Viri probati e celibato: quel che Francesco non farà l’ha già fatto Benedetto

Wissam Akiki, sacerdote cattolico maronita, con la moglie Manal e le due figlie, nel 2014.
https://twitter.com/mlkubacki/status/1193076928430952448?s=12

Visto che stamattina sono sveglio da parecchio prima dell’alba, vorrei approfittare della situazione per dedicare qualche minuto – prima di mettermi a lavorare su quanto oggi mi compete – a ricordare un dato che mi pare essere sfuggito a molti (giacché nessuno lo cita), nel parapiglia talvolta isterico inerente al Sinodo sull’Amazzonia1E all’attesa dell’Esortazione Apostolica del Papa, che ne offrirà i frutti alla Chiesa.: per quanto riguarda i famosi “viri probati”, ciò che pare molti temano Francesco possa permettere in Amazzonia Benedetto XVI lo istituí per l’Europa. Dieci anni fa.

Anglicanorum cœtibus

Precisamente il 4 novembre – memoria di san Carlo Borromeo2Pioniere di quella che all’epoca fu un’avveniristica innovazione per la formazione del clero – i seminarî! – ricorreva il primo decennale della Costituzione Apostolica Anglicanorum Cœtibus, con la quale Benedetto XVI istituiva degli «ordinariati personali per gli anglicani che entrano in piena comunione con la Chiesa cattolica»:

In questi ultimi tempi lo Spirito Santo ha spinto gruppi anglicani a chiedere più volte e insistentemente di essere ricevuti, anche corporativamente, nella piena comunione cattolica e questa Sede Apostolica ha benevolmente accolto la loro richiesta. Il Successore di Pietro infatti, che dal Signore Gesù ha il mandato di garantire l’unità dell’episcopato e di presiedere e tutelare la comunione universale di tutte le Chiese, non può non predisporre i mezzi perché tale santo desiderio possa essere realizzato.

Se ci fermassimo al titolo e al primo paragrafo, potremmo essere tentati di derubricare la disposizione di Benedetto XVI alla voce “escamotage per riportare i protestanti all’ovile santo” – ma cosí faremmo un torto sia alla dottrina cattolica dell’ecumenismo sia alla viva coscienza che di essa ha sempre avuto Joseph Ratzinger/Benedetto XVI. La lettura attenta del documento mostra invece che tali ordinariati personali costituiscono de facto (ma anche de iure) un “quasi-rito”. Perché dico questo? Fondamentalmente per due aspetti:

  1. Agli ordinariati sono concesse un’autonomia e una peculiarità nettamente superiori a quanto normalmente accade per simili persone giuridiche, e ciò in particolare con riferimento
    • alle forme liturgiche e
    • alla disciplina ecclesiastica.
  2. La Costituzione Apostolica (insieme con le Norme Complementari contestualmente approvate) non prevede una – del resto comunque possibile – “cessazione” di tali ordinariati: vale a dire che essi non sono stati creati per “riassorbire lo scisma anglicano”, ma per creare uno spazio permanente, in seno alla catholica, a quanti provengono dal mondo anglicano (e si dispongono gli strumenti perché tale “corrente” non si estingua, ma anzi si perpetui).

Si legge infatti nel terzo articolo della Costituzione:

Senza escludere le celebrazioni liturgiche secondo il Rito Romano, l’Ordinariato ha la facoltà di celebrare l’Eucaristia e gli altri Sacramenti, la Liturgia delle Ore e le altre azioni liturgiche secondo i libri liturgici propri della tradizione anglicana approvati dalla Santa Sede, in modo da mantenere vive all’interno della Chiesa Cattolica le tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali della Comunione Anglicana, quale dono prezioso per alimentare la fede dei suoi membri e ricchezza da condividere.

Le tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali degli Anglicani vengono definite da Benedetto XVI “dono prezioso”. Potrà non piacere a chi alimenta una certa mitologia del Papa Emerito, ma la nuda verità è questa. Per quanto riguarda invece il celibato ecclesiastico, ecco quanto Benedetto XVI dispone (art. VI, §§ 1-2):

§ 1. Coloro che hanno esercitato il ministero di diaconi, presbiteri o vescovi anglicani, che rispondono ai requisiti stabiliti dal diritto canonico [13] e non sono impediti da irregolarità o altri impedimenti [14], possono essere accettati dall’Ordinario come candidati ai Sacri Ordini nella Chiesa Cattolica. Per i ministri coniugati devono essere osservate le norme dell’Enciclica di Paolo VI Sacerdotalis coelibatus, n. 42 [15] e della Dichiarazione In June [16]. I ministri non coniugati debbono sottostare alla norma del celibato clericale secondo il can. 277, §1.

§ 2. L’Ordinario, in piena osservanza della disciplina sul celibato clericale nella Chiesa Latina, pro regula ammetterà all’ordine del presbiterato solo uomini celibi. Potrà rivolgere petizione al Romano Pontefice, in deroga al can. 277, § 1, di ammettere caso per caso all’Ordine Sacro del presbiterato anche uomini coniugati, secondo i criteri oggettivi approvati dalla Santa Sede.

Insomma, poiché la Comunione Anglicana ha perduto i requisiti minimi della successione apostolica è impensabile che le ordinazioni vengano semplicemente convalidate, mentre sarà necessario ripeterle ad validitatem, tuttavia diaconi, presbiteri e vescovi anglicani possono diventare candidati agli Ordini Sacri nella Chiesa cattolica. Ove non sussistano impedimenti a norma del diritto, chiaramente, ma se questo significa che i ministri di sesso femminile non possono essere accolti tra tali candidati nulla impedisce che si deroghi al can. 277 § 13«I chierici sono tenuti all’obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini». e che da un lato si permetta al ministro anglicano già coniugato di essere ordinato nella Chiesa cattolica senza perciò dover abbandonare la famiglia, mentre dall’altro non si consenta percorso analogo al ministro anglicano non coniugato. Tale disparità di trattamento può sembrare bizzarra e perfino iniqua, ma essa risale invece all’unico principio del favor iuris nei confronti dell’ordinazione sacerdotale nella Comunione Anglicana, trasposta nella prassi canonica e pastorale comune a tutte le Chiese (anche quelle ortodosse autocefale), che cioè non si permetta ad alcun sacerdote di sposarsi permanendo nell’esercizio dei suoi munera sacra4Ma pure qui gli annali consegnano qualche eccezione… mentre sia resa possibile l’ordinazione di uomini sposati. In parole povere: l’ordinazione va ripetuta perché la tradizione apostolica nella Comunione Anglicana è stata compromessa, ma consideriamo de facto le ordinazioni sacerdotali reiterate nella Chiesa cattolica piuttosto come delle sanationes che come delle ordinazioni ex novo.

In che senso un “quasi-rito

Se però la Costituzione di Benedetto XVI si fermasse a questo, si avrebbe l’impressione che tra le “tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali” dell’Anglicanesimo meritevoli di essere preservate non si debba annoverare il clero uxorato. Ora invece Papa Ratzinger dispose che l’Ordinario abbia sempre facoltà di rivolgere petizione al Romano Pontefice per ammettere tra i candidati agli ordini sacri uomini coniugati che non siano già stati ordinati nella Comunione Anglicana! Si parla di petizione perché la Costituzione stabilisce che si privilegi l’istituto del clero celibe, ma nel contempo si esclude positivamente che in futuro possano essere dispensati dall’obbligo di perfetta continenza5E nella fattispecie il diritto non allude ad alcun “matrimonio giuseppino”. solo quanti saranno già stati ordinati nella Comunione Anglicana. Il che ha creato de iure, oltre che de facto, uno spazio per il clero uxorato nella Chiesa latina.

Le Norme Complementari indicano poi altri aspetti ugualmente importanti, che mostrano da un lato come la disciplina sul celibato resti nei ranghi della prassi condivisa da tutte le Chiese, e dall’altro quanto flessibilmente si regoli l’appartenenza all’Ordinariato. Anzitutto l’art. 6 (§§ 1-2):

§ 1. L’Ordinario, per ammettere candidati agli Ordini Sacri deve ottenere il consenso del Consiglio di governo. In considerazione della tradizione ed esperienza ecclesiale anglicana, l’Ordinario può presentare al Santo Padre la richiesta di ammissione di uomini sposati all’ordinazione presbiterale nell’Ordinariato, dopo un processo di discernimento basato su criteri oggettivi e le necessità dell’Ordinariato. Tali criteri oggettivi sono determinati dall’Ordinario, dopo aver consultato la Conferenza Episcopale locale, e debbono essere approvati dalla Santa Sede.

§ 2. Coloro che erano stati ordinati nella Chiesa Cattolica e in seguito hanno aderito alla Comunione Anglicana, non possono essere ammessi all’esercizio del ministero sacro nell’Ordinariato. I chierici anglicani che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari non possono essere ammessi agli Ordini Sacri nell’Ordinariato.

E quindi l’art. 11 (§ 1):

§ 1. Un Vescovo già anglicano e coniugato è eleggibile per essere nominato Ordinario. In tal caso è ordinato presbitero nella Chiesa cattolica ed esercita nell’Ordinariato il ministero pastorale e sacramentale con piena autorità giurisdizionale.

Come si vede, anche nell’“Ordinariato anglicano” il sacerdozio uxorato è accolto esclusivamente nel grado del presbiterato (e in ciò si mostra stretta aderenza alla prassi canonica di tutte le Chiese)6Resta invece tuttora misteriosa, per me, la ratio del § 4: «Un Vescovo già anglicano che appartiene all’Ordinariato e che non è stato ordinato vescovo nella Chiesa Cattolica, può chiedere alla Santa Sede il permesso di usare le insegne episcopali».. Come si entri a far parte dell’Ordinariato invece è illustrato nell’art. 5 (§§ 1-2):

§ 1. I fedeli laici provenienti dall’Anglicanesimo che desiderano appartenere all’Ordinariato, dopo aver fatto la Professione di fede e, tenuto conto del can. 845, aver ricevuto i Sacramenti dell’Iniziazione, debbono essere iscritti in un apposito registro dell’Ordinariato. Coloro che hanno ricevuto tutti i Sacramenti dell’Iniziazione fuori dall’Ordinariato non possono ordinariamente essere ammessi come membri, a meno che siano congiunti di una famiglia appartenente all’Ordinariato. 

§ 2. Coloro che sono stati battezzati nella Chiesa Cattolica, ma non hanno ricevuto gli altri Sacramenti dell’Iniziazione, e poi, tramite la missione evangelizzatrice dell’Ordinariato, riprendono la prassi della fede, possono essere ammessi come membri dell’Ordinariato e ricevere il Sacramento della Cresima o il Sacramento della Eucaristia oppure entrambi. [1]

Anche qui si osserva quanto vedevamo sopra, che cioè l’istituto dell’Ordinariato è da principio pensato per offrire uno spazio di cattolicità a quanti sono nati e cresciuti da anglicani, ma ciò non esclude che in tale spazio possano entrare:

  • i non cristiani che vengono evangelizzati dall’Ordinariato;
  • i cattolici che dopo il solo Battesimo riprendono la prassi sacramentale nell’Ordinariato;
  • i cattolici che sposano un membro dell’Ordinariato.

Non le condizioni che si porrebbero a un mero “organo di riassorbimento”, come si vede.

Quel che personalmente penso (e un bonus track!)

Con ciò non intendo esprimere “il mio appoggio” all’idea che si debba abbandonare (o rendere facoltativo) il celibato ecclesiastico nella Chiesa latina7Intanto perché non sono nessuno, e poi perché se anche fossi qualcuno la dottrina cattolica non si sostiene sull’appoggio né vacilla per la critica di alcuni “qualcuno”: ci sono dati storici, dogmatici, canonistici, e basta far parlare onestamente questi., ma piú modestamente far notare che quanto si teme che Francesco permetta in Amazzonia Benedetto XVI lo ha già permesso in Europa.

Copertina del libro di Jean Mercier

Anzi, quando si parla di “ordinare uomini anziani” si usa un’elegante perifrasi per suggerire che in Amazzonia sarebbe rispettata l’antica tradizione per cui nella Chiesa latina i viri probati sono, sí, sposati, ma continenti (lo ha ricordato il padre Thomas Michelet in quest’articolo che io stesso ho tradotto e che ho visto aver avuto una certa diffusione): nessuna cautela del genere è stata adoperata da Benedetto XVI in merito al clero uxorato degli/negli “Ordinariati anglicani”8Scrivo tra virgolette perché il nome completo è “Ordinariati Personali per quei fedeli anglicani che desiderano entrare corporativamente in piena comunione con la Chiesa Cattolica”, ma come si vede da quanto ho esposto essi sono tutto fuorché “rinchiusi nel loro recinto”, e – anzi! – disponendo perfino di proprî Istituti di Vita Consacrata e di Società di Vita Apostolica mi paiono costituire de facto ciò che ho chiamato “un quasi-rito”. La stessa posizione della loro tutela sotto la Congregazione per la Dottrina della Fede, del resto, indica un ufficioso statuto ad experimentum e tutto indica che il Legislatore tornerà in futuro a ritoccare l’istituto – verosimilmente, se non ci saranno brutte sorprese, espandendo gli spazi di autonomia., e tornerebbe a questo punto utilissima l’inchiesta che il compianto Jean Mercier svolse proprio tra le famiglie del clero uxorato dei suddetti Ordinariati.

Di quel libro – Célibat des prêtres. La discipline de l’Église doit-elle changer ? – io tradussi alcuni capitoli per un’edizione italiana che pareva cosa fatta: all’improvviso invece l’accordo si arenò9Nel frattempo San Paolo ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e il libro ha visto la luce., ma mi sembra cosa buona regalarvi quest’oggi l’introduzione, “in omaggio” con questo post, soprattutto perché – condividendo io la mens di Mercier in materia (avevamo avuto anche un breve carteggio a riguardo) – vorrei assumerla a delucidazione della mia personale posizione in materia.


Introduzione10A “Célibat des prêtres. La discipline de l’Église doit-elle changer ?”, DDB, Paris 2014.

di Jean Mercier11Traduzione di chi scrive.

Oggi più che mai il celibato del prete cattolico non gode di buona stampa. Lo si accusa di essere repellente per le vocazioni al sacerdozio. Lo si addita nelle questioni di pedofilia che coinvolgono il clero. Se ne fa la causa della solitudine dei parroci e delle difficoltà che essi hanno a mantenere un equilibrio di vita. Lo si incrimina per l’immagine negativa che dà della Chiesa cattolica – questa non saprebbe “stare al passo coi tempi” –… E tale giudizio negativo non è inferto solo dal grande pubblico, ma pure da una larga parte dei cattolici, praticanti e non12I sondaggi sono eloquenti. Secondo quello realizzato da Sofres-La Croix nel maggio 2009, l’80% dei Francesi stima che l’obbligo del celibato spieghi la rarefazione delle vocazioni sacerdotali in Francia. Tra i cattolici, il tasso generale è dell’82%, del 74% fra i praticanti. Sono dati che vanno presi con le molle perché la domanda sulla fondatezza del celibato induce una risposta critica, e l’esiguo campione dei praticanti non permette di trarre conclusioni solide..

D’altro canto, cattolici e non cattolici ritengono in maniera quasi unanime che la Chiesa dovrebbe chiamare al sacerdozio degli uomini sposati, in particolare per risolvere il problema della penuria di clero. Nel gergo cattolico li si chiama viri probati – in latino, degli “uomini provati” – cioè degli uomini la cui solidità e il cui valore sono stati provati attraverso la loro vita di uomini e di sposi, quando non anche di padri di famiglia.

Interrogato sulla necessità del celibato in occasione di una conferenza stampa nel maggio 2014 (nell’aereo che lo riportava dalla Terra Santa), Papa Francesco ha espresso la propria opinione:

Ci sono, nel rito orientale, ci sono preti sposati. Perché il celibato non è un dogma di fede, è una regola di vita che io apprezzo tanto e credo che sia un dono per la Chiesa. Non essendo un dogma di fede, sempre c’è la porta aperta […].

La porta è aperta! Da parte di Francesco, Papa ritenuto riformatore, bisogna aspettarsi una rivoluzione su questo controverso dossier? Il Papa contempla che dei parroci possano sposarsi, se si innamorano, e al contempo restare al loro posto? Questo non s’è mai fatto… L’ipotesi è piuttosto che egli sarebbe aperto a un’evoluzione sulla questione degli uomini sposati. Si sarebbe espresso in tal senso anche con un vescovo brasiliano, nell’aprile del 2014. In questi ultimi anni alcuni responsabili cattolici – vescovi o cardinali – hanno sovente evocato la questione del celibato come una semplice disciplina, che la Chiesa potrebbe decidere di modificare, se così le sembrasse opportuno e meglio fare, in modo da poter così ordinare degli uomini sposati nel sacerdozio. Ma è la prima volta che un Papa ne parla in maniera così disinvolta. È caduto un tabù.

Tuttavia, le cose sono davvero così semplici? L’esistenza di un clero sposato implica l’esistenza di realtà complesse, delle quali questa inchiesta cerca di rendere conto.

Precisare le nozioni, tornare alla Storia

Occorre sgombrare il campo da un equivoco semantico. Si parla correntemente del “matrimonio dei preti” per descrivere una duplice problematica: da una parte, la possibilità per i sacerdoti celibi di sposarsi; dall’altra, la questione dell’ordinazione di uomini sposati. Ora, se la Chiesa cattolica ha già ordinato degli uomini sposati (come vedremo con dovizia di dettagli), essa non ha mai autorizzato un prete a convolare a giuste nozze. Stricto sensu, il “matrimonio del prete” è fermamente interdetto sia in Oriente sia in Occidente: Chiese cattoliche orientali e Chiese ortodosse comprese, dove ogni chierico celibe che si sposa perde lo stato clericale. Non si è mai parlato di “far sposare i preti”, se non all’inizio della Riforma, quando i preti non erano ancora diventati dei “pastori”, o durante la Rivoluzione francese, per delle ragioni ideologiche. Solo le Chiese venute dalla Riforma autorizzano i loro pastori a sposarsi dopo essersi avviati nel ministero. Questa verità riposa su d’un principio di bronzea compattezza: si deve restare nello stato in cui si è al momento dell’ordinazione. Questa regola – per quanto incompresa da molti dei nostri contemporanei – permane di attualità.

Tale precisazione ci permette di rettificare l’informazione, diffusa sull’internet, secondo la quale l’obbligo del celibato risalirebbe al secondo Concilio Lateranense (1139). Quel Concilio non fece che dichiarare nullo il matrimonio contratto da un chierico; dunque non ha fatto che dichiarare invalidi i matrimoni proibiti a partire da una regola molto antica, che era in vigore in Occidente come in Oriente, e che tale resta nove secoli più tardi, almeno presso i cattolici e gli ortodossi. Ciò prova, invece, che alcuni preti trasgredivano la regola e si sposavano, in un periodo in cui il clero era lungi dall’autorità episcopale e in cui i matrimoni si facevano senza che l’istituzione ne fosse sempre avvertita.

Insomma, la Chiesa ha imposto il celibato con la Riforma gregoriana, la quale perdura per tutto l’XI secolo – di modo che non vennero più ordinati degli uomini sposati. Oggi, dunque, dopo mille anni di esistenza, il celibato sacerdotale è più che una semplice regola disciplinare imposta dalla Chiesa per sordide ragioni – come si legge qua e là, a proposito della trasmissione ereditaria di beni –. Anche se non si tratta di un dogma, il celibato è un’istituzione antica sulla quale non è così semplice tirare un tratto di penna.

Prima del celibato obbligatorio, la continenza obbligatoria

Del resto, si dice che nel primo millennio i preti avessero il diritto di essere sposati. Per essere precisi bisognerebbe dire che la Chiesa ordinava diaconi, preti e vescovi degli uomini sposati. Ci sono stati anche dei Papi sposati: Ormisda (514-523), padre di Papa Silverio (536-538), e Papa Felice III (483-492), trisavolo di san Gregorio Magno. Questa verità si impone. Ma bisogna pure aggiungere questo: l’ordinazione di uomini sposati era accompagnata dall’obbligo, per il prete o per il vescovo, di vivere la più stretta continenza sessuale con la propria moglie, così come attestano numerose fonti antiche…

La tesi del gesuita Christian Cochini, difesa nel 1969 e giudicata irricevibile negli anni ’7013Sarebbe stata pubblicata dieci anni più tardi [N.d.T.]. Christian Cochini, Le origini apostoliche del celibato sacerdotale, Roma 2011. – periodo in cui perfino certi preti militavano per l’abolizione del celibato –, difende un’origine molto antica dell’esigenza della continenza, e la fa risalire fino agli apostoli. Altri ritengono che si tratti di una novità introdotta nel IV secolo, quando la Chiesa entrò nell’epoca costantiniana.

Una realtà misconosciuta: i preti sposati della Chiesa latina

Spesso si crede che la Chiesa cattolica non abbia esperienza di preti sposati se non nelle sue declinazioni orientali (Chiesa melchita, maronita, caldea eccetera). Eppure la Chiesa cattolica di tradizione latina ha nel proprio seno un’esperienza, piccola ma realissima, di un clero sposato che esercita il proprio ministero in modo assolutamente ufficiale e riconosciuto14Non si tratta qui dei preti che vivono clandestinamente in concubinato, né di quelli che hanno lasciato il ministero per sposarsi, pure se restano – da un punto di vista ontologico – sacerdoti per sempre..

Quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger ha firmato, col pieno accordo di Giovanni Paolo II, la dispensa dal celibato per l’ordinazione di numerosi preti sposati, e la cosa è stata proseguita dal suo successore, William Levada, quando Ratzinger divenne Benedetto XVI (la prima dispensa di questo tipo risale a Pio XII). Tale dispensa concerne uomini che furono pastori protestanti oppure preti anglicani o episcopaliani (gli “anglicani americani”) che si sono convertiti al cattolicesimo. Questi uomini, divenuti agli occhi di Roma dei semplici laici cattolici, sono stati esentati dal celibato contestualmente alla loro nuova ordinazione come preti cattolici. Nel numero del 2 dicembre 2002 della rivista La Vie, un’inchiesta rivelava l’esistenza di questo clero atipico, e alla fine del giugno 2005 il settimanale pubblicava in esclusiva il ritratto di padre Patrick Balland, primo prete francofono toccato dal provvedimento, e quello della sua famiglia. Benedetto XVI ha aperto largamente la porta agli anglicani delusi dalla deriva liberale dell’anglicanesimo avvenuta nel 2009. Da allora hanno avuto luogo ordinazioni di chierici sposati in numero di una cinquantina.

In tale contesto, l’Inghilterra può essere considerata come una sorta di laboratorio di un clero latino sposato che coesiste con un clero celibe. Alcune diocesi contano un numero sostanziale di preti sposati (5%) e non potrebbero funzionare senza di loro. Questo libro presenta la prima inchiesta di valutazione del loro ministero. Si può concludere che si tratti di un successo (è il parere dello stesso episcopato inglese), ma quando si osserva da vicino si constatano delle difficoltà, specialmente in ordine al finanziamento delle famiglie pastorali e alla mobilità dei preti.

Sessualità dei preti, la fine di un tabù

La sessualità del prete è stata a lungo un tabù in seno alla Chiesa. Tale tabù è stato spezzato a partire dagli anni ’60, ma ancora di più alla fine degli anni ’90, quando gli scandali di pedofilia sono cominciati a emergere pubblicamente. La crisi è divenuta mondiale a partire dal 2002, negli Stati Uniti, dove si è scoperta non soltanto un’inimmaginata ampiezza della voragine dei crimini, ma pure l’incapacità delle autorità a fronteggiarli – se non con l’omertà.

Agli scandali di pedofilia si sono aggiunti i pasticciacci sessuali di preti o di vescovi. La crisi ha toccato i settori più conservatori della Chiesa: nel 2010, il riconoscimento della paternità nascosta del fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel, ha creato un vero choc.

Altro dossier spinoso: la questione dell’omosessualità all’interno del clero, che da quindici anni a questa parte conosce un’esplosione mediatica. Nel 2005 il Vaticano ha creduto bene emettere norme volte a evitare l’ordinazione di preti con «tendenze omosessuali profondamente radicate».

Ma sono soprattutto i chierici che esercitano la loro omosessualità a dare del filo da torcere alla gerarchia. Per esempio mons. Milingo, arcivescovo di Lusaka, sposato egli stesso, è stato scomunicato per aver ordinato vescovi quattro preti sposati. A maggio 2009, due vescovi centrafricani (tra cui l’arcivescovo della capitale) sono stati deposti dal Papa per il mancato rispetto del celibato. L’arcivescovo dello Zimbawe Pius Ncube ha dovuto dare le dimissioni nel 2007 in seguito alla rivelazione di una relazione. A giugno 2009 un altro vescovo africano è stato sollevato dalle sue funzioni. In Paraguay, il vescovo Fernando Lugo ha dovuto dare le dimissioni per assumersi le proprie responsabilità di padre. Ancora più pruriginoso il caso del prete televisivo Alberto Cutié, costretto a lasciare il proprio ufficio di parroco in Floriga dopo essere stato sorpreso da paparazzi in compagnia galante. Dei preti continuano a lasciare le proprie funzioni perché vogliono sposarsi, anche se il fenomeno nulla ha a che vedere con l’emorragia degli anni ’70. Resta vero che alcuni preti e alcuni vescovi conducono una doppia vita, con una donna e dei figli. In Africa si sono moltiplicate alcune comunità di cattolici dissidenti, che permettono ai preti e ai vescovi di sposarsi. Il fenomeno è inquietante se si considera che, dal punto di vista demografico, l’Africa è il continente in cui il cattolicesimo è in crescita.

In questo contesto, la riaffermazione frequente, da parte dell’istituzione ecclesiastica, della grandezza del celibato sacerdotale, può apparire ad alcuni un po’ come il lenzuolo di Noè, pudicamente tirato su situazioni molto imbarazzanti, per non dire scandalose. Benedetto XVI conosceva estremamente bene il problema, in quanto ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il suo pontificato è stato quello di una purificazione difficile ma ineluttabile, che del resto riguardava soprattutto il passato, antico e recente. Tale purificazione prosegue sotto Papa Francesco.

Sia ciò che sia, stiamo arrivando a un punto di non-ritorno: un numero importante di cattolici aspirano a un vero cambiamento del modo in cui la Chiesa “gestisce” la sessualità dei suoi chierici. Per logica deduzione, l’ordinazione di uomini sposati è dunque vista come la soluzione alle disfunzioni del celibato… Ma queste ultime debbono essere il prisma a partire dal quale si guarda alla questione – ben più vasta – della vocazione al sacerdozio?

Il paradossale vantaggio di codesti scandali è che il tabù sulla sessualità del signor parroco è venuto meno. I preti (e i monaci, le monache, i religiosi e le religiose) che vengono portati a dare testimonianza del proprio percorso di fede davanti a dei giovani sono regolarmente e immancabilmente interrogati sul loro rapporto con la sessualità, senza che i loro interlocutori provino il minimo imbarazzo o che questo li spinga a trincerarsi. I preti, specialmente i più giovani, si mostrano spesso molto a loro agio nel rendere conto del loro celibato, il più delle volte assumendo l’onere con una forza e una naturalezza che confondono. In ciò non sta affatto la prova che le cose siano altrettanto semplici da vivere… Nel corso della formazione in seminario, i candidati al ministero sono ormai regolarmente ragguagliati ed istruiti sull’argomento, e si pone un’attenzione estrema sulle questioni dell’equilibrio psicologico, relazionale e sessuale.

L’attuale ossessione mediatica per la sessualità dei consacrati a Dio traduce la grande difficoltà dei nostri contemporanei nell’immaginare una sessualità appagata al di fuori dell’attività degli organi genitali. Questo impedisce di pensare il celibato altrimenti che come una costrizione, e dunque di considerarlo come un dono gratuito e libero, riflesso di un dono venuto da Dio – un carisma – vale a dire che Dio dona alla tale persona la possibilità misteriosa di vivere con equilibrio la sua sessualità senza “realizzarla” per via genitale. La maggior parte dei preti sottolineano il fatto che il celibato non ha chances di essere vissuto sanamente in una prospettiva solamente ascetica, di lotta contro le pulsioni. Esso sta là per liberare delle energie pastorali, non per imbrigliare gli uomini. Ai nostri giorni, i giovani preti che si impegnano nel celibato sono per la maggior parte felici della loro scelta, a differenza di quelli degli anni ’65-’75. A quell’epoca molti preti non vi vedevano che una costrizione della quale speravano di sbarazzarsi grazie a delle auspicate evoluzioni nella scia del Concilio Vaticano II.

Ordinare degli uomini sposati, la panacea?

Per la maggior parte, i cattolici non mettono in discussione la grandezza del celibato, bensì criticano la necessità che la Chiesa ne fa per l’accesso al sacerdozio. Essi pensano che per un aspirante al sacerdozio dovrebbe darsi la libertà di scegliere lo stato matrimoniale o quello celibatario, così come fanno le Chiese cattoliche orientali e le Chiese ortodosse.

L’opinione dominante (in favore dell’abolizione del celibato) lamenta che la Chiesa non sia al passo coi tempi, che essa abbia paura del sesso, che sia misogina. I dibattiti sono segnati da considerazioni ideologiche o sociologiche. Si promuove l’ordinazione dei viri probati a partire dalla penuria dei preti o dalle devianze di alcuni chierici, nicchiando sulle realtà concrete legate a un clero sposato.

La sfida di questa inchiesta è anzitutto pragmatica. Al di là di un viaggio storico, essa è una raccolta di informazioni concrete a partire da campi sperimentali del clero cattolico sposato. In particolare dai ranghi dei preti sposati latini (“convertiti” provenienti dalla Riforma). L’esperienza delle Chiese cattoliche orientali è pure molto importante. È pure utile vedere come la realtà è vissuta nell’ortodossia e nel protestanesimo. Tale valutazione del reale è indispensabile per un dibattito serio sulla fondatezza dell’ordinazione di uomini sposati nella Chiesa cattolica.

Questo libro ha l’ambizione di permettere a ciascuno di farsi un’intima convinzione su una questione molto complessa, che coniuga realtà psicologiche, simboliche, culturali, finanziarie, affettive, psicologiche e spirituali.

Uno dei limiti di questo lavoro è che non fa distinzione tra il prete diocesano e il sacerdote religioso. Il caso del prete diocesano è maggiormente studiato, anche se le considerazioni sul celibato potrebbero concernere allo stesso modo il sacerdote religioso impegnato in un ministero apostolico. La questione si pone in effetti differentemente quando il sacerdote religioso vive in comunità – non foss’altro che nell’equilibrio di vita e per le relazioni affettive all’interno della fraternità.

Questo è il libro di un giornalista. Non ha ambizioni accademiche – donde l’esiguo numero di note a pie’ di pagina e l’assenza di riferimenti sistematici. Ov’è risultato possibile, le citazioni e le fonti sono stati indicati nel corpo del testo.

Note

Note
1 E all’attesa dell’Esortazione Apostolica del Papa, che ne offrirà i frutti alla Chiesa.
2 Pioniere di quella che all’epoca fu un’avveniristica innovazione per la formazione del clero – i seminarî!
3 «I chierici sono tenuti all’obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini».
4 Ma pure qui gli annali consegnano qualche eccezione…
5 E nella fattispecie il diritto non allude ad alcun “matrimonio giuseppino”.
6 Resta invece tuttora misteriosa, per me, la ratio del § 4: «Un Vescovo già anglicano che appartiene all’Ordinariato e che non è stato ordinato vescovo nella Chiesa Cattolica, può chiedere alla Santa Sede il permesso di usare le insegne episcopali».
7 Intanto perché non sono nessuno, e poi perché se anche fossi qualcuno la dottrina cattolica non si sostiene sull’appoggio né vacilla per la critica di alcuni “qualcuno”: ci sono dati storici, dogmatici, canonistici, e basta far parlare onestamente questi.
8 Scrivo tra virgolette perché il nome completo è “Ordinariati Personali per quei fedeli anglicani che desiderano entrare corporativamente in piena comunione con la Chiesa Cattolica”, ma come si vede da quanto ho esposto essi sono tutto fuorché “rinchiusi nel loro recinto”, e – anzi! – disponendo perfino di proprî Istituti di Vita Consacrata e di Società di Vita Apostolica mi paiono costituire de facto ciò che ho chiamato “un quasi-rito”. La stessa posizione della loro tutela sotto la Congregazione per la Dottrina della Fede, del resto, indica un ufficioso statuto ad experimentum e tutto indica che il Legislatore tornerà in futuro a ritoccare l’istituto – verosimilmente, se non ci saranno brutte sorprese, espandendo gli spazi di autonomia.
9 Nel frattempo San Paolo ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e il libro ha visto la luce.
10 A “Célibat des prêtres. La discipline de l’Église doit-elle changer ?”, DDB, Paris 2014.
11 Traduzione di chi scrive.
12 I sondaggi sono eloquenti. Secondo quello realizzato da Sofres-La Croix nel maggio 2009, l’80% dei Francesi stima che l’obbligo del celibato spieghi la rarefazione delle vocazioni sacerdotali in Francia. Tra i cattolici, il tasso generale è dell’82%, del 74% fra i praticanti. Sono dati che vanno presi con le molle perché la domanda sulla fondatezza del celibato induce una risposta critica, e l’esiguo campione dei praticanti non permette di trarre conclusioni solide.
13 Sarebbe stata pubblicata dieci anni più tardi [N.d.T.]. Christian Cochini, Le origini apostoliche del celibato sacerdotale, Roma 2011.
14 Non si tratta qui dei preti che vivono clandestinamente in concubinato, né di quelli che hanno lasciato il ministero per sposarsi, pure se restano – da un punto di vista ontologico – sacerdoti per sempre.
Informazioni su Giovanni Marcotullio 297 articoli
Classe 1984, studî classici (Liceo Ginnasio “d'Annunzio” in Pescara), poi filosofici (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, PhD RAMUS) e teologici (Pontificia Università Gregoriana, Pontificio Istituto Patristico “Augustinianum”, Pontificia Università “Angelicum”, PhD UCLy). Ho lavorato come traduttore freelance dal latino e dal francese, e/o come autore, per Città Nuova, San Paolo, Sonzogno, Il Leone Verde, Berica, Ταυ. Editor per Augustinianum dal 2013 al 2014 e caporedattore di Prospettiva Persona dal 2005 al 2017. Giornalista pubblicista dal 2014. Speaker radiofonico su Radio Maria. Traduttore dal francese e articolista per Aleteia Italiano dal 2017 al 2023.

1 commento

  1. Molto chiaro e molto condivisibile. Una nota molto importante da aggiungere – anche perché non è mai richiamata da nessuno. Nel 1909 Friedrich Wilhelm Förster (1869-1966) pubblicò la seconda edizioone, triplicata rispetto alla prima del 1907, del suo capolavoro “Eftica e pedagogia della vita sessuale”. Questa seconda edizione fu scritta soprattutto per rispondere, con ampiezza e profondità di argomentazioni, ai vivaci attacchi di molti contro la prima edizione del volume, dovuti al fatto che l’autore, se pure protestante, aveva osato difendere l’istituzione del celibato del clero cattolico e della vita consacrata. Il volume conobbe al momento un grandissimo successo, tra i protestanti conservatori e soprattutto tra i cattolici. All’edizione americana del 1936 il Beato Mons. Fulton Sheen premise una prefazione altamente elogiativa. Purtroppo poi il libro è stato totalmente dimenticato. L’ampia difesa del celibato fatta dal Förster è infatti di una profondità e di una genialità a mio giudizio mai in seguto eguagliata. Qui mi limito ad accennare che l’autore dimostra, con argomenti irrefutabili, che tutti gli argomenti generalmente invocati contro il celibato sacerdotale e religioso varrebbero rigorosamente anche contro il matrimonio monogamico, fino alla giustificazione della stessa prostituzione. La stessa concezione mistica del celibato, visto come apertura verso il mistero della Chiesa Sposa di Cristo, a cui accenna Paul Freeman, potrebbe ricevere molta luce dal volume del Förster. Si può leggere una breve presentazione del volume e scaricare il pdf di tutto il testo, nella traduzione italiana del 1911, tramite il segunte link: https://massimolapponi.wordpress.com/ebook-friedrich-wilhelm-forster-etica-e-pedagogia-della-vita-sessuale/

Di’ cosa ne pensi