Si chiude il 1º Round su Tafida, la bimba che spaventa l’NHS. Cosa succede ora?

Nei primi 3 giorni dell’udienza per Tafida Raqeeb i rappresentanti legali del National Health Service hanno faticato a misurarsi con i difensori della famiglia, che invocano la libertà di circolazione in Europa sul campo della vertenza amministrativa. Armati di best interest, gli avvocati dell’ospedale hanno deciso di puntare sul 2° tempo per impedire un precedente pericoloso. Ma arriva anche un’accusa delirante al Gaslini.


Conclusasi la causa amministrativa nei primi 3 giorni dell’udienza (di 5) sulla piccola Tafida all’High Court of London, oggi si apre la vertenza presso la Family Division. Al vaglio se i coniugi Raqeeb del borgo londinese di Newham hanno titolo di esercitare pienamente i propri doveri genitoriali sulla loro bimba di cinque anni, paziente pediatrica del Royal London Hospital in stato di minima coscienza, di decidere per il mantenimento del sostegno vitale e in specie della ventilazione assistita, la cui rimozione chiesta dall’ospedale la ucciderebbe, così come di tutte le cure da assicurarle; a questo scopo di trasferirla all’Istituto Gaslini di Genova, offertosi di provvedere alla cura e all’assistenza della bambina, disabile grave come diverse altre in Italia.

Il primo triduo del procedimento ha avuto ad oggetto di disputa la libertà di circolazione della paziente in area UE, ovvero la facoltà di potersi trasferire in un altro paese aderente all’Unione Europea per beneficiare delle cure nella struttura scelta dal paziente (o dal genitore se minore, come nel presente caso, o dal tutore), principio sancito dagli artt.56 e 114 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Non si hanno precedenti di vertenze legali incentrate sulla discussione di questa libertà garantita ai cittadini comunitari, tanto la questione è stata data per acquisita in ogni paese UE dalla rispettiva ratifica (per l’Italia nel 2008): nei casi antecedenti di pazienti pediatrici in Regno Unito cui il trasferimento è stato negato, come per Charlie Gard ed Alfie Evans, il contenzioso partiva dal pregresso di messa in discussione della capacità decisoria dei genitori in merito al bene dei figli, con dapprima l’assegnazione di un tutore nominato (dall’Ospedale di concerto coi giudici competenti) chiamato a valutare il best interest del bambino, da cui il puntuale conflitto coi genitori, quindi la facoltà dell’ospedale di portare il caso in tribunale e, durante i vari gradi di giudizio, infine ottenere la deprivazione della parental responsibility, la responsabilità genitoriale. In quei casi, dal principio della vertenza non essendo più il genitore il soggetto giuridico riconosciuto a dover esercitare la libertà di circolazione per le cure del figlio, l’appello al Trattato è sempre stato un argomento rifiutato in sede giudiziale dalla corte competente. Nel caso di Tafida il team della famiglia Raqeeb ha invece anticipato l’argomento difensivo, sicuramente memore dei precedenti anche grazie all’assistenza dei Giuristi per la Vita dall’Italia (che collaborarono per il caso Alfie con i rappresentanti in Inghilterra di Thomas e Sarah Evans), a prima che il sistema sanitario britannico, l’NHS, impugnasse la responsabilità giuridica dei genitori. La strategia difensiva si è fatta sentire qui, come su altri argomenti.

Il tentativo sulla discriminante religiosa

Nell’anticamera dell’udienza, sabato 6 settembre, la rappresentante del trust del Barts Health, Katie Gollop (QC) – già implicata a difesa dell’NHS nel caso Gard e accreditata da indiscrezione come consulente nel dietro-le-quinte sul caso Evans – ha mostrato degli evidenti segni di difficoltà, attaccando la famiglia sul piano dell’appartenenza religiosa alla fede musulmana, indicato come elemento di incapacità decisionale. In particolare Gollop aveva chiesto alla corte di escludere la madre di Tafida, Shelina Begum (avvocato nella forma professionale di solicitor), dalla rappresentanza legale della figlia perché a suo avviso

«Non è possibile che la famiglia sia di mentalità aperta circa il fatto che una decisione sul best interest da parte della Family Division [dell’High Court] sia, o possa essere, emessa nel supremo interesse di Tafida1Ndt1: si traduce il secondo «best interest» per rimarcare la differenza tra concetto giuridico e realtà pratica che ne emerge. Infatti, è la stessa rappresentante dell’NHS a riconoscere che non si dà intrinsecamente la coincidenza tra best interest e il bene reale del minore.».

Un’affermazione fatta «alla luce della fatwa» che Shelina aveva ottenuto dal Consiglio Islamico d’Europa, la quale condannava la rimozione del sostegno vitale come «grande peccato» e «assolutamente inammissibile». Grave errore di valutazione del team dell’NHS, in un paese che, perfino, riconosce già dal 2007 al diritto islamico la cittadinanza sociale con l’istituzione di tribunali complementari, le «shar’ia courts», pienamente operativi per la risoluzione di dispute civili nel contesto delle comunità musulmane in Regno Unito. La corte non aveva potuto far altro che rigettare l’istanza.

Oltre a Shelina Begum, che svolge formalmente il ruolo di consulenza, a difesa della bambina sono Vikram Sachdeva e David Lock, QC. Queen’s Counsel come Gollop, forensi di grande esperienza maturata nelle corti della Corona. Lunedì 9 Sachdeva ha portato sulla discussione preventivamente sui casi Gard ed Evans. Per escludere che essi potessero venir usati come precedenti nella dottrina britannica, ha esposto tutte le sostanziali differenze, a partire dall’esclusione di una terminalità incombente, richiamando le ammissioni dei medici che hanno in cura Tafida, secondo cui la longevità della bambina con la ventilazione può durare altri 10 o altri 20 anni. Sachdeva ha inoltre rilevato come la domiciliazione di pazienti analoghi a Tafida abbia permesso di osservare miglioramenti nell’autonomia respiratoria tali da permettere il distacco totale o parziale della ventilazione.

«Ci si potrebbe chiedere: be’, perché a Tafida non verrà data quest’opportunità? Al contrario di Charlie Gard e Alfie Evans, Tafida non è sottoposta a dolore e non c’è evidenza alcuna di sofferenza».

La differenza decisiva dell’argomento nel caso in esame, rispetto ai casi di Charlie e Alfie, non è infatti se ci fosse effettivamente o no una situazione di sofferenza per i due bambini, bensì che per Tafida anche i medici che l’hanno in cura hanno ammesso l’assenza di dolore. Conscio di questo elemento, Sachdeva ha dunque espresso la distanza nella pratica clinica tra le procedure inglesi e quelle in vigore al Gaslini (descritto, per chiarirne alla corte la levatura, come “Il Great Ormond Street d’Italia”): se non c’è morte encefalica, in Italia non si rimuove il sostegno vitale. Passando la palla al collega, Sachdeva ha ripreso l’argomento su cui la controparte aveva incassato la sconfitta preliminare, le convinzioni religiose dei genitori per le quali non dovrebbero essere discriminati come non lo sono in Italia. Sintetizzando la loro professione di fede in:

«Spetta a Dio togliere la vita, non agli uomini».

Lock l’ha ricevuta, chiarendo che i genitori non stanno in nessun modo imponendo la propria etica su terzi, bensì che ne stanno esigendo il rispetto:

«Il trust ha il dovere di rispettare la loro libertà religiosa in accordo con l’art.9 della Convenzione Europea sui Diritti Umani».

Quindi ha denunciato i tentativi del Barts, il reparto pediatrico poliospedalierio cui afferiscono i pazienti del Royal London Hospital, di rimuovere il sostegno vitale di Tafida prima il 5 e poi ancora l’8 luglio. Ciò ha provocato la severa obiezione di Gollop:

«Si tratta della più grave accusa mossa contro un trust dell’NHS che io abbia mai udito. È appena meno grave di un’accusa di condotta di natura criminale ed esige prove molto nette».

Libertà di circolazione e cura contro best interest

È al termine della sessione di lunedì che l’argomento chiave dei difensori di Tafida è stato invocato, quello della libertà di circolazione dei pazienti in area UE, di nuovo da Sachdeva. Di fronte all’enunciato del diritto di Tafida di trasferirsi in qualsiasi struttura sanitaria competente nell’Unione, il giorno dopo, martedì 10, è stata dispiegata la controffensiva dei rappresentanti del trust ospedaliero, basata su un solo elemento di supremazia: l’ormai notorio best interest. Gollop ha trattato la controparte con estrema enfasi liquidatoria, non accettando il confronto su nessuno degli argomenti presentatati dalla difesa. Riferendosi al diritto di libera circolazione, ha detto:

«Questo tipo di pretese non sono nel best interest della bambina, nel benessere della bambina. Sono questo tipo di pretese a rendere impossibile [ai medici] alcun tipo di negoziato [coi genitori] in forme sicure, giacché si viene accusati di detenere illegalmente un bambino. [I medici] ne saranno screditati che le accettino o che non le accettino».

Nel procedimento, secondo la Gollop, si dovrebbe cioè sempre assumere che lo staff sanitario e la dirigenza ospedaliera non siano in errore, né osare metterlo in discussione. Ci si potrebbe chiedere allora perché il procedimento si svolge e su cosa, se qualsiasi riferimento ai diritti della famiglia costituisce un irricevibile oltraggio alla nomea dei clinici?

«L’analisi corretta è che laddove in uno spettro di diverse alternative di cura e trattamenti per Tafida, ognuna ricadesse nel best interest di Tafida, i desideri religiosi dei suoi genitori potrebbero esserne riflessi. Ciononostante, qualora gli interessi religiosi dei genitori fossero in conflitto con la cura e i trattamenti nel best interest di Tafida, il conflitto andrebbe risolto in favore del best interest di Tafida. […] Se è giusto affermare che mantenere la ventilazione non è nel best interest di Tafida, non lo sarebbe in nessun altro luogo in cui venisse applicata. Se non è nel suo best interest a Londra, allora non è nel suo best interest nemmeno a Cornwall, Leeds, negli Stati Uniti, a Roma, in Canada o in qualunque altro luogo».

Gollop ha quindi ribattuto che alla suddetta libertà di circolazione esisterebbero limiti secondo la discrezionalità dello Stato di partenza, che potrebbe perciò sottrarsi alle condizioni di un trattato comunitario vincolante caso-per-caso. Gollop non ha offerto una base giuridica questa affermazione (come si diceva in apertura, non esiste giurisprudenza inerente), ma ha concluso il suo intervento dichiarando una preoccupazione significativa:

«In ogni caso siamo arrivati al punto che il giudizio clinico dei medici sul best interest di Tafida non riflette più le preferenze dei genitori. In queste condizioni, se il trust assecondasse un trasferimento in Italia, ciò avverrebbe in violazione dei suoi doveri statutari di salvaguardare e promuovere il benessere di Tafida. Estendere quel trattamento non più nel suo best interest costituirebbe un’aggressione».

L’accusa. L’Italia senza diritti per i minori

In definitiva, secondo Gollop, lasciare che Tafida venga portata in Italia stabilirebbe «un pericoloso precedente2 Da notare come il Guardian, il cui giornalista Haroon Siddique è stato il più solerte ad aver seguito il procedimento, abbia rimosso queste ultime due affermazioni dal virgolettato dopo una prima pubblicazione. In ogni caso, da come risulta a noi, Gollop avrebbe testualmente pronunciato queste parole.». Sulla stessa linea si è svolto il dibattimento del 3° giorno, mercoledì 11 (ieri). Di nuovo Gollop ha affermato che la libera circolazione non si può considerare applicabile in conflitto col best interest del paziente, ribadendone cioè la supremazia ogni altro criterio e principio giuridico, così di ogni altra norma vigente. Poi però l’avvocato dell’NHS si è spinta oltre, al punto da proferire una dichiarazione «ai limiti dell’incidente diplomatico», secondo il commento puntuale dell’avv. Filippo Martini dei Giuristi per la Vita. Gollop infatti ha sostenuto che la preoccupazione del trust è quella di proteggere Tafida dalla prassi sanitaria italiana, nelle mani della quale sarebbe in pericolo:

«Qui non si tratta di scegliere tra una pizza italiana e una sheperd’s pie inglese!

Se Tafida venisse trasferita in Italia, loro [i medici del Gaslini] “tratterebbero” i genitori, mentre non tratterebbero la bambina. I pazienti in stato di minima di coscienza non dovrebbero avere meno protezione di tutti gli altri. L’indipendenza dei diritti dei bambini è sempre stata cara al trust».

Nessuna cronaca può limitarsi a riportare queste parole senza commento. La rappresentante legale del sistema sanitario britannico ha difatti accusato l’Ospedale Pediatrico dell’Istituto Gianna Gaslini di Genova di mettere a repentaglio i bambini pur di “trattare” (trattare, come? Come pazienti psichiatrici, è il sottointeso?) i genitori. La ripetizione è dovuta: l’avvocato dell’NHS ha accusato il Gaslini di mettere a rischio i diritti umani dei bambini. Anche tralasciando il dato che la procedura che Gollop sta perorando risulta in un’asfissia della bambina, anche trascurando il diritto della bambina di non essere soffocata (e il conseguente straniamento nell’udire una lezione sui diritti umani in questa situazione), cotanta accusa verso uno degli istituti pediatrici più ammirati al mondo (anche dai colleghi londinesi) in un caso che riguarda un paziente pediatrico lascia bene intendere la portata delle questioni in campo e probabilmente tradisce anche un difetto di confidenza in una tattica difensiva che non aveva mai costretto i rappresentanti dell’NHS a simili esternazioni prima.

Gollop ha dunque lamentato il fatto che il caso non sia ricaduto da subito nella giurisdizione propria della Family Division, a riprova della difficoltà, sostenendo che in questo secondo caso a Tafida sarebbe stata davvero assicurata una «rappresentazione indipendente» della realtà. «Indipendente» da cosa, si può solo presumere che si rifacesse di nuovo ai desideri (a proprio avviso pregiudizievoli) dei genitori.

Sachveda ha replicato con altro piglio, ponendo l’ipotesi che Tafida fosse una bambina italiana. Nel qual caso, pur trovandosi in Inghilterra, non le sarebbe mai stato negato il trasferimento indipendentemente dalle valutazioni dell’ospedale sul suo best interest. Inoltre ha contestato l’idea che la separazione tra vertenza amministrativa e di diritto familiare fosse inidonea, non avendo trovato obiezioni all’idea che sia diritto dei genitori prediligere ambienti medici con minor distanza etica dai propri valori. Nuovamente il suo intervento è stato preparatorio a quello del collega e compagno di team, Lock:

«La Corte è tenuta a assumere che quanto avrebbe dovuto accadere è difatti avvenuto perché nessuna parte ha titolo a ritagliarsi un vantaggio in violazione della legge. [La controparte] non ha potuto obiettare al diritto [di Tafida] alla libertà di circolazione e di accesso ai servizi in quanto cittadina europea. Perciò dobbiamo concludere che la bambina avrebbe dovuto essere trasferita e che si aveva l’obbligo3Ndt2: il condizionale qui traduce “ought to”, il “si aveva l’obbligo di” il “must”. di farlo, a questo punto, secondo la legge italiana. Di conseguenza la decisione di procedere col distacco del sostegno vitale è illegale, secondo la legge italiana, che dispone il distacco solo a condizione che il paziente sia in stato di morte encefalica e previo consenso genitoriale».

Meno 2 giorni al verdetto. Vantaggi e dubbi

Le cronache giudiziarie di questi giorni restituiscono un’idea piuttosto nitida del procedimento. I rappresentanti dell’ospedale si sono trovati nella condizione di affrontare una prima vertenza di carattere amministrativo su una materia ancora mai portata alla discussione della giurisprudenza europea. In regime di common law, l’assenza di una sentenza pregressa lascia il campo pressoché privo di soluzioni collaudate, perciò pone le due parti virtualmente allo stesso punto di partenza. I tentativi di ricondurre anche la prima causa sulle dinamiche del best interest nel diritto familiare mostrano una vulnerabilità inedita nel fronte legale dell’NHS, vulnerabilità non priva di reazioni ben al di fuori del galateo tribunalizio e perfino insinuazioni calunniose a danni di eccellenze sanitarie di uno stato membro UE, tali che secondo chi scrive meritano adeguate risposte istituzionali.

Si tratta certamente di un’ottima strategia orchestrata dalla collaborazione internazionale a difesa della famiglia, nel cui team non va sottovalutato il ruolo proprio della madre Shelina che, in quanto legale a sua volta, membro della middle-upper class indo-britannica, ha a più riprese potuto far valere la propria preparazione professionale nelle corsie ospedaliere (un privilegio di cui né i Gard né gli Evans, molto più vicini al neoproletariato, hanno goduto), impedendo quelli che riconosceva come abusi e pretendendo gli standard di assistenza che riteneva fossero dovuti a sua figlia. Ha perfino ottenuto di farle svolgere esercizi di mobilità insieme al padre Mohammed. Con leonina resistenza, mostrata fieramente anche nella sua recente visita al Gaslini, non solo non ha dato segni di cedimento o di comprensibile fiacchezza, ma anzi pare acquisti vigore con l’inoltrarsi del dramma, per nulla intimorita dalle adombrate pregiudiziali sulla sua fede, ne ripete i contenuti sulla gradinata dell’High Court.

Se da questa prima parte del procedimento i segnali per i genitori di Tafida sono incoraggianti ai punti della disputa, l’esito finale dipenderà soprattutto dal criterio con cui il giudice Alistair MacDonald valuterà la prelazione delle cause. La presentazione delle vertenze nell’ordine ha impedito l’immediata richiesta di deprivazione della parental responsibility, ma se MacDonald riterrà che la dottrina consolidata sul best interest in ambito familiare si possa applicare anche in questo caso, il vantaggio ottenuto potrebbe venire significativamente ridimensionato (MacDonald è stato il giudice implicato nel caso più vicino a quello di Tafida, sia per realtà clinica che per il contesto sociale familiare, quello di Isaiah Haastrup).

Il verdetto dovrebbe arrivare venerdì 13, a meno che MacDonald non opti per un rinvio, intanto la mobilitazione per Tafida è cominciata (non senza un certo ritardo rispetto a come ci eravamo abituati Charlie ed Alfie). La petizione internazionale su CitizenGo procede verso quota 250mila firme e una veglia unirà stasera Roma (ore 19) con Londra, da Piazzale della Farnesina a Trafalgar Square, insieme ad altre capitali europee: la mamma Shelina sarà in collegamento con la veglia romana.

Con l’aprirsi oggi della seconda vertenza, rimane il dubbio se di Tafida verranno discusse le questioni specifiche che vengono nascoste in espressioni come “welfare” dalla rappresentanza legale dell’NHS. Breviarium-Aleteia ha ricostruito parte significativa della storia clinica di Tafida fino all’interlocuzione tra il team del Royal London Hospital e dell’Istituto Gaslini, elementi che raccontano una vicenda in buona parte diversa da quella accennata da Katie Gollop in aula e che pubblicheremo già oggi per portare chiarezza sulla piccola paziente pediatrica continuamente oggetto di così grande mistificazione e, certamente, un pericoloso precedente (per chi la vuole morta).

Note

Note
1 Ndt1: si traduce il secondo «best interest» per rimarcare la differenza tra concetto giuridico e realtà pratica che ne emerge. Infatti, è la stessa rappresentante dell’NHS a riconoscere che non si dà intrinsecamente la coincidenza tra best interest e il bene reale del minore.
2 Da notare come il Guardian, il cui giornalista Haroon Siddique è stato il più solerte ad aver seguito il procedimento, abbia rimosso queste ultime due affermazioni dal virgolettato dopo una prima pubblicazione. In ogni caso, da come risulta a noi, Gollop avrebbe testualmente pronunciato queste parole.
3 Ndt2: il condizionale qui traduce “ought to”, il “si aveva l’obbligo di” il “must”.

1 commento

  1. Salve!

    Ma va?
    Si scopre che gli inglesi “diffidano” (eufemismo)
    degli italiani?

    Se ci mettete la volontà di difendere il loro
    sistema di “regole” che chiamano civiltà
    (che non sono altro che un “buon” modo
    per evitare che si ammazzino fra di loro
    in assenza della volontà personale
    al rispetto degli altri)
    assieme alla “diffidenza” che hanno verso gli italiani
    ed i mediterranei in genere, musulmani compresi,
    potete capire come gli avvocati del NHS siano
    costretti a togliere, per un attimo, la
    crosta “lucida” della supposta “civiltà”
    anglosassone (come detto basata
    solo sul rispetto delle regole, cioè:
    “non uccido perché vado in galera”
    e non “non uccido perché è sbagliato”)!!!

    Tutta la loro “civiltà” si basa sul rispetto delle regole
    e solo su questo, se le regole dicono “non uccidere”
    non devi uccidere, se le regole dicono “uccidi!”
    devi uccidere! e non ti è permesso usare sistemi di vivere
    diversi dal cieco rispetto delle regole!

    In pratica la dittatura della democrazia!

    Il vero problema, come al solito, è il male
    che c’è nell’uomo, sopratutto la volontà del male
    che non può essere mai risolta solo con le regole!
    Gli anglosassoni mi fanno anche un po’
    tenerezza nella loro sfrontata fede nelle regole umane!

    Il loro “sistema” gli si stà voltando contro,
    ma loro vanno avanti imperterriti! Direi che
    non c’è peggior cieco di chi si affida agli occhiali
    imposti da altri, dalle regole!

    saluti

    RA

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