L’Alta Corte d’Australia ha revocato la condanna a 6 anni per abusi sessuali subita dal cardinale George Pell, ordinandone l’immediata scarcerazione. È la fine di una quaresima decuplicata, più di 400 giorni di reclusione e persecuzione, frutto di un processo riconosciuto dalla massima magistratura federale come privo di equità. Una lezione sul ragionevole dubbio che conduce ad una prefigurazione pasquale al seguito della Verità.
Il presente contributo è stato pubblicato come editoriale sul quotidiano La Croce,
edizione dell’8 aprile 2020
La notizia giunta nella notte italiana dall’Australia segna la fine della prigionia del Cardinal George Pell, marcando il 404esimo giorno dell’inizio della sua reclusione per la condanna dei gravissimi di delitti di abuso sessuale su 2 minori. Pell è stato scarcerato ad effetto immediato, poche ore dopo la pronuncia della revoca di condanna. Aveva cominciato la sua reclusione dopo la sentenza di primo grado, il 27 febbraio 2019 e non aveva più lasciato la Melbourne Assessment Prison se non per le udienze degli appelli fino a gennaio, quando era stato trasferito al carcere di massima sicurezza di Barwon a Geelong1Un drone privato aveva sorvolato lo spazio aereo della prigione di Melbourne, generando sospetti nelle forze di polizia.. Dieci quarantene, dieci volte una lunga quaresima e altri quattro giorni, perché venisse data voce alla verità ineludibile che la magistratura dello stato di Victoria aveva così tenacemente tentato di aggirare. Il giudizio pronunciato in via unanime ieri dall’Alta Corte d’Australia a Canberra non potrebbe essere più perentorio, concentrando l’intera disposizione nel 1o paragrafo della pronuncia:
«In data odierna, l’Alta Corte ha concesso lo speciale permesso di ricorso in appello contro la decisione della Corte di Appello della Suprema Corte di Victoria e in via unanime ha accolto l’appello. L’Alta Corte ha riscontrato che la giuria, agendo in modo razionale sul complesso delle prove, avrebbe dovuto conservare un dubbio per quanto concerne la colpa del ricorrente nella considerazione di ognuno dei reati per i quali è stato condannato, e ha ordinato che le condanne vengano revocate e che entrino in vigore i verdetti di assoluzione»
– High Court of Australia, Judgement summary of Pell v. The Queen, 7 aprile 2020
Nella storia giudiziaria australiana l’Alta Corte si è dimostrata spesso priva di riserve di casta quanto al ridiscutere le sentenze delle corti inferiori, qualora vi fossero ombre di vizio formale. Ma il rovesciamento di una sentenza è un discorso diverso, è radicalmente compromettente. La tradizione di common law del Commonwealth non ammette a cuor leggero situazioni che potrebbero minare all’autorità dell’ultimo culto rimasto nelle secolarizzate ex-colonie e madrepatria della Corona Britannica, il culto che si celebra nelle aule dei tribunali. Perciò un accoglimento con ribaltamento di sentenza accade – si dice dalle parti di Sidney (e non solo) – «once in a blue moon». 2Cioè quando un mese presenta due pleniluni, il che accade, visto l’avanzo dei giorni mensili rispetto al ciclo lunare, ogni 32-33 mesi.
La decisione è stata preceduta da 2 giorni d’udienza, terminata il 12 marzo. Dopo un riesame piuttosto serrato delle “evidences” ammesse o ignorate dai giudici dello Stato della Victoria, l’Alta Corte ha valutato come possibile da parte della magistratura di grado inferiore l’aver dato “troppo peso” alle videotestimonianze registrate delle presunte vittime, che in qualche caso non sembravano dare risposte spontanee, in ritardo, con espressioni che potevano dare l’impressione di risposte suggerite o parzialmente inventate. Ma il dato che lasciava davvero interdetti i 7 giudici di Canberra era la minima rilevanza data in sede di primo appello alle valutazioni sul tempo necessario perché Pell potesse trasferirsi dall’altare, lungo il percorso della processione, al sagrato, per poi dover tornare alle sagrestie dove consumare il delitto.
Il dibattimento aveva visto la procuratrice Kerri Judd cambiare versione circa quali sarebbero i minuti decisivi perché Pell ne avesse avuta possibilità: i 5-6 minuti al termine della processione erano stati un punto inamovibile della pubblica accusa, ora Judd asseriva che avrebbero potuto essere di più. L’accusa si è stavolta astenuta dal dare una nuova stima del tempo utile, onde non dover ritrattarla di nuovo. Kerri Judd in conseguente difficoltà si è spinta a dire che:
Una dichiarazione che si potrebbe ritenere l’antitesi perfetta alla definizione di processo equo in uno stato di diritto, ovvero l’assunzione della presunzione di colpevolezza a criterio giudicante. Eppure questa frase, riportata dai presenti alle udienze (e in discorso indiretto anche dall’ABC news AU) è la rappresentazione plastica del metodo con cui sono state valutate le imputazioni a carico del cardinale.
La Corte ha tempestato di domande la pubblica accusa circa l’estensione e la specificità degli elementi considerati provanti al grado precedente. Secondo i reporter giudiziari in 20 minuti la Judd avrebbe ricevuto più domande di Bret Walker, difensore di Pell, in tutto il giorno 1. Inchiodata sulle domande che i magistrati di Victoria non avevano voluto porre, l’accusa si era trovata a ripiegare totalmente sulla capacità del testimone chiave (corista della Cattedrale) di descrivere al dettaglio le sacrestie riservate al clero in cui si sarebbe consumato l’abuso, illustrato come un segnale della sua indiscutibile credibilità. Si può dire che l’Alta Corte abbia effettivamente messo in discussione il valore di evidenza di ognuno degli elementi dell’impianto accusatorio.
Gran parte del dibattimento si è svolto sulle memorie di mons. Charles Portelli, che aveva ricordato (non unico) con dovizia di particolari come il card. Pell fosse un entusiasta interprete della tradizione anglocattolica di salutare personalmente i fedeli al termine di celebrazione e processione anche per ¼ d’ora dal termine, mentre i ministranti sistemavano l’altare (in andirivieni dalle sacrestie). Tre sono gli elementi della «unchallenged evidence» (“indiscussa, inconfutata risultanza” di processo) che la difesa di Pell ha riaffermato come dirimente secondo quanto rilevato dal massimo organo della giurisprudenza australiana con verdetto unanime, per la quale resiste il ragionevole dubbio:
- il costume di Pell di attardarsi presso il sagrato della Cattedrale di Melbourne dopo la solenne Messa domenicale per salutare i fedeli e conversare con loro;
- la pratica inequivocabilmente documentata e consolidata nella storia ecclesiastica cattolica per cui i vescovi sono costantemente e senza eccezione accompagnati da diaconi, ministranti e cerimonieri quando indossano i paramenti liturgici, dalla vestizione fino alla svestizione;
- il traffico continuativo che senza interruzione percorre le sacrestie presbiteriali dai 10 ai 15 minuti dopo la fine della processione che conclude la celebrazione solenne.
Le testimonianze degli «opportunity witnesses»3I testimoni privilegiati che ai sensi della verifica delle risultanze processuali sono determinanti ad illuminare un contesto del quale hanno familiarità; e come tali necessari per la comprensione da parte del corpo giudicante del contesto stesso. come mons. Portelli hanno evidenziato come ineliminabili questi punti. L’accusa non li ha mai nemmeno contestati, perché risultano indiscutibili, lo sono sempre stati. I commentatori dei media australiani oggi si sprecano nel sottolineare che, a fronte di un giudizio così inappellabile, sia paradossale essere dovuti arrivare fin davanti all’Alta Corte.
Note
↑1 | Un drone privato aveva sorvolato lo spazio aereo della prigione di Melbourne, generando sospetti nelle forze di polizia. |
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↑2 | Cioè quando un mese presenta due pleniluni, il che accade, visto l’avanzo dei giorni mensili rispetto al ciclo lunare, ogni 32-33 mesi. |
↑3 | I testimoni privilegiati che ai sensi della verifica delle risultanze processuali sono determinanti ad illuminare un contesto del quale hanno familiarità; e come tali necessari per la comprensione da parte del corpo giudicante del contesto stesso. |
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