Eutanasia: fuga dal dolore o orgoglio prometeico?

di Juan Manuel De Prada1Da XLSemanal, 09/09/2019; traduzione di Emiliano Fumaneri.

Una certa destra vuol far credere ai suoi adepti che il cosiddetto “marxismo culturale” stia imponendo un’agenda contraria alla famiglia e alla vita, con l’evidente proposito di evitare che si accorgano dell’autentica origine di questa agenda. Perché il cosiddetto “marxismo culturale” non è, in realtà, niente più che un liberalismo coerente. E se i progressisti fanno mostra di essere più volonterosi e pugnaci dei leziosi e timorosi conservatori nel portare avanti questa agenda è perché così richiedono le dinamiche proprie della rivoluzione. I progressisti sono l’avanguardia che avanza aprendo la breccia; i conservatori la retroguardia che consolida i progressi2Del resto lo scriveva anche G. K. Chesterton (su Illustrated London News del 19 Aprile 1924): «Tutto il mondo moderno si è diviso in conservatori e progressisti. L’attività dei progressisti è quella di continuare a fare errori. L’attività dei conservatori è quella di evitare che gli errori siano corretti». NdC..

Pensiamo, ad esempio, all’eutanasia che è sul punto di imporsi per legge. I nostri antenati sopportavano con maggiore o minore rassegnazione la sofferenza causata dalle malattie perché credevano che, oltre a completare le sofferenze del Dio fattosi uomo per la loro salvezza, quella sofferenza fosse una sciocchezza a paragone con la beatitudine che era stata loro promessa dopo la morte.

E ad aiutarli a sopportare la sofferenza, i nostri antenati potevano contare su una comunità che si prendeva cura di loro e dava loro conforto.

Il liberalismo però ha imposto il principio che siamo più pienamente umani quanto più ci liberiamo da ogni tradizione e comunità; o, in ogni caso, quando scegliamo la “tradizione” e la “comunità” che desideriamo, da una posizione di completa autonomia. Inevitabilmente, in questo nuovo contesto la sofferenza risulta qualcosa di completamente assurdo, che per di più rappresenta una flagrante minaccia alla nostra autonomia personale. L’uomo autonomo (autodeterminato!) che nasce col liberalismo si ribella alla sofferenza che dettava legge nel vecchio mondo governato da Dio; ma per farlo deve sostituire se stesso a Dio, prendendo il controllo del destino umano. La fiducia nella volontà di Dio dei nostri antenati si trasforma in fiducia nella conoscenza umana e nei progressi scientifici e tecnologici procurati da questa conoscenza.

Così la medicina cessa di svolgere il ruolo che le era stato affidato per secoli o millenni, che era la “cura” (nel senso di “prendersi cura”, “prestare attenzione”) delle persone malate; e lei viene assegnata la missione di “cura” (nel senso di “eliminazione”) della malattia. L’uomo moderno non ha più bisogno di una comunità che si prenda cura di lui quando è malato (e quando ne ha bisogno, scopre di non averla); e esige progressi scientifici e tecnologici che gli confermino che la malattia può essere eliminata, al fine di avere il controllo del suo destino. La malattia, per l’uomo moderno, diventa un’assurdità che deve essere sradicata dalla nostra razionalità incarnata nei progressi della medicina. Ma, ahimè, pare che tutti i nostri progressi medici siano impotenti di fronte a molte malattie, e che tutti i nostri rimedi siano inefficaci di fronte alla sofferenza. Ma non possiamo permettere alla scienza di dichiararsi impotente! Dobbiamo renderla potente a qualunque costo! I nostri antenati sapevano che arrivava un momento in cui i medici non potevano fare nulla per noi; e dopo il quale non c’era che da aspettare la morte o il miracolo. Noi pretendiamo che i medici agiscano, per dimostrare che la scienza non è impotente davanti alla nostra sofferenza. Poiché abbiamo affidato tutto al potere illimitato dei progressi scientifici e tecnologici raggiunti dalla conoscenza umana, dobbiamo sottomettere la nostra vita a questi progressi. E se la medicina non può fornirci una cura, almeno che ci fornisca la morte. Se la scienza e la tecnologia non possono eliminare la nostra sofferenza, pretendiamo che almeno ci elimini assieme ad essa! In passato, quando esisteva comunità, la compassione richiedeva a coloro che contemplavano la sofferenza di condividerla; Nel mondo instaurato dal liberalismo, la compassione esige di eliminare la sofferenza, anche se questo significa uccidere il malato, per dimostrare che esercitiamo un controllo assoluto sul nostro destino, per dimostrare che possiamo scegliere liberamente il momento e le circostanze della nostra morte. E così, inoltre, eliminando la sofferenza e al tempo stesso i soggetti che ne soffrono, riusciamo anche a dimenticare quanto sia chimerica la nostra pretesa di eliminare la malattia.

L’eutanasia è la risposta logica e inevitabile dell’uomo moderno, quando scopre che la sua pretesa di controllare il proprio destino si è rivelata un insuccesso, quando constata che la scienza non lo ha liberato dalla sofferenza e che, invece, lo ha lasciato più solo di un cane, senza autorità e senza tradizione, senza Dio e senza comunità. L’eutanasia, insomma, è l’ultima stazione dell’uomo divinizzato dal liberalismo.

Note

Note
1 Da XLSemanal, 09/09/2019; traduzione di Emiliano Fumaneri.
2 Del resto lo scriveva anche G. K. Chesterton (su Illustrated London News del 19 Aprile 1924): «Tutto il mondo moderno si è diviso in conservatori e progressisti. L’attività dei progressisti è quella di continuare a fare errori. L’attività dei conservatori è quella di evitare che gli errori siano corretti». NdC.

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