Oggi pomeriggio è stata annunciata la morte del cardinale Prosper Grech, che fu molte (ma moltissime) cose, e tra le ultime (in ordine cronologico), Cardinale di Santa Romana Chiesa. Giusto questa mattina dicevamo a tavola che Manlio Simonetti non avrà ancora finito di togliersi i dubbî principali, «tipo che fine ha fatto il De resurrectione carnis di Teodoro di Mopsuestia», potendo per di piú attingere direttamente alle fonti (e insieme ai maggiori critici). Avranno aggiunto un posto a tavola, in Cielo, «tra cotanto senno».
Da poche ore si è dunque spenta quaggiù un’altra di quelle luci profetiche che hanno sostenuto e sostengono la nostra veglia nella fede: penso con un fremito al Pontificio Istituto Patristico Augustininanum, – cui molto devo –, del quale Grech fu insieme ad Agostino Trapè (1915-1987) uno dei dioscuri, e del quale si assottiglia ancora la schiera dei fondatori viventi.
Mi affiorano alla mente alcuni aneddoti su padre Grech, ma per raccontarne alcuni assai gustosi ci vorrebbe un contesto piú conviviale (e poi questa è comunque la grave ora della veglia funebre). Cosí preferisco ricordarlo con un suo testo – quello pronunciato all’apertura del Conclave che elesse Papa Francesco – e con un sapido motto di spirito che il Cardinale ebbe in Aula Magna quando, alfine salito sull’usata cattedra con le purpuree vesti da novello principe della Chiesa, tranquillizzò e riconquistò istantaneamente tutto l’uditorio, che gli rispose con una fragorosa risata:
«Nolite timere: ego sum».
di + Prosper Card. Grech1Meditazione del cardinale Prospero Grech indirizzata ai 115 cardinali elettori presenti il giorno dell’apertura del Conclave che il 13 marzo 2013 elesse nuovo Pontefice Papa Francesco. Il testo è stato reso noto il 27 agosto festa di S. Monica.
Alla veneranda età di 87 anni sono uno dei più anziani del collegio cardinalizio, ma in quanto a nomina sono appena un neonato; e poiché la mia vita era sempre dedicata allo studio, la mia conoscenza delle vicende di Curia non supera la terza elementare. Solo in quanto tale oso presentare questa semplice meditazione in nomine Domini. L’atto che state per compiere dentro questa Cappella Sistina è un kairos, un forte momento di grazia, nella storia della salvezza, che continua nella Chiesa fino alla fine dei tempi. Siete coscienti che questo momento chiede da voi la massima responsabilità. Non importa se il Pontefice che eleggerete sia di una nazionalità o di un’altra, di una razza o di un’altra, importa solo se, quando il Signore gli rivolge la domanda «Pietro, mi ami?» egli possa rispondere con tutta sincerità: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo» (Cfr Gv 21, 17-19).
Allora le pecorelle affidategli da Gesù saranno al sicuro, e Pietro seguirà Cristo, il sommo Pastore, ovunque vada. Con ciò non ho nessuna intenzione di fare l’identikit del nuovo papa, e molto meno presentare un piano di lavoro al futuro pontefice. Questo compito delicatissimo spetta allo Spirito Santo, il quale negli ultimi decenni ci ha regalato una serie di ottimi pontefici santi. Il mio intento è quello di trarre dalla Scrittura alcune riflessioni per farci capire ciò che Cristo vuole dalla sua Chiesa, riflessioni che vi potranno aiutare nelle vostre discussioni. Durante la sua vita Gesù inviava i discepoli ad annunziare il Regno di Dio (Lc 9,2). Il Regno ha molte sfaccettature, ma possiamo sintetizzare la sua essenza come il momento di grazia e di riconciliazione che il Padre offre al mondo nella persona e opera di Cristo. Regno e Chiesa non coincidono, il Regno è la sovranità paterna di Dio che comprende tutti i beneficiari della sua grazia. Dopo la sua risurrezione Gesù mandò gli apostoli nel mondo intero per fare discepoli di tutte le genti e di battezzarli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 29,19).
La Chiesa fa questo presentando il Vangelo senza sconti, senza diluire la parola; con le parole di Paolo:
Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché è la potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco.
Rm 1,16
Quando si scende a compromessi con il Vangelo lo si svuota della sua dynamis, come se ad una bomba a mano si rimuovesse il tritolo in essa contenuto. Non si deve cedere nemmeno alla tentazione pensando che, poiché il Concilio Vaticano II abbia appianato la salvezza anche a coloro che sono fuori della Chiesa, si relativizzi la necessità del battesimo. Oggi si aggiunge l’abuso di tanti cattolici indifferenti che trascurano o rifiutano di battezzare i propri figli. L’annuncio del Vangelo del Regno di Dio si concretizza nell’annuncio di «Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1Cor 2,25). Sia la figliolanza divina di Cristo sia la sua crocifissione costituiscono lo scandalum crucis, «stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio» (1Cor 1,18).
È proprio questo scandalo della croce che umilia la hybris della mente umana e la eleva ad accettare una sapienza che viene dall’alto. Anche in questo caso, relativizzare la persona di Cristo ponendola accanto ad altri “salvatori” significa svuotare il cristianesimo stesso della sua sostanza. È proprio la predicazione dell’assurdità della croce, che in meno di trecento anni ridusse al minimo le religioni dell’Impero Romano e aprì la mente degli uomini ad una visuale nuova di speranza e di risurrezione. Della medesima speranza è assetato il mondo odierno, che soffre di una depressione esistenziale. Il Cristo crocifisso, però, è intimamente legato alla Chiesa crocifissa. È la Chiesa dei martiri, da quelli dei primi secoli fino ai numerosi fedeli i quali, incerti paesi, si espongono alla morte semplicemente andando alla messa domenicale. Ma la Chiesa crocifissa non si limita soltanto ai suoi martiri. Quando essa riflette la persona, l’insegnamento e il comportamento di Cristo, non fa altro che presentare la Verità, che è Cristo medesimo (Gv 14,6).
La Chiesa quindi chiede agli uomini di rispecchiarsi nello specchio di Cristo e di se medesima. Tutti desiderano conoscere la verità, ma quando essa rivela i nostri difetti allora viene odiata e perseguitata: «Oculis ægris odiosa lux, quæ sanis amabilis», (Conf. VII,22) dice Agostino. E Gesù predice: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno voi» (Gv 15,20). Perciò, la persecuzione è un quid constitutivum della Chiesa, come è la debolezza dei suoi membri, da cui non può prescindere senza perdere la sua individualità, è una croce che deve abbracciare. La persecuzione però, non è sempre fisica, c’è anche la persecuzione della menzogna: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno, e, mentendo diranno ogni sorte di male contro di voi per causa mia» (Mt 5,11). Di ciò avete fatto esperienza recentemente per mezzo di alcuni media che non amano la Chiesa. Quando le accuse sono false non bisogna farne caso, anche se causano dolore immenso. Un’altra cosa è quando contro di noi si dice la verità, come è accaduto in molte delle accuse di pedofilia. Allora bisogna umiliarsi di fronte a Dio e agli uomini e cercare di sradicare il male ad ogni costo, come ha fatto, con grande suo rammarico, Benedetto XVI. È solo così che si riguadagna credibilità di fronte al mondo e si dà un esempio di sincerità.
Oggi tanta gente non arriva a credere in Cristo perché il suo volto viene oscurato o nascosto dietro un’istituzione che manca di trasparenza. Ma se recentemente abbiamo pianto su tanti avvenimenti spiacevoli accaduti a clero e laici, persino nella casa pontificia, dobbiamo pensare che questi mali, pur gravi che siano, se comparati con certi mali del passato nella storia della Chiesa, non sono che un raffreddore. Come, con l’aiuto di Dio questi sono stati superati, si supererà anche la crisi presente. Ma anche un raffreddore bisogna curarlo bene perché non si sviluppi in polmonite. Lo spirito maligno del mondo, il mysterium iniquitatis (2Ts 2,7), si sforza continuamente di infiltrarsi dentro la Chiesa. Inoltre, non dimentichiamo il monito dei profeti all’antico Israele di non cercare alleanze né con la Babilonia né con l’Egitto, ma di seguire una pura politica ex fide fidandoci solamente di Dio (Cfr Is 30,1; 31,1-3; Os 12,2) e della sua alleanza. Coraggio! Cristo ci solleva d’animo quando esclama:«Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).
Facciamo adesso un passo avanti nella nostra domanda sulla volontà di Dio a riguardo della Chiesa. Non c’è dubbio che l’unità del suo corpo sia il summum desideratum di Cristo, come dimostra la sua preghiera sacerdotale nell’ultima cena (Gv 17). Purtroppo, il cristianesimo è ancora diviso, sia nella fede sia nell’amore. I primi tentativi di ecumenismo immediatamente dopo la seconda guerra mondiale (mi ricordo di essere stato presente in alcuni incontri con Romano Guardini a Burg Rothenfels), come anche l’impegno suscitato dalla Unitatis redintegratio, stanno portando frutto, pur restando una lunghissima strada da fare.
I pregiudizi muoiono molto lentamente e raggiungere un accordo teologico non è affatto facile. Siamo tentati di stancarci su questa strada che sembra spesso a senso unico. Ma desistere dal dialogo sarebbe andare esplicitamente contro la volontà di Dio. Più delle discussioni o gli incontri ecumenici, però, serve una preghiera fiduciosa ed intensa da tutte le parti e un cammino convergente verso la santità e lo spirito di Gesù.
Non meno facile per il futuro pontefice sarà il compito di tenere l’unità nella Chiesa Cattolica medesima. Tra estremisti ultra tradizionalisti e estremisti ultra progressisti, tra sacerdoti ribelli all’obbedienza e quelli che non riconoscono i segni dei tempi, ci sarà sempre il pericolo di scismi minori che non soltanto danneggiano la Chiesa, ma che vanno contro la volontà di Dio: l’unità ad ogni costo. Unità però, non significa uniformismo. È evidente che ciò non chiude le porte alla discussione intra-ecclesiale, presente in tutta la storia della Chiesa. Tutti sono liberi di esprimere i loro pensieri circa il compito della Chiesa, ma che siano proposte nella linea di quel depositum fidei che il pontefice insieme a tutti i vescovi hanno il compito di custodire. Pietro renderà il suo compito tanto più facile quanto lo condivide con gli altri apostoli. Purtroppo oggi la teologia soffre del pensiero debole che regna nell’ambiente filosofico, e necessitiamo un buon fondamento filosofico per poter sviluppare il dogma con un’ermeneutica valida che parli un linguaggio intelligibile dal mondo contemporaneo. Accade spesso, però, che le proposte di tanti fedeli per il progresso della Chiesa si basano sul grado di libertà che si concede in ambito sessuale. Certamente leggi e tradizioni che sono puramente ecclesiastiche possono essere cambiate, ma non ogni cambiamento significa progresso; bisogna discernere se tali cambiamenti agiscano per aumentare la santità della Chiesa o per oscurarla. Passiamo adesso ad un capitolo ancora più scottante. Nell’Occidente, almeno in Europa, il cristianesimo medesimo è in crisi. L’Europa non ha voluto nemmeno prendere in considerazione le proprie tradizioni storiche cristiane.
C’è un laicismo e un agnosticismo dilagante che ha diverse radici, per menzionarne qualcuna: la relativizzazione della verità, frutto del summenzionato pensiero debole, tema sottolineato spesso da Benedetto XVI, un materialismo che misura tutto in termini economici, l’eredità di governi e partiti che avevano l’intento di rimuovere Dio dalla società, l’esplosione della libertà sessuale e quel rapidissimo progresso scientifico che non conosce freni morali e umanitari. Inoltre, regna un’ignoranza e una noncuranza non soltanto della dottrina cattolica, ma dell’ABC stesso del cristianesimo. Si sente perciò l’urgenza della nuova evangelizzazione che comincia dal kerygma puro e nudo annunciato a non credenti, seguito da una catechesi continua alimentata dalla preghiera.
Però, il Signore che non viene mai sconfitto dalla trascuratezza umana sembra che, mentre in Europa gli si chiudono le porte, egli le stia spalancando altrove, specialmente nell’Asia. E anche nell’ Occidente, Iddio non mancherà di riservarsi un resto di Israele che non si genuflette di fronte a Baal, un resto che troviamo principalmente in tanti movimenti laicali dotati di carismi diversi che stanno dando un forte contributo alla nuova evangelizzazione. Questi movimenti sono pieni di giovani, tanto amati dagli ultimi due pontefici. Sono essi la semente che, ben curata, crescerà in un albero nuovo pieno di frutti. Si guardi però che movimenti particolari non credano che la Chiesa si esaurisce in loro.
Insomma, Dio non può essere sconfitto dalla nostra noncuranza. La Chiesa è sua, le porte degli inferi la potranno ferire nel calcagno, ma non la potranno mai soffocare. Finora abbiamo parlato di papi, cardinali, vescovi e sacerdoti, ma c’è un altro fattore di speranza nella Chiesa che non dobbiamo trascurare, il sensus fidelium. Agostino lo chiama “il Maestro interiore” in ciascun credente, e S. Giovanni “l’unzione” che ci insegna ogni cosa (Cfr Ger 31,34), essa crea nell’intimo del cuore quel criterio di discernimento del vero dal falso, ci fa distinguere istintivamente ciò che è secundum Deum da ciò che viene dal mondo e dal maligno (1Gv 2,20.27; 4,1-6). Secondo la Dei Verbum 8, anche il sensus fidelium è un locus theologicus che bisogna sia preso in considerazione dai pastori della Chiesa.
La brace della fede devota è tenuta viva da milioni di fedeli semplici che sono lontani da essere chiamati teologi, ma i quali, dall’intimità delle loro preghiere, riflessioni e devozioni, possono dare profondi consigli ai loro pastori. Sono questi che «distruggeranno la sapienza dei sapienti e annulleranno l’intelligenza degli intelligenti » (1Cor 1,19). Ciò vuol dire che quando il mondo, con tutta la sua scienza e intelligenza, abbandona il logos della ragione umana, il Logos di Dio brilla nei cuori semplici, che formano il midollo da cui la spina dorsale della Chiesa si nutre. Ma perché sto dicendo tutto questo? È perché, pur professando il luogo comune che lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa, non sempre lo prendiamo in considerazione nei nostri disegni sulla Chiesa.
Egli trascende ogni analisi sociologica e previsione storica. Supera gli scandali, le politiche interne, gli arrivismi e i problemi sociali, i quali, nella loro complessità oscurano il volto di Cristo che deve brillare anche attraverso dense nuvole. Sentiamo Agostino:
Gli apostoli vedevano Cristo e credevano nella Chiesa che non vedevano; noi vediamo la Chiesa e dobbiamo credere in Cristo che non vediamo. Aderendo saldamente a ciò che vediamo, giungeremo a vedere colui che ora non vediamo.
Aug., Sermo 383,3
E voi, perché vi trovate qui?
Nel 1961 Giovanni XXIII ricevette in udienza il corpo diplomatico presso la Santa Sede in questa Cappella Sistina. Indicò la figura dominante del Cristo giudice nell’affresco di Michelangelo, e disse loro che Cristo giudicherà anche l’operare delle singole nazioni nella storia. Voi vi trovate in questa medesima Cappella, sotto la figura di quel Cristo, con la mano alzata, non per schiacciare, ma per illuminare il vostro voto, che sia secundum Spiritum, non secundum carnem, cioè, «Non in sinistrum nos ignorantia trahat, non favor inflectat, non acceptio muneris vel personæ corrumpat». È in questo modo che l’eletto non sarà solo il vostro, ma essenzialmente il Suo.
Vorrei chiudere con una nota più leggera. Questo non è il primo conclave in cui sono stato presente. Io ero anche nel conclave di Paolo VI, come semplice sagrestano che preparava gli altari. Un giorno venne da me il Card. Montini, che mi chiese di confessarlo, dopo due ore era papa. Morto lui, si preparava il conclave, e c’erano presso di noi al Collegio S. Monica, tre cardinali, tra loro il Card. Luciani. Essendo il più anziano presente mi toccò dare loro il saluto prima della loro partenza per la Cappella Sistina. Mi ricordo di aver detto:
Dire a voi auguri non è di buon gusto, dirvi arrivederci, è ancora peggio. Dico soltanto: Dio vi benedica.
Sono un uccello di buon augurio!
Il medesimo saluto porgo a voi: Il Signore sia con voi e vi benedica.
Di’ cosa ne pensi