De quo multum præsumpserimus subito deficit et fit pessimus.
Nec timor noster certus est, nec amor noster certus est.Colui di cui molto avremo presunto all’improvviso viene meno e diventa pessimo.
Agostino, Sermone 46 (“Sui pastori”), 27
Né il nostro timore né il nostro amore sono cose certe.
Sono queste parole di Agostino quelle che mi rimbombano in testa da quando ho saputo di Jean Vanier. Naturalmente prima avevo opposto la piú ferma negazione: «È impossibile, ci mancherebbe altro!», «Stanno infamando un sant’uomo che peraltro non può piú difendersi». Subito dopo ho scoperto che l’inchiesta è stata commissionata – ad agente indipendente – da L’Arche stessa, la quale ne aveva poi divulgato gli esiti: non c’era motivo di tenere oltre alto lo scudo1In molto qui mi sono appoggiato all’articolo di Sophie Lebrun su LaVie.fr., e cosí all’incredulità si è avvicendato lo sgomento. «Com’è possibile?».
L’inchiesta
La nostra storia fondatrice vola in frantumi, come pure il nostro mito di fondazione. Abbiamo vissuto 55 anni con delle persone marce: adesso abbiamo una storia marcia.
Cosí si è espresso Stephan Posner, attuale responsabile internazionale del movimento L’Arche. La prima testimonianza che riguardava direttamente Jean Vanier è stata ricevuta nel movimento nel maggio 2016: si trattava di una donna che descriveva una relazione erotica vissuta nel quadro di un accompagnamento spirituale, sul filo di strani discorsi religiosi da parte di Vanier. La donna diceva di aver vissuto una grande sofferenza ma di non voler fare del male a L’Arche. Posner ha detto:
Jean riconobbe all’epoca quel che vedeva come una relazione reciproca. Ha spiegato di non aver ricordo di una giustificazione mistica. Ha chiesto perdono a quella donna, che glie n’è stata riconoscente.
Certo non quel che ci si aspetta da un santo, ma la cosa sembrava poter essere archiviata come uno scivolone. Quando un’altra donna – nel marzo 2019 – si è fatta viva con una storia simile, Posner ha fatto partire l’inchiesta2Affidata a un organismo britannico specializzato nel counseling per la protezione dallo sfruttamento e dall’abuso sessuale. Un comitato di sorveglianza indipendente, composto da due alti funzionarî francesi emeriti, è stato incaricato di valutare l’integrità e l’affidabilità del lavoro. Frattanto i domenicani accordavano ai responsabili de L’Arche l’accesso ai loro archivî e questi davano mandato allo storico Antoine Mourges di analizzare la relazione tra Jean Vanier e Thomas Philippe, suo padre spirituale: alla morte di Vanier erano state ritrovate circa 180 lettere di Thomas Philippe indirizzate al fondatore de L’Arche. Vi si legge, tra l’altro, nel dettaglio, il delirio su quanto secondo il domenicano la Santa Vergine si sarebbe atteso da Vanier – cose che quest’ultimo avrebbe realizzato e conseguito a mezzo degli abusi sessuali, di coscienza e di potere., quando il novantenne Vanier era già stato indebolito da un infarto, era stato ricoverato e viveva gli ultimi mesi della sua vita.
Durante l’inchiesta si sono fatte vive altre quattro donne, con racconti analoghi (tra loro e rispetto a quelli delle vittime di Thomas e Marie-Dominique Philippe): «Non siamo noi, siamo Maria e Gesú: tu sei eletta, sei speciale, questo è un segreto»; «È Gesú che ti ama attraverso me». Una delle vittime ha detto:
L’accompagnamento spirituale si è trasformato in toccamenti sessuali: è durato tre o quattro anni… ero immobilizzata, incapace di distinguere il bene dal male. […] Mi ha detto che il tutto faceva parte dell’accompagnamento.
«Ancora figlio del padre Thomas»
Non serve scendere oltre nel dettaglio, o si indulgerebbe al pettegolezzo: il dato che invece è necessario rilevare è il nesso tra Thomas Philippe e Jean Vanier. Pierre Jacquand, il responsabile de L’Arche in Francia, ha raccontato di uno scambio di battute del quale a posteriori comprende la rilevanza. Qualche mese prima della sua morte, Vanier gli avrebbe detto, in risposta alla domanda “come va?”:
Abbastanza bene, ma sono angosciato perché sono ancora il figlio spirituale di padre Thomas.
Oggi Jacquard legge cosí quel ricordo:
Ho capito che ha preferito mentirci – tutte quelle molte volte che l’abbiamo interrogato – piuttosto che diventare infedele alle teorie di padre Thomas.
Come se rimettere in discussione quella figura – ha completato Posner – rappresentasse un «pericolo troppo grande» ai suoi occhi, «come se ciò rischiasse di provocare un’implosione in lui».
«Si vendemmia forse uva dai rovi?» (cf. Mt 7,16; Lc 6,44)
Il legame genealogico tra Vanier e Philippe non era ignoto ad alcuno, e difatti era stato piú volte oggetto di riflessione ecclesiale, fin dal movimento stesso de L’Arche: sembrava che Vanier fosse l’ottimo frutto miracolosamente comparso sul ramo di una pessima pianta. Sembra invece che – quantunque non sia impossibile sottrarsi alla maledizione dei padri – Vanier abbia posto in atto mezzi insufficienti a sottrarsi effettivamente all’influsso di Philippe. La questione ora si pone per L’Arche:
Per molti tra noi, Jean è stato tra le persone che piú abbiamo amato e rispettato. Ci rendiamo conto del turbamento e del dolore che queste informazioni provocheranno in molti tra noi, dentro a L’Arche, ma pure all’esterno (pensiamo in particolare ai membri di Foi et Lumière), tante sono ovunque nel mondo le persone che egli ha ispirato e confortato. Se non viene messo in questione il considerevole bene da lui svolto per tutta la sua esistenza, dovremo tuttavia elaborare il lutto per una certa visione che potevamo avere di lui, come pure delle nostre origini. Quali che siano state la coscienza e la lettura che Jean Vanier ebbe di queste relazioni, o le differenti percezioni che poterono averne quelle donne, è certissimo che alcune tra loro ne furono profondamente e durevolmente mortificate. Jean ha mascherato una parte della sua esistenza, e il suo silenzio – quali che ne fossero i motivi, del resto – rese possibile il proseguirsi di situazioni inaccettabili, e ci ha comunicato una visione distorta della nostra storia di fondazione. […] |
Per quanto i risultati elle nostre ricerche e di questa inchiesta ci affliggano in profondità, individualmente e collettivamente, questo è un passo obbligato nei confronti di quanti sono stati feriti da codeste situazioni, ma è pure una necessità riguardo a noi stessi: L’Arche non avrà avvenire, se non saprà considerare il proprio passato con lucidità. Quel che oggi apprendiamo è una prova e ci destabilizza, ma quel che perdiamo in certezza speriamo di guadagnarlo in maturità, per poter mandare avanti L’Arche con tante piú giustizia e libertà.
Stephan Posner, Stacy Cates-Carney, Comunicato stampa del 22 febbraio 2020
Una storia malata si può sanare – la stessa genealogia di Cristo, al principio del Vangelo secondo Matteo – lo mostra: ciò non può però avvenire senza un profondo sacrificio, che immancabilmente comporterà l’offerta spontanea di molte sofferenze, tante delle quali inferte a persone innocenti.
Perché la fede non si raffreddi
La fede non sta e non cade sullo stare o sul cadere degli uomini che abbiamo ammirato: anche se (ce ne guardi Iddio) venissimo ad appurare cose analoghe (o peggiori) sullo stesso Santo Padre, non per questo il mistero cristiano ne risulterebbe evacuato – e possiamo dirlo con certezza, essendo purtroppo la cosa già accaduta diverse volte nella storia. La fede tuttavia può vacillare, per cose del genere, perché ci è stato insegnato a riconoscere nelle opere degli uomini quelle di Dio (Mt 5,16), e quindi dei segni che ci sostengano (cf. Io 14,12) nel “senso illativo” (John Henry Newman) per cui siamo portati e riportati all’atto di fede. In realtà, benché «Dio parli all’interno di ogni cuore e non abbia bisogno di alcuno per manifestarsi a un’anima» (Teresa di Lisieux), non esiste chi faccia anche solo un passo nella grazia di Dio “in solitaria”, cioè indipendentemente dalla Chiesa – neanche se fosse un certosino o un recluso –, e per questo trova validità il detto mirabile conservatoci dalla Didachè:
Cerca ogni giorno la compagnia dei santi per trovare ristoro nelle loro parole.
Didachè, IV,2
In ogni santo salutiamo con gioia un testimone della risurrezione, e quando crediamo di averne davanti uno ci rallegriamo della sua grazia (anche) perché essa ci conferma nella nostra fede: quando si scopre che il testimone è falso (Ex 20,16) non viene intaccato il fatto della Risurrezione, certo, ma brutalmente vediamo appassito ciò che di quella avevamo creduto un frutto. Ci ricordiamo allora il tremendo versetto: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo / colui che ripone nella carne il suo sostegno» (Ger 17,5). Cristo resta, certo, ma noi ci scopriamo un po’ piú soli e piú traditi – come Lui – e forse anche il nostro ardore si raffredderà (Mt 24,12).
Note
↑1 | In molto qui mi sono appoggiato all’articolo di Sophie Lebrun su LaVie.fr. |
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↑2 | Affidata a un organismo britannico specializzato nel counseling per la protezione dallo sfruttamento e dall’abuso sessuale. Un comitato di sorveglianza indipendente, composto da due alti funzionarî francesi emeriti, è stato incaricato di valutare l’integrità e l’affidabilità del lavoro. Frattanto i domenicani accordavano ai responsabili de L’Arche l’accesso ai loro archivî e questi davano mandato allo storico Antoine Mourges di analizzare la relazione tra Jean Vanier e Thomas Philippe, suo padre spirituale: alla morte di Vanier erano state ritrovate circa 180 lettere di Thomas Philippe indirizzate al fondatore de L’Arche. Vi si legge, tra l’altro, nel dettaglio, il delirio su quanto secondo il domenicano la Santa Vergine si sarebbe atteso da Vanier – cose che quest’ultimo avrebbe realizzato e conseguito a mezzo degli abusi sessuali, di coscienza e di potere. |
Caro Giovanni se l’ardore si raffredda si prepara a rinnovate alte temperature tempranti per rafforzare la fede e dilatare il cuore. Scoprendo, proprio dentro queste tristezze e miserie, di poter amare, grazie a Cristo, sempre più e, soprattutto, meglio.
Cosí sia, ma queste sí che sono cose passibili di scandalizzare i semplici.