Ieri era giornata di festa al mio “natío borgo selvaggio”, oltre che dies dominica, quindi mi sono permesso di non gettarmi subito nella mischia scatenatasi all’annuncio del prossimo concistoro (convocato ieri dal Santo Padre per il prossimo 5 ottobre): il vasto club di quanti avevano bisogno di avere pronta un’opinione è stato rinfrancato da alcuni vaticanisti e self-made opinion makers, e così oggi sono in molti a spiegare che
sarà creato cardinale mons. Fitzgerald, che Benedetto XVI appena eletto rimosse dalla guida del Pontificio consiglio per il Dialogo interreligioso spedendolo in Egitto e negandogli la porpora.
In realtà, Fitzgerald fu inviato in Egitto nel febbraio 2006, ossia non “appena eletto” Benedetto; il suo fu uno dei rari casi di ecclesiastici nominati a una nunziatura senza la Pontificia Accademia Ecclesiastica nel curriculum e in nessun modo la nomina a nunzio invoca di per sé la porpora. Inoltre lo stesso ecclesiastico, religioso dei “Padri Bianchi” (il cui carisma è specificamente dedicato alla complessa presenza dei cristiani in terre d’Islam) ebbe a commentare così la nomina:
My background in Arabic and Islamic studies is probably considered useful at this moment for the development of relations with Egypt and the rest of the Islamic world.
In effetti ci vuole una buona dose di fantasia a ipotizzare che possa essere punito con una missione in terra islamica (e l’Egitto avrebbe avuto la sua “primavera” di lì a pochi anni) uno che doveva essere “punito” per le sue posizioni – ritenute “d’avanguardia” – in materia di dialogo con l’Islam. Nello specifico, a parte rumori e chiacchiere non ci fu nulla di concreto a suffragio di questa vulgata, ma certo fantasticare non costa.
Non voglio attardarmi su Fitzgerald, però, e neppure fare un’apologia in blocco dei cardinali nominati ieri da Papa Francesco: sia perché non li conosco tutti sia perché il cardinalato non è materia di fede, e del resto non sono mai mancati nella storia cardinali di cui non sentiremmo la mancanza nel Sacro Collegio (il caso McCarrick è al contempo esemplare e non esaustivo). Vorrei invece spendere una parola sulla nomina di mons. Zuppi, e più specificamente sull’indecorosa strumentalizzazione che di essa hanno fatto prima un noto gesuita americano e poi una nota senatrice italiana.
James Martin lo ha infatti presentato come “a great supporter of LGBT catholics”, e a riprova del fatto ha aggiunto che è lui l’autore della prefazione all’edizione italiana del suo discusso “Building a Bridge”; Monica Cirinnà, da parte sua, ha ritagliato due studiate frasette di quella prefazione per individuare nell’ormai nominato Cardinale Romano “un bel segno di pace” del Papa – può darsi, ma nei confronti di chi? Di quanti come lei lavorano a rendere legale in Italia l’utero in affitto?
In generale la notizia è stata accolta con favore dalla “sinistra” (qualunque cosa voglia dire oggi codesta parola): Pier Luigi Bersani ha twittato che «ancora una volta papa Bergoglio indica la strada. Non solo per la Chiesa». E anche qui, fa certo piacere il riscontro positivo, per quanto poi resti da discuterne la sostanza.
Una verità un po’ più complessa (e pertanto più credibile e degna di riflessione) l’ha twittata il vaticanista di Repubblica Paolo Rodari, il quale poneva un “dicono alcuni” accanto al titolo “prete di strada” attribuito al fresco di elezione cardinale Zuppi: egli sarebbe
capace di essere pastore di tutta la Chiesa, anche di quella più conservatrice e sulla carta a lui più distante.
Ecco uno scorcio interessante: eccettuate infatti le marginali e chiassose frange di quanti ogni giorno cercano un pretesto per odiare il cosiddetto “nuovo corso” (ma fu Benedetto XVI a nominare vescovo Zuppi, e nel 2012: dunque neanche s’era ritrovata la nomina appuntata dal precedente pontificato), Zuppi piace a molti. Non è uomo di fazioni, non è uomo da bande, bensì pioniere di frontiera e uomo di dialogo (quantunque il temperamento del sacerdote prenestino abbia talvolta contribuito a rendere accesi i suddetti dialoghi).
Ma questo non vuole essere un peana dell’arcivescovo di Bologna – come se ne potesse averne bisogno o desiderio –, intendendo piuttosto segnalare un importante distinguo che non permette a Martin – quello che disse in radio a un omosessuale: «Magari tra dieci anni potrai baciare tuo marito in chiesa» – e a Cirinnà – quella “di sinistra” che ha depositato una legge per far espropriare a prezzo di denaro i bambini alle madri povere – di arruolare Zuppi nelle loro battaglie.
L’eredità di Biffi
Anzitutto il cardinale eletto ha sempre avuto cura di precisare che «a Bologna la pastorale degli LGBT» esiste da trent’anni (intendendo con ciò un tempo considerevole): questo ci riporta all’episcopato di mons. Biffi, amatissimo e odiatissimo per la sua chiarezza su temi di dottrina e di morale. Che Bologna fosse una frontiera per temi (c.d.) “di sinistra” non è una novità, ed è pure ovvio che qualunque arcivescovo vi si misurasse: il che non esime Zuppi né esimette Biffi. L’uno e l’altro hanno proposto ai cattolici con attrazione per le persone dello stesso sesso (non esistono “i cattolici LGBT”) «una vita cristiana piena, senza sconti».
La prefazione ad Harvey
Quest’ultima frase l’ha scritta Zuppi di sua mano: come spiegano i fatti e diversamente da quanto lasciano intendere alcuni, infatti, non è stato il gesuita americano a “conquistare alla causa” il cardinale italiano, il quale aveva già firmato nel 2016 una prefazione al libro di John Francis Harvey – ottimamente tradotto in italiano da Alberto Corteggiani (di Courage Italia) – “Attrazione per lo stesso sesso. Accompagnare la persona” (Edizioni Studio Domenicano). Lì si leggeva:
La consapevolezza della difficoltà a trovare soluzioni per problemi specifici mi ha portato a confrontarmi con persone che suggerivano proposte pastorali diverse, che avevano divergenze di vedute sul modo di accompagnare verso Dio le persone omosessuali. Ci sono state discussioni vivaci, perché non dirlo, anche con toni forti, dove fraternamente abbiamo esposto i punti | di vista e discusso animatamente. Ci muoveva il desiderio di avvicinare il Vangelo a territori ancora troppo poco esplorati. La Chiesa non alza muri, non crea categorie di persone in funzione dell’orientamento sessuale, perché, prima di avere un’attrazione sessuale particolare, sono persone. Agli occhi di Gesù sono soprattutto e prima di tutto quell’irripetibile mistero che è ogni uomo, in cui è deposta una parte dell’immagine di Dio.
Matteo Maria Zuppi, Prefazione in John Francis Harvey, Attrazione per lo stesso sesso, 9-10
Courage, un’esperienza esemplare
Ecco perché Zuppi non può essere un “supporter dei Cattolici LGBT”: perché egli – essendo un bravo vescovo cattolico – ripudia visioni che appiattiscano le persone sul proprio orientamento sessuale; anche in questo stesso breve testo, come si vede, non nega che sull’argomento sorgano questioni assai vivaci – la carità pastorale del presule, però, ha spinto Zuppi (che rigetta schieramenti e partigianerie) a correre il rischio di andare evangelicamente a «cercare ciò che era perduto».
Un segnale di tale posizione – sfumata, distinta, autonoma – si era avuto anche nella stessa prefazione vantata ieri da Martin, che col permesso dello stesso arcivescovo era stata pubblicata su Avvenire:
Di frequente l’approccio è stato finora solo in rapida risposta alle sollecitazioni opportune e non opportune di gruppi e persone omosessuali, spesso solo per il loro contenimento, soprattutto credenti (pur con prospettive a volte molto differenti sono indicative le esperienze di gruppi di cattolici omosessuali, tra i quali l’esperienza di Courage e di altri gruppi ospitati in parrocchie o diocesi del nostro Paese).
Nella menzione di Courage – unica esperienza chiamata per nome tra quelle dette “indicative”, riconosciute come “a volte molto differenti” – si ha una spia dell’affinità elettiva su questo tema pastorale, in perfetta continuità col libro di Harvey. Courage è una delle migliori esperienze ecclesiali al mondo, nell’accompagnamento pastorale cattolico delle persone con attrazione per persone dello stesso sesso (dicitura lunga, ma i membri stessi la preferiscono all’acronimo totalitario “LGBT”). La distanza tra Zuppi e Martin si misura (anche) col fatto che l’unica esperienza nominatim ricordata dal cardinale è una delle poche mai menzionate dal gesuita, e anzi alla quale la cordata di quest’ultimo, in Vaticano, fa da anni un duro ostruzionismo. Il che rivela anche una sfumatura in più sulla scelta del Santo Padre.
Per quanti non conoscono direttamente Courage e/o non hanno il polso dei forti attriti fra le distinte “scuole” di azione pastorale su questa delicata frontiera, riportiamo la parte finale di un post dell’amica Costanza Miriano, nella quale si lamentava che a Dublino (in quel Congresso delle Famiglie dove Martin riuscì a ottenere uno spazio, pur senza figurare nel panel) non fosse stato chiamato qualcuno di questo movimento ecclesiale che, appunto, offre una vita cristiana piena e integrale:
[…] Cosa intende fare la Chiesa con le persone ASS? Solo farle sentire benvenute? È importante ma non risolve niente. Diciamo che è il livello minimo, la base. Tutti, anche i peggiori peccatori devono essere benvenuti nella Chiesa. Ma poi bisogna anche indicare un percorso possibile verso la verità. Perché non sono stati invitati quelli di Courage? Non dico al posto di, ma almeno insieme a Martin, uno che peraltro di famiglia non si è mai occupato!
Perché nessuno dei cammini che come Courage offrono un apostolato vero per le persone ASS, per non farle sentire escluse ma neppure inchiodate alla loro situazione? Perché invece Dublino darà la parola solo a chi sceglie di adottare l’acronimo dei militanti omosessualisti, LGBT, che riduce una persona alla sua attrazione sessuale? Uno non è gay lesbica o bisessuale, uno è Giovanni, Paola, Enrico. Non si può sminuire la complessità di un uomo definendolo gay, è come inchiodarlo a un momento della sua vita e dire che lui è tutto lì. La Chiesa non può rendersi complice di questa crudeltà.
Io conosco alcune persone ASS. E se ognuno è un mistero persino a se stesso, se ogni storia ha le sue particolari ferite, se non si può generalizzare, posso dire che ognuno viene o da una storia familiare difficile, o magari sulla sua fragilità ha agito una relazione patologica, o una povertà di relazioni. E poi ci sono quelli che hanno subito violenze fisiche o psicologiche, e sono tanti; sono tantissimi che dopo aver subito abusi da una persona del proprio sesso si convincono di un orientamento che non appartiene loro. C’è come una coazione a ripetere. La Chiesa ha la grande, enorme responsabilità di essere rimasta l’unica ad annunciare un modo diverso di parlare di queste cose, mentre gli psicologi o psichiatri se si esprimono così si beccano una denuncia. La Chiesa è l’unica salvezza, e tradire questo suo mandato è gravissimo, anche se è fatto in nome dell’accoglienza. Se vedi uno che va a suicidarsi lo accompagni?
Non tutti gli scandali vengono per nuocere. Anzi, quando qualcosa di molto brutto viene alla luce può essere un’occasione per fare piazza pulita delle ambiguità. Dopo lo scandalo gravissimo che ha coinvolto il cardinale McCarrick, che ha abusato per anni di ragazzi, il cardinal Farrell, pur avendo vissuto a lungo insieme a lui, dice di non essersi accorto di niente. Noi gli crediamo. Ma allora approfitti dell’occasione del meeting delle famiglie di Dublino, lui che è titolare del dicastero competente: fughi i dubbi che già tanti stanno insinuando su di lui, non permetta che nessuna ombra lo infanghi. Non faccia parlare di ASS solo un militante LGBT, lo faccia almeno affiancare da qualcuno di Courage, qualcuno che dica che c’è un modo cristiano di vivere un’inclinazione senza cedere al disordine, che ogni volta che si cede si può ripartire, basta che si abbia chiara la meta… O meglio ancora, non permetta che questo tema estremamente marginale per la famiglia si prenda la ribalta, come è successo per i divorziati risposati con AL. Faccia parlare solo chi con la famiglia si è impegnato seriamente, con competenza. Faccia parlare delle vere problematiche della famiglia. Che la Chiesa sia il luogo, l’unico al momento, in cui le famiglie si sentano davvero valorizzate. Che sia protagonista, per una volta, la loro normalità, la loro fatica quotidiana, lo loro solitudine.
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