In queste settimane di “liturgia in quarantena” sono sorte svariate dispute, in merito alla celebrazione c.d. “senza popolo”:
- c’è stato chi ha clericalmente affermato che i preti «possono celebrare senza popolo» (il che è falso da tutti i punti di vista e in tutti i sensi);
- c’è stato chi ha affermato che senza popolo i preti non dovrebbero celebrare (il che sarebbe vero, se mai i preti potessero azzardarsi a celebrare “senza popolo”, ma quindi è falso);
- c’è stato perfino chi ha affermato che si dovrebbe celebrare altrove, diciamo nelle famiglie (e chi? il pater familias? addirittura! femministe a parte, e senza contare la teologia dell’Ordine, come la mettiamo con quanti vivono da soli?).
La realtà è molto semplice: siamo soliti dire che l’Ordine sacro conforma “a Cristo capo” (non come il diaconato, che conforma “a Cristo servo”1Fu Benedetto XVI a chiarirlo nel 2009: «Il can. 1009 del Codice di Diritto Canonico d’ora in poi avrà tre paragrafi, nel primo e nel secondo dei quali si manterrà il testo del canone vigente, mentre nel terzo il nuovo testo sia redatto in modo che il can. 1009 § 3 risulti così: “Coloro che sono costituiti nell’ordine dell’episcopato o del presbiterato ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità”».). La differenza non è di lana caprina, e fa sí che in un caso si parli di sacerdozio e nell’altro no2Ecco perché discutere del diaconato femminile è possibile, fondamentalmente grazie a Papa Ratzinger (mentre il Pontefice argentino non è mai riuscito a celare la poca simpatia che ha per il discorso, o almeno per certi modi di impostarlo…), posto che si faccia un’indagine storica accurata – ma questo è un altro discorso..
Che significa dunque “conformazione a Cristo capo”? Significa, fra l’altro, “costituzione in paternità”. Solo Dio è Padre, ma «da Dio prende il nome ogni paternità, in cielo e in terra» (Eph 3,15), a cominciare dalla paternità di Cristo nei confronti dei suoi discepoli, che non a caso nel “libro dell’Ora” di Giovanni (e non prima) vengono chiamati “figli” (Io 13,33) e “amici” (Io 15,13-15) – sempre per la partecipazione dell’unica paternità di Dio ai padri (e alle madri) la chiesa consente di benedire i figli, in senso vero e proprio (ancora pochi giorni fa il cardinal Sarah invitava a riscoprire questa pratica). Chi viene conformato a Cristo capo partecipa non di una supremazia, né di un mero ministero (cosa partecipata anche al diacono), ma della paternità: quando sei servo, non puoi servire se non hai lí davanti a te chi devi servire, ma quando sei padre non smetti di essere padre se i tuoi figli non sono lí con te. Per questo l’azione sacerdotale di Cristo ebbe valore (e valore infinito) anche nell’abbandono – perché il Figlio era stato costituito padre dei discepoli.
Insomma, quando il sacerdote va all’altare non ci va mai “da solo”, ma sempre “come capo” «di una moltitudine di fratelli» (cf. Rom 8,29), “primogenito” di una porzione del popolo santo: ciò non significa che “li comanda” («tra voi non sia cosí», aveva ammonito da tempo il Redentore – cf. Mc 10,35-45), né solo che “li serve” (è difficile lavare i piedi a uno che non sta lí con te), bensí che li “ri-capitola” in sé. O pensiamo che ordinariamente il prete offra il Sacrificio di Cristo solo per quelli che vanno a messa, e che un parroco sia effettivamente tale solo per quelli che sono lí presenti? Certo che no, lo offre per tutti, e il Canone Romano parla chiarissimo (per questo ricordavo come la Liturgia sia “luogo teologico” tra i principali):
Meménto, Dómine, famulórum, famularúmque tuárum N… et N…
(iúngit manus, órat aliquántulum pro quibus orare inténdit: deínde mánibus exténsis proséquitur)
et ómnium circumstántium, quorum tibi fides cógnita est, et nota devótio, pro quibus tibi offérimus – vel qui tibi ófferunt – hoc sacrifícium láudis, pro se, suísque ómnibus: pro redemptióne animárum suárum, pro spe salútis, et incolumitátis suae: tibíque reddunt vota sua aetérno Deo, vivo et vero.
Ricordati, Signore, dei tuoi servi e delle tue serve N… e N… (congiunge le mani e prega un istante per coloro per cui intende pregare: quindi apre le braccia e prosegue) e di tutti quelli che sono qui, dei quali tu conosci la fede e ti è nota la devozione, per i quali ti offriamo – anzi, essi stessi te lo offrono – questo sacrificio di lode, per loro e per tutti i loro [parenti e cari]: per la redenzione delle loro anime, per la speranza della loro salvezza e della loro incolumità – a te, eterno Dio vivo e vero, sciolgono il loro desiderio.
«Per i quali ti offriamo… e anzi che essi stessi ti offrono…». E di chi si parla? Dei presenti [circumstantes]? Sí, ma non solo: il Canone Romano ricorda infatti esplicitamente sia i presenti sia gli assenti, sia i vivi sia i morti.
Tale è la mirabile dignità del ministero sacerdotale, che ri-capitola in un uomo (un figlio della Chiesa costituito padre dei suoi fratelli) tutta la comunità.
Se dunque in tempi ordinari il prete offre la messa per tutta la comunità e non solo per i presenti, come si può pensare che quando celebra “da solo” (espressione scorretta e infelice, dovremmo averlo capito) non la offra per tutte quelle medesime persone – non “burocraticamente” ma “portandole misticamente in cuore, come un padre non cessa mai di essere padre anche se è distante dai figli” – e per ciascuna di esse?
Note
↑1 | Fu Benedetto XVI a chiarirlo nel 2009: «Il can. 1009 del Codice di Diritto Canonico d’ora in poi avrà tre paragrafi, nel primo e nel secondo dei quali si manterrà il testo del canone vigente, mentre nel terzo il nuovo testo sia redatto in modo che il can. 1009 § 3 risulti così: “Coloro che sono costituiti nell’ordine dell’episcopato o del presbiterato ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità”». |
---|---|
↑2 | Ecco perché discutere del diaconato femminile è possibile, fondamentalmente grazie a Papa Ratzinger (mentre il Pontefice argentino non è mai riuscito a celare la poca simpatia che ha per il discorso, o almeno per certi modi di impostarlo…), posto che si faccia un’indagine storica accurata – ma questo è un altro discorso. |
Così è.
Si potrebbe dire anche qualcosa su come non sia neppure importante il DOVE la Liturgia Eucaristica venga celebrata, perché fosse anche una sola, dall’altro capo del pianeta, Essa ha valore infinito e universale.