modo incontrovertibile 36.
Ora 36 e quasi un 1/4 esatto della capienza completa.
Se un doppia funzione domenicale consentiva a 260-280 fedeli di partecipare alla Messa (lasciamo stare più quelli in piedi, altre sedie, ecc, ecc., non è questo il punto che peraltro renderebbe la proporzione ancora più negativa), potendo arrivare ad un massimo di 72 fedeli, che ne sarà degli altri?.
Bisognerebbe organizzare dei “turni”… in un giro di 4 Domeniche, ognuno avrebbe, diciamo in un mese, partecipato almeno una volta alla Messa.
Sempre che tutti diligentemente i turni li si rispetti… o turni scritti e documenti alla mano (?).
Oppure, ogni Diocesi dovrebbe fare un immane lavoro, una sorta di censimento, e “smistare” fedeli da parrocchie affollate ad altre che lo fossero molto, molto meno.
E altro ancora ci sarebbe – non mi addentro qui alle ipotesi di movimento o meno e di distribuzione della Eucaristia, ma se non partiamo da considerazioni logistiche e di numero, non andiamo da nessuna parte… ci arrabattiamo in discorsi più o meno logici su altro piano, ma che nulla hanno a che fare con CONCRETI problemi da risolvere.
Andrebbe a mio modesto avviso, certamente per un tempo, mantenuta la sospensione del precetto domenicale di modo che chi fosse in grado di recarsi alle Messe feriali, abbia il buon (e cristiano) cuore, di lasciare ad altri il posto libero la Domenica.
Chiudo dicendo che, segni a terra, per spostarsi mantenendo le distanze, posti a sedere marcati o delimitati, sono la cosa più banale da farsi… basta un po’ di nastro adesivo giallo e del colore che più si conviene.
Ogni parrocchia poi ha le sue peculiarità come capienza rispetto numero di fedeli partecipanti e questo sarà da valutare caso per caso, ma questa valutazione di carattere generale, credo non possa essere ignorata ed in questa inseriti tutti i punti descritti nel documento degli esimi Professori sopra.
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