Se a solleticare la vostra curiosità è l’Halloween moderno (cioè, l’Halloween di oggi, quello contemporaneo, quello che vive nelle vetrine dei nostri negozi e nei party a tema in discoteca), allora non dovreste assolutamente perdervi un libro interessantissimo scritto da David Skal. Nel suo Death makes a Holiday. A Cultural History of Halloween, lo studioso analizza con notevole approfondimento l’evoluzione che la festa ha avuto in epoca contemporanea.
Per raccontarvi questo libro, partirò dalla fine, e cioè, letteralmente, dal suo Epilogo, che s’intitola significativamente 11 Settembre e 31 Ottobre.
Non è una metafora o un gioco di parole. In questo capitolo, Skal parla letteralmente dell’Halloween 2001, il primo dopo la strage delle Torri Gemelle.
E ben fa – ché quell’Halloween 2001 fu del tutto particolare.
In primo luogo, fu la prima grande festa di portata nazionale dopo la strage. In una America che era ancora avvinta dal terrore e che tremava al pensiero delle lettere all’antrace, l’idea di una festività in cui centinaia di bambini si sarebbero riversati nottetempo in strada, alla mercé di qualsiasi potenziale terrorista (che oltretutto avrebbe facilmente potuto indossare una maschera senza per questo dare nell’occhio)… beh: faceva paura. Dannatamente paura. L’Halloween 2001 fu uno dei più cupi e angosciosi che la Storia americana ricordi – con brividi di terrori veri, e non solo per i bambini.
Brividi di terrore non meno angoscianti dovettero avvincere, verso l’inizio di ottobre, tutta la brava gente che a vario titolo lavorava nell’industria collegata ad Halloween.
Se sei un negoziante o lavori nell’entertainment, Halloween non lo organizzi in due settimane. L’allestimento di parchi a tema e la scelta dei gadget da mettere in vendita parte – ovviamente – mesi e mesi prima.
La maggior parte dei centri commerciali avevano ordinato gli accessori e i costumi per Halloween nella passata primavera
scrive Skal citando un articolo apparso in quel periodo sul Baltimore Sun
molto prima che si potesse immaginare che una mano mozzata e incrostata di sangue avrebbe potuto rivelarsi un gadget di pessimo gusto, a poca distanza da una tragedia nazionale che aveva provocato centinaia di morti. Il giornale proseguiva notando che la catena Spencer Gifts aveva rimosso dalle sue vetrine decine di arti mozzati.
A Riverside, in California, un imprenditore ci mise assai poco a capire che, forse forse, non sarebbe stato il caso di inaugurare quella sua bellissima casa degli orrori in cui i visitatori sarebbero stati costretti a cercare la fuga in oceano di fiamme. Peggio ancora andò al poveretto che aveva investito ingenti somme per creare a Washington un parco divertimenti che avrebbe simulato al completa distruzione della Casa Bianca e del Pentagono.
Chiaramente, inscenare la distruzione del Pentagono a poche settimane dall’11 Settembre sarebbe stato fuori lungo punto e basta.
Ma è per certi versi profondamente indicativo notare come, in quell’autunno 2001, fu la festa di Halloween nel suo complesso a mostrarsi profondamente inappropriata. Quella che, secoli addietro, era nata come una festa consolatoria per sottolineare il legame indissolubile tra vivi e morti, entro il 2001 si era ormai trasformata in un macabro festival della morte fine a se stessa.
Gli strascichi che l’11 Settembre ebbe sulla industria di Halloween rese evidente fino a che punto la cultura consumistica americana avesse trasformato questo antico memento mori in una festa costruita sul sangue e sull’orrore, una notte in cui la morte regna trionfante ma gli uomini non sono più in grado di vivere il lutto.
Ma come è stato possibile arrivare a questi estremi?
Perché Halloween – da festa legata a un affettuoso culto dei morti – si è trasformata nel festival del macabro fine a se stesso?
Quando è successo esattamente? Come? E attraverso quali tappe?
Nel suo Trick or Treat, Linda Morton ci offre alcuni spunti di riflessione.
Punto primo: negli anni Cinquanta, Halloween comincia ad essere percepita come la festa “dell’evasione”.
In quel clima per certi versi un po’ oppressivo in cui dovevano vivere molti bambini delle famiglie bene (quelli che “stai composto”, “non correre, ché sennò sgualcisci il vestitino buono”, “questa sera vengono a cena gli amici di papà, non farlo vergognare”, “schiena dritta e per l’amor del cielo sistemati quei boccoli”), Halloween aveva mostrato d’essere, per quei piccini, un meraviglioso strappo alle regole.
Una volta all’anno, i bimbi ricevevano il permesso di vestirsi di stracci, di stare svegli dopo il tramonto, di aggirarsi per le strade a notte fonda – persino di “fare i cattivi”, entro certi limiti!
Halloween era una eccitante rottura del tran-tran e una elettrizzante infrazione delle regole. Quando i bambini degli anni Cinquanta divennero gli adolescenti degli anni Sessanta, si mostrarono decisamente riluttanti ad abbandonare questa dimensione di scherzosa trasgressione.
E l’industria dell’entertainment fu ben lieta di interpretare questo bisogno di ribellione.
Negli anni Sessanta, nascono le prime attrazioni a tema: case infestate nelle quali si potevano vivere momenti da brivido; escape room (come le definiremmo oggi) in cui passare una notte adrenalinica.
Nello stesso tempo, si sviluppa negli Stati Uniti quella che David Skal definisce “Monster Culture”. Nel 1957, la Universal rilascia un set di cinquantadue film horror per la televisione, che le emittenti fanno a gara per accaparrarsi. Le pellicole cominciano ad essere trasmesse nel periodo di Halloween, sul tardi, come ideale conclusione per una serata iniziata col consueto trick-o-treating e poi culminata con la visione del film ad alta tensione, da gustare comodamente sul proprio divano, magari dopo aver messo a letto i figli.
Attraversando gli schermi televisivi, nuovi e paurosi personaggi cominciavano così a popolare l’immaginario legato ad Halloween: mostri, vampiri e lupi mannari si sarebbero legati indissolubilmente alla festa. Una festa che ormai era diventata senza età: a vario titolo e con modalità diverse, ormai terrorizzava bambini, giovani e giovani adulti indifferentemente.
Se i baby boomers desideravano sperimentare il brivido della notte di Hallowen: beh, il karma fu ben lieto di accontentarli. Tra gli anni Sessanta e Settanta, si verificano negli States fatti di cronaca realmente agghiaccianti, come quello che vede protagonista la casalinga newyorkese Helen Pfeil.
Infastidita dalle continue richieste di dolcetti da parte di ragazzini che, a suo dire, erano già troppo cresciuti per prendere parte al trick-o-treating, la pia donna pensò bene, nel 1964, di farsi carico di un utile ruolo pedagogico a favore della collettività distribuendo crocchette per cani e esche insetticida ai bambini che suonavano alla sua porta.
Alcuni di loro si sentirono male, poverelli: la donna fu individuata e processata, ma il surreale episodio aveva già introdotto nell’immaginario collettivo un altro elemento che per lungo tempo fu associato ad Halloween – quello cioè dello psyco che avvelena i bambini per sadico divertimento (e/o fa assumere loro dolcetti all’LSD, magari allo scopo di ingenerare una dipendenza).
Queste leggende metropolitane ebbero un’impennata dopo il tragico caso di Timothy Mark O’Bryan, un bambino di otto anni morto il 31 Ottobre 1974 dopo aver mangiato un dolcetto nel quale era stato iniettato del cianuro. Dopo una settimana di indagini, gli inquirenti scoprirono che l’assassino di Thimothy era il suo stesso padre, ma la notizia non tranquillizzò un granché la popolazione (soprattutto alla luce dell’agghiacciante confessione dell’omicida: nella speranza di non far ricadere su di sé i sospetti, l’uomo aveva distribuito altri dolcetti avvelenati ad altri bambini del circondario. Solo per miracolo, gli altri bimbi non avevano mangiato i dolci quella notte – dopodiché, allo spargersi della notizia, le forze dell’ordine avevano ovviamente requisito tutti i dolci ancora presenti nelle case).
La psicosi era ai massimi livelli e il panico era reale. Negli anni a venire, numerosi ospedali avrebbero allestito dei check-point notturni per i genitori che avessero voluto far analizzare (o addirittura far passare ai raggi X) le caramelle ricevute in dono dai loro figli.
In modo – aehm – forse non del tutto disinteressato, l’industria dolciaria mandò in onda delle premurose pubblicità progresso che istruivano i bambini a non accettare mai dolci che non fossero pre-confezionati.
Ma la paura restava, e negli anni ispirò numerosi buontemponi che si divertirono a seminare il panico diffondendo notizie false su stragi, omicidi rituali e pratiche criminose che sarebbero state perpetrare in quella tremenda notte.
***
Linda Morton, forte della sua esperienza nell’industria cinematografica dell’horror, fa notare una curiosa statistica secondo cui la gente tende a mostrare un particolare interesse per gli horror nei periodi di guerra e di instabilità politica, quasi cercasse in questo modo di esorcizzare la tensione della vita vera. E forse non è un caso – fa notare la Morton – che la popolarità di Halloween segni un picco assoluto negli anni della prima guerra del Golfo.
A quel punto, era solo questione di tempo: di lì a poco, Halloween avrebbe attraversato l’oceano per una seconda volta, facendo il suo ritorno in Europa sotto vesti molto diverse rispetto a quelle con cui l’aveva lasciata.
In modo assai curioso, mentre guadagnava popolarità nel Vecchio Mondo, Halloween cominciava a far inarcare più di un sopracciglio negli Stati Uniti.
Ad esempio: nel 2002, la National Alliance of Mental Illness chiese (con scarso successo) che fossero vietati tutti quei costumi e quelle attrazioni poco politically correct che rimandavano all’immaginario del manicomio: camicie di forza, escape room a tema, e così via dicendo.
La seconda metà degli anni 2000 vide l’esplosione di costumi di Halloween sessualmente provocanti, talvolta proposti addirittura alle bambine. Il fenomeno ha ingenerato negli States un serio dibattito tra sociologi, psicologi infantili e associazioni femministe; alcune high school scelsero di cancellare i tradizionali party di Halloween, spinti dall’unica motivazione pedagogica che le ragazze tendevano a vestirsi in modo scandaloso.
Preoccupazioni pedagogiche ben più angoscianti erano quelle che cominciavano a togliere il sonno a quelli che la Morton definisce “gruppi cristiani fondamentalisti”.
So di toccare un nervo scoperto in molti dei miei lettori, ma vorrei rispettosamente far notare che, fino agli anni Settanta nel Novecento, nessuno mai si sarebbe sognato di definire “anticristiana” o “satanica” la festa di Halloween. Party in maschera venivano organizzati negli oratori, nelle chiese, nelle scuole di matrice confessionale. Nessuno mai si era sentito minacciato da questa festa, e nessuno mai si sarebbe sognato di creare quel clima da “caccia alle streghe” che la Morton osserva essere un curioso ritorno al passato – e cioè ai tempi in cui, sotto la scure della predicazione protestante, Halloween era stata trasformata nella notte di Satana.
La studiosa osserva che
all’aprirsi del ventesimo secolo, il Diavolo si era trasformato [nell’immaginario popolare di Halloween, N.d.R.] in poco più di un buffo folletto dispettoso, spesso raffigurato come un bambino che vestiva un costume rosso dotato di corna.
Più avanti nel corso del secolo, quando i costumi di Halloween cominciarono ad essere prodotti su scala industriale, quelli da diavoletto furono vistosi bestseller. E proprio quando sembrava che il Diavolo fosse stato confinato all’inferno del merchandising triviale, fu riportato in ballo sul finire del XX secolo da gruppi cristiani fondamentalisti che definirono Halloween “il compleanno del Diavolo”.
Il termine fu coniato da un certo Jack T. Chick, un cartoonist evangelico dalle posizioni assai intransigenti, che quasi sempre vengono associate alla qualifica di “cristiano fondamentalista”. Colpito dall’efficacia che i cartoon avevano nella propaganda della Cina comunista, a partire dagli anni ’60 Chick si diede all’auto-pubblicazione di opuscoli a fumetti che, tendenzialmente rifiutati dalle librerie, ebbero invece un’enorme diffusione nelle chiese evangeliche (e non solo).
Attraverso i suoi fumetti, Chick persegue con fervore la sua missione: e cioè, liberare il mondo dalle sue più gravi piaghe, tra le quali figurano il satanismo, il cattolicesimo, i movimenti femministi, la teoria darwiniana dell’evoluzione.
Il blog di Umberta Mesina offre un gustosissimo excursus della personalità molto sui generis del buon Chick. Ai nostri fini, basterà ricordare che in un fumetto del 1986, titolato The Trick, Chick mette in scena il personaggio di suor Charity, una specie di religiosa catto-satanista pronta ad ordire malefiche trame nella notte di Halloween, che scopriamo così esser particolarmente cara al suo signore oscuro.
Rimando con forza all’interessantissimo articolo sul blog di Umberta per farvi conoscere in che modo questa leggenda metropolitana divampò, si alimentò attraverso ad altre fake news e infine rischiò di ritorcersi contro allo stesso Chick, che negli ultimi anni ha infatti raddrizzato il tiro ammorbidendo il suo “no” assoluto ad Halloween. Ma mi piace citare una frase di Scott P. Richert, citato e commentato appunto dall’ottima Umberta:
Se state considerando di tenere i vostri figli a casa per Halloween mentre gli altri passano una serata di innocente divertimento solo perché vi è stato detto che Halloween è “la notte del diavolo”, ho un solo consiglio da offrire: considerate la fonte.
***
Certo che Halloween potrà pure non essere “la notte del diavolo”, però si è certamente trasformato nella “notte dell’orrore fine a se stesso”. Come scrive David Skal con quello che a me pare proprio essere un pizzico di amarezza,
Dopo il divorzio dai loro antichi legami con la religiosità (pagana prima, e cristiana poi), le antiche usanze in memoria dei defunti si sono da tempo trasformate in rituali di consumo per i vivi. Fantocci di zombie, vampiri e altri mostri redivivi hanno rimpiazzato il ricordo affettuoso dei nostri veri antenati. Come osserva uno dei piccoli protagonisti de L’Abero di Halloween di Ray Bradbury […], “ci siamo dimenticati qual è il senso di tutto questo. Voglio dire: i morti, nella nostra città, questa notte, cavolo!, nessuno se li ricorda. Nessuno pensa a loro. Nessuno se ne cura”.
Ed è verissimo. Sottoscrivo in pieno. Il senso di tutto questo ormai si è quasi totalmente perso.
Ma onestamente ho seri dubbi che la migliore strategia d’azione sia quella di buttar via anche quel poco di senso che ancora si conserva, come se fosse un brutto gomito di polvere da spazzar via con un colpo schifato.
Paolo Gulisano, nel suo La notte delle Zucche, scrive:
Se anche l’attuale Halloween d’importazione americana è semplicemente una festività consumistica, svuotata di significato, […] semplicemente un carnevale con un tocco di macabro, può essere comunque un’occasione da non perdere.
Halloween va salvata: le va ridato tutto il suo antico significato, liberandola dalla dimensione puramente consumistica e commerciale.
È sua (e mia fermissima) opinione che a questo Halloween un po’ vuoto che ci propongono le vetrine si possa e si debba contrapporre l’Halloween di una volta, quello che spero di essere riuscita a raccontare in questi articoli, quello strettissimamente legato a
tutto il patrimonio di fede, cultura e – perché no? – folklore della Chiesa.
Quell’Halloween che altri non è che una
festa antichissima che ha attraversato i secoli, con usi e costumi che nel tempo si sono ridefiniti ma che hanno conservato lo stesso significato.
Cerchiamo di ricordarcelo:
Halloween: in inglese, “vigilia di Ognissanti”. Forse la più antica festività d’Europa: vale la pena regalarla a ciarlatani ed occultisti?
Di’ cosa ne pensi