Quando ero più giovane faticavo a comprendere i motivi della diffidenza dei biblisti (in genere) verso i teologi dogmatici: l’ho capita notando che gli stessi hanno sovente un atteggiamento analogo con i Padri della Chiesa. Intendo un’impostazione al contempo acritica e spregiudicata, che cioè si disinteressa alle questioni storico-critiche (o addirittura le ignora) e trasforma le Scritture e gli scritti patristici in un deposito di puntelli per le proprie argomentazioni a tesi.
A onor (e onere) del vero, si deve pur dire che tale atteggiamento sembra essersi formato in buona parte prima della modernità, quando gli splendori della scolastica si affievolirono in manierismi teologici poco fecondi1Ma lo stesso San Tommaso, venerabile dottore, estrapola talvolta frasi che, decontestualizzate, assumono altro sapore. Aliquando dormitat et bonus Homerus.: citazioni di antichi filosofi da una parte, delle Sacre Scritture e degli antichi Padri dall’altra, diventavano (e diventano) puntello di tesi precostituite che non di rado confliggono insanabilmente con la mens degli stessi autori chiamati a sostegno.
È il caso di quanto recentemente è accaduto con Tertulliano, il quale poi, a rigor di termini, non è neppure qualificabile come “Padre della Chiesa”: certo, un famoso padre – Cipriano – lo chiamava “il maestro”, e moltissimi altri lo saccheggiavano spudoratamente ma – come accadeva ai fuoriclasse cui era stato dato l’insopportabile carisma di vivere qualche secolo avanti ai coevi (in Occidente lui, Origene in Oriente) – perlopiù senza citarlo apertamente2Ormai più di sette anni fa un non oscuro “apologeta kattoliko” venne a contestare un mio scritto su Tertulliano tacciando l’Apologeticum di montanismo (e con ciò attestava semmai di ignorare le datazioni della vita e delle opere del Magister di san Cipriano)..
Dunque che cosa è accaduto? Forse per lanciare una provocazione (?), padre Paolo Gamberini ha scritto sul suo profilo Facebook:
Può un laico celebrare Messa per la Chiesa antica?
Risposta affermativa. Lo dico, consapevole di essere più antico dei Tradizionalisti doc.In caso di necessità, per Tertulliano (155 – 240 d.C.), anche il laico può presiedere la eucarestia, se manca un presbitero nella comunità.
“Pertanto, se hai il diritto di un sacerdote nella tua persona, in caso di necessità, ti conviene avere anche la disciplina di un sacerdote ogni volta che potrebbe essere necessario avere il diritto di un sacerdote” (Tertulliano, Esortazione alla castità, cap. 7, n. 3).
Padre Gamberini ha un curriculum di tutto rispetto ed è un ecclesiastico di una qualche esperienza, ma questo non lo autorizza a sovrainterpretare Tertulliano. Mi ha poi stupito anche di più che un accademico di perfino maggior corso di lui, quale Andrea Grillo, si sia sbilanciato nell’affermare che «Paolo non mente ed è veritiero». Professor Grillo, anche non volendo accusare padre Gamberini di menzogna (chi ne guadagnerebbe qualcosa?), non si può affermare che egli sia verace in ciò che afferma, e lei dovrebbe saperlo bene.
Cosa Tertulliano non dice
Intanto di certo lei c’insegnerà che Tertulliano è il primo scrittore cristiano latino a parlare di un “sacerdotium” cristiano, e sul mero piano della storia delle idee ciò deve indurci a grande cautela di analisi testuale. Da una scorsa complessiva delle opere di Tertulliano (prima e dopo la svolta montanista) si devono ritenere due considerazioni principali:
- come si evince soprattutto in De baptismo 173«Dandi quidem summum habet ius summus sacerdos, si qui est, episcopus; dehinc presbyteri et diaconi, non tamen sine episcopi auctoritate, propter ecclesiæ honorem quo salvo salva pax est. Alioquin etiam laicis ius est: quod enim ex æquo accipitur ex æquo dari potest – nisi si episcopi iam aut presbyteri aut diaconi vocabantur discentes Domini! – id est ut sermo non debet abscondi ab ullo proinde et baptismum, æque Dei census, ab omnibus exerceri potest. Sed quanto magis laicis disciplina verecundiæ et modestiæ incumbit cum ea maioribus competant, ne sibi adsumant episcopi officium. Episcopatus æmulatio scismatum mater est». «Il diritto nativo di conferirlo spetta al sommo sacerdote, se è disponibile, al vescovo; a seguire al presbitero e al diacono, e tuttavia non senza l’autorizzazione del vescovo, in ossequio all’onore della Chiesa, fatto salvo il quale la pace è salva. Altrimenti, anche i laici ne hanno diritto: quello che tutti hanno ricevuto allo stesso modo, allo stesso modo da tutti può essere dato – oltretutto già dai tempi apostolici si parlava di episcopi, presbiteri e diaconi – ed è per il Battesimo come per la Parola, che da nessuno dev’essere taciuta. Entrambi sono doni di Dio, entrambi possono essere amministrati da tutti. Ma quanto più sui laici incombe il dovere della modestia e della discrezione, tanto più competano coi loro superiori gerarchici [cioè diaconi e preti] nel non arrogarsi i compiti del Vescovo. L’invidia dell’episcopato è la madre degli scismi»., Tertulliano concepisce sì il concetto di “sacerdozio universale dei fedeli” (benché non con queste parole); ma
- in entrambi i periodi della sua produzione teologica egli mostra un’opinione bassina della capacità e delle competenze del laicato in genere.
Tenendo presente ciò si capisce che Tertulliano enfatizza l’importanza del commune sacerdotium solo quando si tratta di imporre gli obblighi disciplinari del clero sui laici, e che peraltro aborre l’idea di una clericalizzazione dei laici.
Cosa Tertulliano dice
Vediamo allora il testo citato da Gamberini e rilanciato da Grillo:
Nonne et laici sacerdotes sumus? Scriptum est: «Regnum quoque nos et sacerdotes Deo et Patri suo fecit». Differentiam inter ordinem et plebem constituit ecclesiæ auctoritas et honor per ordinis consessum sanctificatus. Adeo ubi ecclesiastici ordinis non est consessus, et offers et tinguis et sacerdos es tibi solus. Sed ubi tres, ecclesia est, licet laici. Unusquisque enim fide sua vivit, nec est personarum exceptio apud Deum, quoniam non auditores legis iustificantur a Domino, sed factores, secundum quod et apostolus dicit. Igitur si habes ius sacerdotis in temetipso ubi necesse est, habeas oportet etiam disciplinam sacerdotis, ubi necesse sit habere ius sacerdotis. Digamus tinguis? digamus offers? Quanto magis laico digamo capitale est agere pro sacerdote, cum ipsi sacerdoti digamo facto auferatur agere sacerdotem! “Sed necessitati – inquis – indulgetur”. Nulla necessitas excusatur quæ potest non esse. Noli denique digamus deprehendi, et non committis in necessitatem administrandi quod non licet digamo.
Forse che non siamo sacerdoti anche [noi] laici? Sta scritto: «Ha fatto di noi un regno e anche sacerdoti per il suo Dio e Padre». È l’autorità della Chiesa che ha stabilito una distinzione tra l’Ordine sacerdotale e il popolo, nonché un’onorevole gerarchia santificata nell’armonia dell’Ordine. E quindi dove non si dà l’armonia della gerarchia ecclesiastica, sei tu che offri, sei tu che aspergi e il tuo solo sacerdote sei tu. Ma dove ci sono tre persone lì c’è la Chiesa, anche se fossero dei laici. Ciascuno infatti vivrà della propria fede, e presso Dio non c’è preferenza di persone, perché dal Signore non vengono giustificati quanti ascoltano la Parola ma quanti la compiono, secondo quanto dice lo stesso Apostolo. E quindi, se ti competono le funzioni sacerdotali quando ciò è necessario, occorre che tu viva una disciplina sacerdotale, laddove è necessario che tu espleti funzioni sacerdotali. Sei risposato e aspergi? Sei risposato e offri? Quanto più a un laico risposato peserà gravemente l’assumere funzioni sacerdotali laddove al sacerdote stesso, ove si risposi, viene tolta la facoltà di esercitare il ministero! «Ma bisogna essere indulgenti – mi dirai – con la necessità [di avere rapporti sessuali, N.d.T.]». Nessuna necessità ti scusa, se la stessa può non sussistere. Non metterti nella condizione di risposato e non ti troverai a dover amministrare quel che un risposato non può amministrare.
Questo è De exhortatione castitatis VII,3-5. Come si vede già allargando di pochissimo la pericope proposta da Gamberini e Grillo, Tertulliano intende tutt’altro che una “apertura”, e leggendo l’opera per intero (cosa consigliabile a tutti, specialmente a chi poi voglia anche scriverne in pubblico) si capisce che il fine dell’opera è “castrare la licenziosità”, dal momento che sta scritto nel Levitico: «I miei sacerdoti non si sposano più» (VII,1). Ecco la ragione per cui, a scanso di equivoci, ho reso “bigamus” con “risposato”: Tertulliano neanche concepisce che un cristiano possa avere due mogli contemporaneamente, ovvero aver divorziato ed essersi risposato, e quando parla dei “digami” si riferisce esclusivamente ai vedovi che contraggono nuove nozze.
Incidentalmente, proprio questo passo è prova implicita della prassi disciplinare della Chiesa latina che ammetteva al sacerdozio, sì, degli uomini sposati (cosa possibile e perfino praticata tutt’oggi), ma non permetteva ad alcun sacerdote solo – celibe o vedovo che fosse – di sposarsi (o di risposarsi).
Tertulliano vorrebbe insomma estendere ai laici la disciplina matrimoniale sacerdotale – quella che impediva ai vedovi di risposarsi –, e non includere i laici nelle prerogative del “sacerdos ipse” (notare quell’“ipse” quando parla del ministro ordinato e vuole distinguerlo dal fedele laico).
Forse è questo ciò cui si riferivano Grillo e Gamberini? Proibire le seconde nozze dei vedovi? Sarebbe invero una notizia, ma la sapienza della Chiesa ha sempre sconsigliato tanto rigore, coi figli di Adamo (e di Eva)…
Il De exhortatione castitatis è segnato dal rigorismo tipico del periodo pre-montanista, essendo databile a poco prima del 210, mentre dopo il 212 lo stesso Magister avrebbe composto due opere – il De Monogamia e il De pudicitia – rispettivamente contro le seconde nozze dei vedovi e contro i rapporti extraconiugali. Tanto rigorismo sfocerà nell’encratismo e farà sì che le dottrine di Tertulliano non esprimano ben aderentemente la dottrina della Chiesa cattolica, ma si sbaglierebbe a immaginarsi il Tertulliano premontanista e montanista come una sorta di lunatico pazzoide: alcune delle opere maggiori e assolutamente più importanti per la storia del pensiero cristiano (ricordiamo appena il De anima, il De carne Christi e il De resurrectione mortuorum, nonché i maestosi Adversus Marcionem e Adversus Praxean) vedono la luce in questi anni.
Iperboli e androcrazia
Per tornare più alla materia sollevata dai (francamente inspiegabili) post di Gamberini e Grillo, vorremmo accennare a un’ultima questione: i verbi usati da Tertulliano nel suo latino, elegante nel lessico ma ruvido nella sintassi – “tinguere”, “offerre” – sono sì chiare allusioni al battesimo e all’eucaristia, ma una simile nota disciplinare risulta difficilmente spiegabile, se paragonata con quanto abbiamo letto in De baptismo 17 (cf. n. 3). Sembrerebbe doversi intendere piuttosto il passaggio come un’iperbole ipotetica: «E se mentre ti trovi in camera con la tua seconda moglie – dove sei l’unico sacerdote presente – dovessi celebrare l’eucaristia? Come potresti?». Si ricordi il principio letto sopra: il battesimo può essere dato da tutti perché da tutti è stato ricevuto allo stesso modo; l’eucaristia non è affidata “ex æquo” a tutti i membri del popolo cristiano, quindi come potrebbe essere celebrata da chiunque?
Parliamo del pensiero di Tertulliano, chiaramente, non della dottrina cattolica in sé, che non è tenuta ad aderire ad alcun pensatore ma alla sola viva Tradizione della Chiesa: l’Africano, tuttavia, ricorda (almeno in De præscriptione hæreticorum 29,3 e 41,8) che ci sono alcune funzioni sacerdotali specifiche del clero ordinato. In particolare nel secondo passo citato (anzi, per la precisione si parla di 41,3-8) si legge:
Simplicitatem uolunt esse prostrationem disciplinæ
cuius penes nos curam lenocinium uocant. Pacem
quoque passim cum omnibus miscent. Nihil enim interest
illis, licet diuersa tractantibus, dum ad unius veritatis
expugnationem conspirent. Omnes tument, omnes
scientiam pollicentur. Ante sunt perfecti catechumeni
quam edocti. Ipsæ mulieres hæreticæ, quam
procaces! quæ audeant docere, contendere, exorcismos agere,
curationes repromittere, fortasse an et tingere. Ordinationes
eorum temerariae, leves, inconstantes. Nunc neophytos
conlocant, nunc sæculo obstrictos, nunc apostatas
nostros ut gloria eos obligent quia veritate non possunt.
Nusquam facilius proficitur quam in castris rebellium ubi ipsum esse illic promereri est. Itaque alius hodie
episcopus, cras alius; hodie diaconus qui cras lector;
hodie presbyter qui cras laicus. Nam et laicis sacerdotalia
munera iniungunt.
Parlano di semplicità; ma io direi che la loro semplicità è lo sconvolgimento e il sovvertimento della dottrina tutta; chiamano, invece, l’attenzione, la diligenza nostra scrupolosa, nei riguardi delle sacre credenze, papponaggio. Essi concedono la pace a tutti, così, in massa, senza seguire discernimento alcuno; per loro poi, non esìste, e non importa la diversità dei mezzi e dei procedimenti, purché tutti abbiano come scopo quello di combattere, di alterare, di guastare l’assoluto principio del vero. Orgoglio ne hanno tutti a dismisura, tutti promettono luce di sapienza. I catecumeni, prima di giungere al richiesto grado di dottrina e di conoscenza, sono iniziati ai loro misteri. E la sfacciataggine, l’impudenza a cui giungono le donne eretiche, è poi straordinaria: esse hanno bene l’ardire d’insegnare, di discutere, di compiere esorcismi, di promettere guarigioni, e ci manca poco che non giungano anche a battezzare. Le ordinazioni loro rivestono il carattere della più assoluta leggerezza, senza un fondamento, senza serietà alcuna e non possono, quindi, avere stabilità; sono capaci d’innalzare, ora, dei giovanissimi senza esperienza e dottrina, ora, uomini che hanno troppo ben salde relazioni col mondo, talvolta anche degli apostati nostri, e tentano, dal momento che in nome della verità non lo potrebbero fare, di tenerseli vincolati, favorendo in loro l’ambizione. In nessun campo si verificano progressi tali come si avvertono nel campo degli eretici; basta esser di loro e il continuo progredire viene da sé: oggi uno è vescovo, domani sarà vescovo un altro; oggi uno è diacono, domani eccotelo lettore; oggi sacerdote? Domani costui lo troveremo laico; poiché anche i laici, presso di loro, adempiono a funzioni sacerdotali.
«Fortasse an et tingere!»: queste eretiche senza vergogna arriveranno addirittura a battezzare! E perché, battezzare non è lecito a tutti i fedeli, secondo la fede cattolica e secondo lo stesso Tertulliano del De baptismo? Da un certo punto di vista sì, senza dubbio, ma l’Africano (forse anche per il suo ruolo di critica all’interno dello stesso movimento montanista) si mostra acre assai con le donne che attentano al “virile munus”4Cf. De Virginibus velandis 9,1.. Questi passi li riporto non perché io personalmente auspichi che la Chiesa faccia propria la disciplina encratita di Tertulliano, ma per mostrare quanto sia grottesco che lo stesso venga invocato come alfiere delle “aperture”.
Al via i lavori del Sinodo
Avrei voluto scrivere questo post qualche giorno fa, ma delle liete incombenze famigliari me l’hanno impedito: la data di oggi è quella in cui a Roma si apre il Sinodo per l’Amazzonia, già da mesi finito nel fuoco incrociato di opposti fanatismi che ho trovato ben schematizzati da Antonio Spadaro e Mauricio López Oropeza nell’ultimo numero de La Civiltà Cattolica:
Comprendere la funzione di mediazione del Sinodo dovrebbe aiutare a purificare l’intenzione dei fondamentalismi di entrambi i poli che attaccano il kairós sinodale: sia il fondamentalismo di chi vuole opporsi a qualsiasi cambiamento e rimanere in un conservatorismo sterile, sia quello di chi, all’estremo opposto, vede ogni cambiamento come insufficiente.
Antonio Spadaro S.I. – Mauricio López Oropeza, Quattro criteri per vivere bene il tempo del Sinodo per l’Amazzonia, in La Civiltà Cattolica 4063, 69-77, 77.
Finalmente si comincerà a parlare di qualcosa: sì, perché fino ad ora ho letto molte dichiarazioni di principio sulla possibilità di cambiare e sull’importanza di dare risposte, ma non ho ben capito quali sarebbero le questioni sul tavolo, mi pare che ancora nessuno le abbia enunciate chiaramente e con autorevolezza. Mi sembra tuttavia degno di nota il fatto che il cardinale Hummes, quando il direttore della summenzionata rivista dei gesuiti italiani gli chiese del colloquio preparatorio con il Papa, riguardo al sinodo, abbia così risposto:
Abbiamo domandato al Papa se avesse qualche cosa da raccomandarci. Ci ha risposto che in primo luogo non bisogna annacquare l’obiettivo specifico del Sinodo. Questo non deve diventare l’occasione per discutere di tutto, secondo quell’antico detto latino che con ironia afferma: De omni re scibili et quibusdam aliis. Il Sinodo, dice il Papa, non ha l’obiettivo di trattare ogni argomento, ogni sfida e ogni necessità della Chiesa mondiale: non dobbiamo perdere di vista il suo scopo concreto. È ovvio che il suo intero processo ha e avrà anche una ripercussione universale, planetaria, ma il Sinodo ha un obiettivo che va perseguito per non restare nel generico. Papa Francesco su questo punto è stato molto chiaro: non perdete di vista l’obiettivo. Che è l’Amazzonia. «Nuovi cammini per la Chiesa» significa nuovi cammini per la Chiesa in Amazzonia e nuovi cammini per un’ecologia integrale in Amazzonia. Questo tema delimita lo scopo del Sinodo.
Antonio Spadaro S.I., Verso il Sinodo sull’Amazzonia. Intervista al card. Cláudio Hummes, in La Civiltà Cattolica 4054, 343-356, 345.
E sì, onestamente la sento la smania di alcuni di andare a piantare in Amazzonia colpi di piccone per la Germania o per altri contesti ecclesiali: mi conforta sapere che al Sinodo sia stata chiesta l’unanimità morale nei voti (il che necessariamente scremerà gli oltranzisti delle frange estreme) e che a partire dal documento finale l’elaborazione dell’Esortazione Apostolica Postsinodale spetterà a uno (il Papa) che si preoccupa dell’Amazzonia e della ricaduta della stessa sulla Chiesa universale, non d’altro.
Del resto – e qui torniamo a Tertulliano – che la Tradizione vada conosciuta e studiata con rigore e con onestà Francesco l’aveva detto proprio nei giorni in cui usciva l’intervista al cardinale brasiliano, nell’allocuzione all’Unione Internazionale delle Superiore Generali (discorso che – se non ricordo male – non piacque ai soliti “teologi di frontiera”):
[…] la Chiesa si sviluppa nel cammino nella fedeltà alla Rivelazione. Noi non possiamo cambiare la Rivelazione. È vero che la Rivelazione si sviluppa, la parola è “svilupparsi”. Si sviluppa con il tempo. E noi con il tempo capiamo meglio, meglio, la fede. Il modo di capire oggi la fede, dopo il Vaticano II, è diverso dal modo di capire la fede prima del Vaticano II, perché?, perché c’è uno sviluppo della coscienza, e Lei ha ragione. E questa non è una novità, perché la natura stessa, la natura stessa della Rivelazione è in movimento continuo per chiarire sé stessa, anche la natura stessa della coscienza morale. Per esempio, oggi io ho detto chiaramente che la pena di morte non è accettabile, è immorale, ma cinquant’anni fa non si diceva così. È cambiata la Chiesa? No: si è sviluppata la coscienza morale. Uno sviluppo. E questo lo avevano capito i padri. Nel V secolo c’era un padre francese, Vincenzo di Lerins, che aveva coniato una bella espressione. Dice che la coscienza della fede – lo dico in latino poi traduco – va «ut annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate»: cioè cresce, cresce con gli anni; è in crescita continua, non cambia, cresce, si allarga con il tempo. Si capisce meglio, e con gli anni si sublima… E se io vedo che questo che penso adesso è in connessione con la Rivelazione, va bene, ma se è una cosa strana, che non è nella Rivelazione, anche nel campo morale, che non è secondo la morale, non va. Per questo, sul caso del diaconato, dobbiamo cercare cosa c’era all’inizio della Rivelazione, e se c’era qualcosa, farla crescere e che arrivi… Se non c’era qualcosa, se il Signore non ha voluto il ministero, il ministero sacramentale per le donne non va. E per questo andiamo alla storia, al dogma.
Franciscus, Discorso del Santo Padre all’incontro con i partecipanti alla XXI assemblea plenaria dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG), 10 maggio 2019
Si può discutere di tutto e tutto bisogna vagliare con cura e apertura allo Spirito. Il primo discernimento, però – molto prima di quello sui grandi Spiriti che si contendono la Vela della nave di Pietro – va fatto sugli spiriti che agitano il cuore di quanti partecipano al dibattito, perché – in questo sì – Tertulliano aveva assolutamente ragione: «L’invidia dell’episcopato è la madre degli scismi».
Note
↑1 | Ma lo stesso San Tommaso, venerabile dottore, estrapola talvolta frasi che, decontestualizzate, assumono altro sapore. Aliquando dormitat et bonus Homerus. |
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↑2 | Ormai più di sette anni fa un non oscuro “apologeta kattoliko” venne a contestare un mio scritto su Tertulliano tacciando l’Apologeticum di montanismo (e con ciò attestava semmai di ignorare le datazioni della vita e delle opere del Magister di san Cipriano). |
↑3 | «Dandi quidem summum habet ius summus sacerdos, si qui est, episcopus; dehinc presbyteri et diaconi, non tamen sine episcopi auctoritate, propter ecclesiæ honorem quo salvo salva pax est. Alioquin etiam laicis ius est: quod enim ex æquo accipitur ex æquo dari potest – nisi si episcopi iam aut presbyteri aut diaconi vocabantur discentes Domini! – id est ut sermo non debet abscondi ab ullo proinde et baptismum, æque Dei census, ab omnibus exerceri potest. Sed quanto magis laicis disciplina verecundiæ et modestiæ incumbit cum ea maioribus competant, ne sibi adsumant episcopi officium. Episcopatus æmulatio scismatum mater est». «Il diritto nativo di conferirlo spetta al sommo sacerdote, se è disponibile, al vescovo; a seguire al presbitero e al diacono, e tuttavia non senza l’autorizzazione del vescovo, in ossequio all’onore della Chiesa, fatto salvo il quale la pace è salva. Altrimenti, anche i laici ne hanno diritto: quello che tutti hanno ricevuto allo stesso modo, allo stesso modo da tutti può essere dato – oltretutto già dai tempi apostolici si parlava di episcopi, presbiteri e diaconi – ed è per il Battesimo come per la Parola, che da nessuno dev’essere taciuta. Entrambi sono doni di Dio, entrambi possono essere amministrati da tutti. Ma quanto più sui laici incombe il dovere della modestia e della discrezione, tanto più competano coi loro superiori gerarchici [cioè diaconi e preti] nel non arrogarsi i compiti del Vescovo. L’invidia dell’episcopato è la madre degli scismi». |
↑4 | Cf. De Virginibus velandis 9,1. |
Di’ cosa ne pensi