Saviano vorrebbe liberalizzare la cocaina: la sparata dello scrittore dal festival del Cinema di Venezia non è passata inosservata ed ha suscitato un vespaio di reazioni indignate, soprattutto da parte delle comunità di recupero di drogati.
La risposta più pertinente mi sembra quella della comunità Giovanni XXIII:
Caro Roberto Saviano, ti sbagli. I giovani che fanno uso di droga cercano la vita! Legalizzando le droghe si garantisce loro la morte. Non soltanto quella fisica, ma soprattutto quella spirituale! Caro Roberto, non si guarisce dalla droga con la droga! Legalizzare le droghe equivale a regalarle. Legalizzare le droghe è uccidere i giovani, specialmente quelli più fragili, quelli che sarebbero più ricchi spiritualmente. Caro Roberto, non suggerire la via sbagliata a tanti giovani. Tu sei un uomo coraggioso, hai affrontato la camorra. Insegnagli ad affrontare ogni giorno la vita con lo stesso coraggio.
Al di là del fatto che io non stimo Saviano uomo “coraggioso” che possa insegnare alcunché ai giovani e mi accontenterei che tacesse, senz’altro è vero che i giovani non cercano la morte, nemmeno quando le vanno incontro con impudenza, bensì la vita. Solo che spesso non sanno dove trovarla.
Venerdì sera c’è stata la festa dei diciotto anni di mia figlia e di mio nipote: due bei bambini cresciuti insieme, che adesso l’anagrafe ritiene adulti, in totale disprezzo ai sentimenti dei genitori.
I diciottesimi sono l’argomento di tutte le conversazioni tra genitori alle udienze di quarta: fuori dalle aule, in coda, le mamme si scambiano timori e consigli, per passare indenni attraverso questo evento che pare diventato un incubo. Molti ragazzi si portano da casa superalcolici, trasformando le feste (di solito in bar e locali in affitto) in orge di gente che dice e fa cose sconnesse, fino a stare male. Dalle nostre parti va forte un locale in cui, oltre all’edificio, ti affittano anche i “badanti”: ragazzoni vestiti da motociclisti che prendono per la collottola i gattini che esagerano. Perché il problema dei diciottesimi è che non ci devono assolutamente essere i genitori: altrimenti che festa è! E i ragazzini, lasciati liberi e senza guida, non sanno nemmeno divertirsi. Alla noia si contrappone solo lo sballo, possibilmente a basso costo: in centro a Forlì i ragazzini, prima di nascondersi in un locale, vanno dal pakistano, esercente che tiene aperto fino ad ora tarda e vende alcolici senza chiedere informazioni agli acquirenti, per spendere poco ed entrare già su di giri.
Io credo che, se la compagnia con cui stai richiede mezzo litro di alcool per essere sopportata, sarebbe meglio cambiarla. Ma forse non sanno che c’è di meglio.
Alla festa di mia figlia 60 persone hanno bevuto 6 birre e 2 bottiglie di spumante: in compenso hanno sfasciato una pallina da ping pong a forza di giocarci, hanno proiettato just dance sul telone e hanno ballato tutti insieme, hanno fatto giochi, riso, visto foto. E prima di andare via, hanno pulito.
L’americana nel salone proiettava fasci di luce fino in mezzo ai peschi di fronte, i porta ghiaccio si illuminavano a tempo di musica, le torce di citronella ondeggiavano nel buio con aria esotica.
Ma gli invitati erano selezionati: amici della parrocchia, amici della compagnia teatrale, amici del paese, pochi compagni di classe, tanta voglia di bellezza. Quando un giovane sperimenta una cosa bella, poi fatica ad accontentarsi di qualcosa di meno.
I due ragazzi avevano in mente progetti di festa apparentemente contrapposti: lui musica alta, luci disco, tanto cibo ipercalorico, brindisi, tirare il più tardi possibile a prendersi in giro l’un l’altro; lei un cenacolo di gente che “le vuole bene” (testuali parole), tante chiacchiere soavi, giochi tutti insieme, nessuno escluso in un angolo.
Alla fine sono successe tutte queste cose assieme e si sono divertiti tutti, semplicemente perché il cuore dei loro progetti era il medesimo: fare festa con gli amici, preparare qualcosa che li facesse divertire, che li stupisse, li accogliesse, li coinvolgesse, ciascuno secondo la sua indole. Una festa non per nascondersi nell’abisso dello sballo, nell’anonimato del nulla, ma per emergere alla luce del sole dei propri talenti.
Ieri sera eravamo a suonare con la nostra band a Toscanella di Dozza, alla festa parrocchiale di Santa Maria del Carmine, in un pratone contornato di stand. Tra gli altri, uno curiosissimo: sedie disposte in circolo e un cartello all’ingresso: “Il bicchiere mezzo pieno: spazio di confronto, dialogo, condivisione. Vieni anche tu!”. Nel mezzo del prato, una riproduzione della Madonna conservata in chiesa, adornata da due grosse palme; da un lato, una bancherella piena di libri a tema religioso.
A servire deliziosi piatti c’erano tanti giovani, mentre i bambini sparecchiavano: era un lavoro alacre e armonico, compiuto con grazia ed entusiasmo. Ciascuno era parte di un tutto, ognuno faceva il suo piccolo dovere per far girare veloce la macchina della festa.
Noi abbiamo suonato dopo cena, ci hanno persino chiesto di alzare il volume! E dopo le 23:30, mentre smontavamo, c’è stato il silent party: tutti con le cuffie nelle orecchie ad ascoltare la stessa musica, per non fare rumore, e a ballare e cantare a squarciagola come pazzi (e tanti cari saluti al “per non fare rumore”).
Tanti giovani ridevano di gusto, era un piacere guardarli, riempivano gli occhi di consolazione.
Credo che ai giovani manchi spesso la benevolenza degli adulti, cioè quello sguardo che “vuole bene”, che trasmette il desiderio di bene per l’altro e anche la convinzione che quel bene sia alla loro portata. Quando sei sotto uno sguardo così, ti senti investito del dovere di non deludere le aspettative, di non ferire cadendo in una banale tristezza, di non svenderti a basso costo, perché per qualcuno vali tanto. Tollerare o addirittura proporre vie di fuga al ribasso, soluzioni chimiche da perdente, evasioni scontate, è come dire “tanto non ce la puoi fare”, “la felicità per te può essere solo in questa robaccia”, “non vali più di un bicchiere di wodka.”
Quando le asperità della vita mi mettono troppo alla prova, io faccio un giro dai miei genitori: loro mi vogliono sempre felice e questa loro spudorata pretesa mi costringe a raddrizzare la schiena, mi infonde un po’ di quella fiducia che immeritatamente nutrono per me. O forse me la merito davvero, forse ce la posso fare come credono loro.
Nessuno stato d’animo è per sempre, nessuna conquista spirituale è un bene immutabile: ogni giorno tocca riguadagnare se stessi al mondo. Forse questo non lo abbiamo detto abbastanza chiaramente ai giovani, che credono che da terra non ci si rialzi mai e per questo hanno così paura di soffrire. Invece è più il tempo che si passa col sedere per terra che quello che si trascorre in piedi, magari passando da lunghe soste in ginocchio. La vita va vissuta con la terra tra le mani, sporcandosi, avendo il coraggio di piangere quando serve, per ridere ogni volta che si può.
Ieri sera abbiamo chiuso il concerto con Sally, di Vasco: senza stare a pensare troppo, senza tanta filosofia, come Sally, a volte bisogna lasciarsi portare dalla leggerezza di un’intuizione di speranza, anche se non si sa da dove viene né dove ti porterà:
Ed un pensiero le passa per la testa
Forse la vita non è stata tutta persa
Forse qualcosa s’è salvato
Forse davvero non è stato poi tutto sbagliato
Forse era giusto così
Forse ma, forse ma sì.
Salve!
Sono contento per tua figlia e tuo nipote. Tanti auguri!
Le mie due figlie cha hanno già passato i 18…
la prima: “festone” in locale apposito con cocktail
compresi… troppi amici (ma lei è una bloggher… … …)
e costi alti (sostenuti 1/3 da me ed i 2/3 autotassati
tutti gli invitati … la pioggia ha “frenato” (per fortuna?)
un po’ gli “entusiasimi” ed è filato tutto liscio senza
shock alcoolico (come purtroppo successo in festa parallela).
La seconda: roba intima con 4 amiche (in pratica le
uniche che ha visto che vive auto-segregata e studia solo
e da sola da sempre) ed 1 bottiglia di prosecco fornita da me…
i costi sono talmente minimi che nemmeno me li ricordo…
non sembrano nemmeno sorelle, una mora e focosa,
l’altra biondiccia e “tedesca” (nel senso del rigore di vita
che si autoimpone) una alta e l’altra meno…
adesso temo cosa succedrà con l’ultimo figlio, il
“pupone” che ha 15 anni… ma se va avanti
così lo “ammazzo” prima io…
(nota: sto ovviamente scherzando… noi romagnoli usiamo
spesso la frase ” ‘a t’amez ” ma è più una minaccia
che vuole dire… “ti farei qualsiasi cosa ma ammazzarti mai!”)
perché rispetto a come, io e mia moglie,
siamo “abituati” con le femmine
questo è una specie di “animale” di puro istintio
ed apparentemente non usa mai il raziocinio…
è l’unico dei nostri tre figli ai quali mia moglie
si è permessa di fornire schiaffoni… lei che
odia l’uso della fisicità nell’educazione!
io gli dissi: “hai batutto un record mondiale,
ti sei fatto menare dalla mamma! vai subito
a chiederle scusa e consolarla!!!”
(lei era in camera che piangeva delusa con sé
stessa per quello che gli aveva fatto… io le dissi:
“se pensi di avergli fatto male tranquilla
che non li ha nemmeno sentiti io stesso ho
smesso di dargli scapellotti perché
non li sente e la tortura è proibita
dalla convenzione di Ginevra!”… si è
messa a ridere… notare che mia moglie è 1,48
50 kg e mio figlio è 1,75, 65 kg ed atletico…)
lui fu “umano” e le disse che non gli aveva fatto
male… e quella volta la finimmo lì…
Hai descritto uno scampolo di vita familiare che
mi è piaciuto e mi ha ricordato i miei “scampoli”,
ed ho anche avuto piacere della vostra
bella festa, grazie!
L’unica cosa che “non” ti “perdono” è di avere
in scaletta il “blasco” che non ha mai smosso
nessuna delle mie corde emotive o artistiche.
saluti
RA