Nel decreto dell’8 marzo 2020 con il quale il vescovo di Albano, mons. Marcello Semeraro, ha disposto, recependo le indicazioni della CEI, la sospensione delle celebrazioni eucaristiche in forma pubblica al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei fedeli dinnanzi alla diffusione del contagio da Covid-19, è stata altresì invocata l’intercessione del Servo di Dio card. Lodovico Altieri, suo predecessore sulla cattedra episcopale albanense, tragicamente perito durante una grave e virulenta epidemia di colera che, estesasi su tutto il territorio nazionale già l’anno precedente, nei primi giorni di agosto del 1867 colpì anche la città di Albano, cagionando in poche settimane un elevatissimo numero di vittime.
L’ammirazione della popolazione afflitta dal colera per il proprio vescovo si tramutò, negli ultimi giorni del sua vita, in autentica venerazione per quello che fu da subito definito “martire della carità”, per l’instancabile ed amorevole dedizione mostrata nell’assistere e confortare ammalati e moribondi. La sua fama di santità crebbe al punto da essere salutato come un novello San Carlo Borromeo, che parimenti si spese incessantemente nel soccorso agli appestati durante l’epidemia che flagellò Milano tra il 1576 e il 1577.
Nato nel 1805 in una delle più illustri ed antiche famiglie dell’aristocrazia romana, distintasi per l’incrollabile fedeltà alla Chiesa durante l’occupazione francese, terzogenito del principe Paluzzo Altieri e della principessa Maria Anna di Sassonia, il giovane Lodovico entrò ben presto al servizio della Santa Sede, venendo nominato nel 1825 cameriere segreto di papa Leone XII. Ordinato presbitero nel 1833, divenne per le sue doti uno dei più fidati collaboratori di Gregorio XVI, che volle nominarlo segretario della Congregazione degli Studi e designarlo, nel 1836, Nunzio apostolico presso l’Impero austriaco, dopo averlo elevato al rango arcivescovile. Per l’equilibrio, la garbata prudenza e la fine abilità diplomatica dimostrate nello svolgimento del suo delicato incarico durante la permanenza alla corte di Vienna Gregorio XVI lo creò cardinale in pectore nel 1840; la nomina fu poi pubblicata nel 1845, contestualmente alla designazione a Segretario dei Memoriali.
Con l’elezione di Pio IX, il cardinale Altieri divenne presidente del distretto amministrativo di Roma e Comarca, che comprendeva la città e larga parte dell’Agro Pontino. Nominato membro della Commissione per le riforme costituzionali dello Stato nel 1847, quando l’anno successivo divamparono i violenti disordini che portarono all’assassinio di Pellegrino Rossi ed all’insurrezione sfociata nell’instaurazione della Repubblica Romana dopo il fallito tentativo di formare un governo, Altieri, che Pio IX avrebbe voluto nominare presidente del consiglio dei ministri, seguì il Papa nel suo esilio a Gaeta, una volta divenuto evidente come il reale obbiettivo dei rivoltosi fosse la soppressione del potere temporale della Chiesa ed il sovvertimento dell’ordine costituito.
Dopo la caduta della Repubblica Romana e la restaurazione dello Stato Pontificio, Pio IX designò Altieri come membro della Commissione cardinalizia per il governo provvisorio dello Stato, incaricata di stilare un programma di governo, d’intesa con i rappresentanti francesi ed austriaci, in attesa del ritorno del Papa a Roma. La commissione, soprattutto per iniziativa del Servo di Dio, agì con moderazione e clemenza verso i repubblicani sconfitti, la maggioranza dei quali venne esiliata.
Nel 1857 il cardinale Altieri fu nominato Camerlengo di Santa Romana Chiesa, nel 1859 presidente della Consulta di Stato per le finanze e nel 1861 prefetto della Congregazione dell’Indice. Nel 1863 divenne arciprete della Basilica di San Giovanni in Laterano.
Se egli ebbe modo di dimostrarsi diligente, scrupoloso e operoso servitore della Chiesa negli altissimi uffici che fu chiamato a rivestire nella Curia romana, non meno zelante, virtuoso e premuroso si rivelò nella cura pastorale della diocesi che gli venne affidata, quando Pio IX, «certo di farne scelta preziosa per quella parte eletta del gregge di Cristo» (De Sanctis, Orazione funebre per la preziosa morte dell’Eminentissimo Ludovico Altieri Vescovo di Albano, Velletri 1868), lo nominò vescovo di Albano nel 1860. Impossibilitato ad osservare l’obbligo di residenza per le alte responsabilità ricoperte a Roma, il cardinale Altieri si dedicò con impegno e costanza, «senza avere riguardo alla tenuità di nostre forze» (Lettera pastorale al clero e al popolo di Albano, 20 gennaio 1861), all’adempimento dei suoi doveri ed alla guida delle anime, compiendo nei pochi anni di episcopato due visite pastorali e dedicando particolare attenzione alla formazione del clero e dei laici ed al contrasto agli abusi nei frequenti soggiorni in diocesi.
Ebbe zelo nel predicare il Vangelo; fu assiduo nel «dilungar sue dimore in fra i suoi diocesani» e fu instancabile nell’accogliere e nell’ascoltare il popolo «nel suo Palazzo e nei più vili tuguri». […]
Il Servo di Dio ebbe grande carità verso i poveri della sua diocesi: si «diffuse per ogni dove in opere di pietà e di limosine occulte e palesi, onde rendere meno disagevole la strema indigenza, la lagrimosa sventura del tapino, dell’orfano, della vedova, del poverello».
Parente, Ludovico Altieri Cardinale Vescovo di Albano (1805-1867), 2009
Dopo che tra il 5 e 6 agosto del 1867 l’epidemia di colera anzidetta divampò ad Albano, provocando in poche ore centinaia di vittime, il Vicario generale mons. Lavaggi, il quale, su suggerimento dei medici, aveva prestato i primi soccorsi alla popolazione convertendo a lazzaretto l’ospedale, emanando stringenti disposizioni per la sepoltura dei morti e distribuendo medicine, si recò a Roma il 7 agosto per informare il cardinale. Compresa l’estrema gravità della situazione l’Altieri decise di partire immediatamente per Albano, disponendo al contempo l’invio di alcuni medici ed assicurando al Vicario che
in sì terribile frangente non avria badato a spendere insino all’ultimo soldo quanto avea di danaro.
Il colera in Albano nell’agosto 1897, Articoli estratti dai fascicoli 425, 427, 428 de La Civiltà Cattolica, Roma, coi tipi de La Civiltà Cattolica, 1868
Nel salutare il commosso cugino Costantino Patrizi Naro, Cardinale Vicario della diocesi di Roma, si accomiatò dicendo, quasi presago dell’imminente sorte:
Dunque io parto – così si espresse in quell’occasione –, se non ci rivedremo più qui, ci rivedremo in Paradiso.
De Sanctis, Orazione funebre
Parimenti all’accorato appello alla prudenza rivoltogli da Pio IX rispose che «il pastore va dove il gregge muore».
Per non mettere a repentaglio la salute dei suoi collaboratori decise che ad accompagnarlo sarebbero stati solo il caudatario, don Agostino Falcioni (testimone e cronista di quegli eventi), ed un paio di servitori. Avvicinandosi alla città e vedendo numerose carrozze che si allontanavano in gran fretta dall’epicentro dell’epidemia alla volta dell’Urbe, il cardinale mantenne un contegno di imperturbabile serenità, raccomandando ai suoi compagni di viaggio di avere fiducia:
Confidiamo in Dio e nei nostri SS. Avvocati! Il pastore non deve abbandonare l’ovile, quando un pericolo gli sovrasta!
Il colera in Albano nell’agosto 1897, Articoli estratti dai fascicoli 425, 427, 428 de La Civiltà Cattolica, Roma, coi tipi de La Civiltà Cattolica, 1868
Giunto ad Albano nel tardo pomeriggio l’Altieri venne accolto quale «Angelo di conforto, qual Padre e Pastore, dal suo gregge sì tribolato», che si strinse attorno a lui benedicendo il suo arrivo. Volle subito provvedere al sostentamento spirituale e materiale della popolazione, predisponendo la distribuzione dei generi alimentari di prima necessità (pane e carne) e amministrando personalmente i Sacramenti ai moribondi nelle loro umilissime abitazioni. Con singolare tenerezza, ancor prima di entrare in Vescovado, acconsentì alla richiesta di alcune madri di cresimare i loro bambini afflitti dal colera.
Cominciavano così gli ultimi tre giorni della sua esistenza terrena, durante i quali egli rifulse
simile a una face, che prossima a venir meno brilla sovente a lampi di più chiara luce.
Il colera in Albano nell’agosto 1897, Articoli estratti dai fascicoli 425, 427, 428 de La Civiltà Cattolica, Roma, coi tipi de La Civiltà Cattolica, 1868
La sera stessa del suo arrivo, nel santuario della Madonna della Rotonda, si rivolse al popolo sofferente ivi accorso con parole di ispirata e paterna amorevolezza, annunciando il suo intendimento di dedicarsi integralmente all’assistenza del gregge stremato, pronto a patire l’estremo sacrificio:
Fatevi animo, o miei figlioli. È qui il vostro Vescovo, accorso a sostenervi in ogni possibile aiuto, con tutte le sue forze, accorso a pregare e a piangere con voi e, se faccia d’uopo, anche a morire. Fatevi animo. Pensate che il contagio della paura è peggiore di quello del morbo. Se questo morbo è un castigo, subitelo volentieri, subiamolo con quella rassegnazione che purifica, che ci attira il benigno sguardo del Dio di misericordia. Soccorriamoci, consoliamoci a vicenda. Io stesso sarò padre vostro, sarò, quando occorra, il vostro infermiere. La nostra prece sia anzitutto il coraggio. Efficacissima è quella preghiera che si fonda sull’opera d’uno scambievole soccorso. Meritiamoci l’aiuto del cielo… cerchiamo il nostro posto dove si patisce, dove si geme, dove si muore. Il posto mio, vado ora ad occuparlo.
Stefanucci, Il colera di Albano e il cardinale Altieri, Roma, 1867
La mattina dell’8 agosto, celebrata la Messa, l’Altieri uscì nuovamente per prestare conforto agli ammalati ed amministrare il sacramento della Confermazione ai fanciulli infettati. Al passaggio del cardinale i fedeli in lacrime, inginocchiandosi al suo cospetto, lo imploravano di entrare nelle loro misere dimore, per benedire e comunicare i contagiati ed i moribondi. Come padre affettuoso e comprensivo mai si sottrasse a quest’opera di carità e di pietà, ben consapevole del pericolo che correva, conformandosi sempre più al modello dell’amato San Carlo Borromeo.
Fra tali scene di lutto e miseria coraggiosamente avvolgevasi, qual altro Carlo, il Cardinale Ludovico, accoppiando alle parole di conforto i soccorsi della pecunia.
Ferrari, Il colera in Albano nell’agosto 1867, in La Civiltà Cattolica 12, 1867
Nel pomeriggio, dopo avere solennemente celebrato la liturgia penitenziale, fece visita al marchese Serlupi, suo buon amico, ed a Maria Teresa d’Asburgo-Teschen, vedova del sovrano delle Due Sicilie Ferdinando II, entrambi gravemente ammalati e prossimi al trapasso.
A tarda sera, nonostante fosse stremato dalla fatica e dall’emicrania cui era sovente soggetto, si recò all’ospedale per cresimare un giovinetto, trattenendosi poi con i malati ricoverati e rivolgendo a ciascuno di loro parole di incoraggiamento e di speranza. Prima di tornare al Palazzo vescovile, nonostante cominciasse a manifestare i primi sintomi del contagio, accondiscese alla richiesta di alcune donne di cresimare le loro figliolette.
Il 9 agosto il cardinale Altieri visitò il seminario diocesano ed il suo rettore, caduto malato, e si profuse instancabilmente nel soccorso dei malati, nel lazzaretto e nelle loro case, al punto da rinunciare a desinare per dedicare ogni sua energia al conforto dei colerosi ed all’amministrazione dei Sacramenti.
Il 10 agosto, giunti alcuni medici da Roma, il cardinale Lodovico convocò il Consiglio cittadino, che implementò i provvedimenti adottati per circoscrivere il contagio, dando esecuzione alla normativa sanitaria vigente nello Stato Pontificio. Nello stesso giorno l’Altieri, dopo avere compiuto sopralluoghi all’ospedale ed al cimitero per verificare di persona il rispetto delle disposizioni emanate, si aggravò, accusando sintomi divenuti oramai evidenti.
Nella notte cadde definitivamente malato e, dopo essersi confessato ed aver ricevuto il Viatico portato in processione dal Capitolo della Cattedrale alle prime luci dell’alba, si rivolse al Signore con un’accorata orazione in cui rifulse la sua sublime e nobile umiltà:
Mio Dio, io sono un misero peccatore; e tanti furono i miei peccati! Ma grandi altresì sono state le vostre misericordie verso di me! E qual misericordia potevate voi farmi, che concedermi di morire in mezzo a questo gregge, che mi avete donato?
Ferrari, Il colera in Albano nell’agosto 1867, in La Civiltà Cattolica 12, 1867
Mentre il fedele gregge si era riunito intorno al Palazzo vescovile per vegliare il suo venerato ed amato pastore, il Servo di Dio Ludovico Altieri, raccolto in preghiera pure nell’agonia, spirò alle due e mezzo del pomeriggio di domenica 11 agosto. Venne data lettura del suo testamento, nel quale, sulle orme del santo Borromeo, disponeva di donare tutti i suoi beni ai poveri.
Subito si diffuse la fama della sua santità, venendo unanimemente salutato come “martire della carità”. La Civiltà Cattolica ne diede testimonianza nella cronaca di quei terribili giorni:
Eccoci oramai giunti a scrivere dell’eroiche geste del buon Pastore in quei tre giorni, che furono gli ultimi del viver suo. […] Qual meraviglia pertanto, che al triste annunzio della perdita di così santo Pastore tutta la città di Albano ne fosse commossa? Appena furono uditi i mesti rintocchi delle campane del Duomo, avresti detto che un fulmine avesse colpito que’ miseri cittadini! Vedeansi molti di essi, massime i poverelli, errare qua e là in sembiante di mentecatti e tutti in lagrime e sospiri, come se nella vita del Cardinale avessero perduta quella de’ loro più cari. E ben ne aveano ragione; conciossiaché vedemmo come Egli fosse ad un tempo per le loro desolate famiglie Padre e Pastore sì delle anime come dei corpi.
Di poco era inoltrata la notte, ed Albano già sì deserta, vedevasi come per incanto ripiena d’abitatori. Tutto quel popolo rivolgea i suoi passi verso il palazzo del defunto suo Vescovo […]. Non cessò quel popolo di accompagnare il compianto Pastore con canti e preci più di gloria che di requie, se prima non lo vide calare entro la tomba, recandosi a gran ventura chi potesse baciare ripetutamente la cassa che lo chiudeva, e tutti racconsolando l’estremo dolore di tanta perdita, colla considerazione, che avendolo il Signore chiamato a sé per coronarlo come martire di carità, essi avevano guadagnato un possente intercessore presso il trono della sua infinita misericordia.
Ferrari, Il colera in Albano nell’agosto 1867, in La Civiltà Cattolica 12, 1867
Come rilevava Giovanni Marcotullio, sarebbe un’inferenza profondamente fallace quella di chi ritenesse contraddittorio un provvedimento che, decretando la celebrazione di Missæ sine populo per salvaguardare l’incolumità dei fedeli, specialmente quelli più fragili, si conclude al contempo
con il ricordo del predecessore che si recò nelle case dei colerosi ammalandosi il giorno stesso e morendone di lì a poche decine di ore.
In realtà sia le disposizioni coscienziosamente emanate da mons. Semeraro e dall’intero episcopato italiano sia l’eroico contegno tenuto dal venerabile card. Altieri sono espressione di un medesimo sapiente e virtuoso esercizio di responsabilità e prudenza evangelica.
Il cardinale Lodovico, infatti, tutt’altro che insensibile al progresso scientifico, nei pochissimi giorni in cui gli fu dato di agire, applicò con operosa solerzia e diligente tempestività, non certo inferiori rispetto a quelle profuse per la cura spirituale degli infetti, le misure igienico-sanitarie indicategli dai medici e ritenute efficaci al fine di contenere la propagazione del morbo (in particolare la disinfezione delle strade e delle abitazioni e la tumulazione delle vittime con l’utilizzo di abbondante calce), in un’epoca in cui alla scienza medica erano sostanzialmente ignote sia l’eziologia sia le modalità di contagio del colera.
Come i cittadini albanensi salutarono con imperitura riconoscenza il sacrificio d’amore del cardinale Altieri che, nella perfetta conformazione al Buon Pastore, offrì la sua vita per le pecore, così, nella grave ora presente, il fedele popolo di Dio, sapendo distinguere la voce nitida e verace dei suoi pastori dal richiamo mendace dei lupi rapaci che, dietro un’apparente fervore, vorrebbero confondere e dividere il gregge alimentando sterili contestazioni, si unisce in obbediente e filiale comunione attorno ai propri vescovi e padri, esprimendo profonda gratitudine per la premura, la sollecitudine e la carità pastorale che essi non hanno esitato a manifestare in siffatto drammatico frangente, che impone sofferte decisioni. In questa cornice il digiuno eucaristico che nell’odierno tempo quaresimale si è chiamati a vivere, se rettamente inteso come preparazione a ricevere il Corpo di Cristo, rafforzerà l’ardente attesa di partecipare alla celebrazione del Sacrificio eucaristico e, pertanto, la consapevolezza dell’immenso valore del dono salvifico che il Signore gratuitamente offre, rendendo ancor più piena la gioia per la Pasqua di Risurrezione.
Proprio perché animato dalla medesima carità pastorale che ha guidato l’azione dell’episcopato italiano, il cardinale Altieri, buon pastore misericordioso e martire della carità, rimane un modello di straordinaria attualità per la Chiesa.
Come ricordò mons. Semeraro nell’omelia per la chiusura dell’inchiesta diocesana sulla vita, virtù e fama di santità del cardinale Lodovico, il Servo di Dio
presentandosi al clero e ai fedeli nella lettera pastorale del 20 gennaio 1861 tratteggiò se stesso con le espressioni ricavate dalla prima lettera di Pietro, divenute classiche per descrivere l’ufficio dei pastori: forma facti gregis ex animo (5,3), essere un modello per il gregge, che per Ludovico Altieri voleva dire spendersi totalmente per il «perfezionamento dei santi» e «l’edificazione del Corpo di Cristo» (cfr Ef 4,12).
Il marmo scolpito nella nostra Cattedrale lo ricorda come pastor bonus. È un’immagine abituale per noi; è un titolo che ci rimanda a Gesù, pastore buono delle pecore. L’espressione incisa, però, dice qualcosa di più. Il richiamo, infatti, non è al pastore del vangelo secondo Luca che va in cerca della pecora perduta e, una volta trovatala, pieno di gioia se la carica sulle spalle (cfr Lc 15,4-5), ma al pastore giovanneo che, ben diversamente dal mercenario il quale, quando «vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo e rapisce e le disperde», non soltanto non scappa ma rimane per donare la sua vita: «io do la mia vita per le pecore» (Gv 10, 12.14). […]
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