San Tommaso d’Aquino e “la storia della mela”. Debunking

Prendo – diceva quello1L’interlocutore cui si deve la posizione dell’obiezione è «a man who thought the argument used by Protestants against the Popish doctrine of transubstantiation, from the testimone of our senses, inconclusive». Si tenga presente dunque che il primo paragrafo riporta l’obiezione, mentre il secondo esprime il pensiero di Reid. – una zolla di terriccio; la scolpisco dandole la forma di una mela; con essenza di mele le do il profumo di una mela, e con della vernice posso darle una buccia e il colore di una mela. Ecco allora un corpo che, se lo giudichiamo con la nostra vista, col nostro tatto o col nostro odorato, è una mela.

A questo io risponderei che nessuno dei nostri sensi ci illude, nel caso di specie. La mia vista e il mio tatto testimoniano che ha la forma e il colore di una mela; questo è vero. Il senso dell’olfatto testimonia che ha il profumo di una mela; anche questo è vero e non c’è inganno. Allora dove sta l’inganno? È evidente che sta nel fatto che poiché questo corpo ha alcune qualità appartenenti a una mela io concludo che esso è una mela. Si tratta di una fallacia, ma non dei sensi, bensì di un non sequitur2«I take, said he, a piece of soft turf; I cut it into the shape of an apple; with the essence of apples I give it the smell of an apple; and with paint, I can give it the skin and colour of an apple. Here then is a body, which, if you judge by your eye, by your touch, or by your smell, is an apple.
To this I would answer, that no one of our senses deceives us in this case. My sight and touch testify that it has the shape and colour of an apple; this is true. The sense of smelling testifies that it has the smell of an apple; this is likewise true, and is no deception. Where then lies deception? It is evident that it lies in this that because this body has some qualities belonging to an apple I conclude that it is an apple. This is a fallacy, not of the senses, but of inconclusive reasoning
» (Thomas Reid, Essays on the Intellectual Powers of Man, Saggio II, Cap. 22).
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Thomas Reid – che fu professore a Glasgow ma che era pure un pastore presbiteriano – replicava così a un uomo che cercava di confutare uno degli argomenti con cui storicamente i protestanti rigettavano “la dottrina papista della transustanziazione”: sorrido perché è assai paradossale che proprio la sentenza sbrigativa sulla mela venga attribuita a Tommaso laddove a dire cose simili fu uno che rispondeva all’obiezione di uno che quella stessa dottrina stava difendendo dai suoi critici. Forse consterà meglio una volta che si sia chiarito chi fu Reid. Per questo mi permetto di rimandare alla sintesi che Diego Fusaro scrisse (ormai parecchi anni fa, quando si occupava ancora di filosofia):

Tra i maggiori oppositori della filosofia dagli esiti scettici di Hume nell’ambiente accademico scozzese vi fu Thomas Reid , il successore di Adam Smith all’università di Glasgow . Egli fu autore di una fortunata Ricerca dello spirito umano secondo i princìpi del senso comune, risalente al 1765. La dottrina del senso comune rappresenta infatti il nucleo teorico centrale, oltre che della filosofia di Thomas Reid, anche dell’indirizzo di pensiero da lui iniziato, generalmente noto con il nome di Scuola scozzese . Secondo Reid lo scetticismo di Hume non va imputato esclusivamente al pensatore scozzese, ma é la conseguenza di un’illusoria prospettiva gnoseologica che risale a Locke e a Berkeley e, per tornare ancora più indietro negli anni, a Cartesio. Tutti questi pensatori hanno infatti aderito a quella che Thomas Reid definisce la teoria delle idee, fondata sul concetto che l’oggetto immediato della conoscenza umana non sono le cose, bensì le idee. Riguardando solamente le idee, la conoscenza non comporta, secondo quella tradizione, nessun giudizio immediato sull’esistenza delle cose, che rimane sostanzialmente problematica. A questa dottrina Thomas Reid oppone la convinzione che la conoscenza dell’uomo ha sempre come oggetto le cose stesse, tramite le percezioni che ci provengono da esse, e non può mai essere separata da un giudizio affermativo sulla loro esistenza. Conoscere qualcosa vuol dire conoscere le cose in quanto esistenti e non le idee delle cose. Ma su che cosa si può allora fondare la certezza, che il dubbio di Cartesio metteva in dubbio, di conoscere direttamente le cose? Chi non mi dice che quelle che io credo essere cose esistenti in realtà non siano immagini virtuali inviate alla mia mente da un genio maligno che impiega tutta la sua onnipotenza per ingannarmi? Chi mi garantisce che esista il mondo che mi circonda? Secondo Thomas Reid non c’è nient’altro che possa garantirlo se non il senso comune , ovvero il sentimento in base al quali tutti credono sull’esistenza delle cose esterne e del nostro io: nessuno si sognerebbe mai di pensare che il mondo sia solo una proiezione virtuale inviataci da un genio malvagio! Il senso comune di Thomas Reid svolge quindi una funzione molto simile a quella esercitata dalla “credenza” di Hume: ma mentre Hume stabiliva una netta distinzione tra la certezza della credenza e quella del conoscere razionale e dimostrativo, Thomas Reid unifica i due termini, restituendo al senso comune il valore di un sapere assolutamente certo e non lasciando spazio ad alcuno sviluppo in direzione dello scetticismo: non ha senso dubitare delle cose che ci circondano perché è il senso comune che ci dice che esistono e sono così. Pastore presbiteriano oltre che professore universitario, Thomas Reid si preoccupa di combattere anche le conseguenze religiose dello scetticismo humiano; ritiene infatti che il senso comune stia alla base non solo nel credere nella realtà della percezione, ma anche nel credere alle verità fondamentali. Queste ultimi concernono sia l’ambito logico-matematico, sia quello etico-metafisico: in virtù di esse l’uomo può quindi essere certo della sua libertà individuale, dei princìpi morali che trova innati in sé e, soprattutto dell’esistenza di Dio, che è dettata dal senso comune. Thomas Reid eserciterà il suo influsso su un notevole numero di autori scozzesi. Tra questi va ricordato un certo Thomas Brown che riconoscerà al filosofo il valore del suo contributo nel futuro sviluppo dell’associazionismo. Di Hume criticò lo scetticismo e di Locke la formazione ancora troppo aristotelica che lo condusse a considerare le idee come filtro tra il mondo esterno e la mente. Reid fu tra i primi della sua epoca a riconoscere alla mente umana facoltà che la rendevano attiva per sua stessa natura in modo innato senza essere altresì frutto di strutture perfette perché fatte ad immagine e somiglianza di dio, come aveva affermato Cartesio. Inoltre Reid riconosceva l’esistenza di facoltà mentali che erano naturalmente rivolte alla socialità. Contemporaneo e amico di David Hume giocò un ruolo importante nell’era dei lumi in Scozia. Compì studi teologici e fu, per lungo tempo, pastore nel villaggio di Newmachar (1737-1752), nei pressi di Aberdeen. Successivamente si trasferì ad Aberdeen dove fu insegnante al King’s College dal 1752 al 1764. Nel 1764 venne nominato alla cattedra di filosofia dell’Università di Glasgow succedendo a Adam Smith. Nel 1765 pubblica la sua più conosciuta opera Ricerca dello spirito umano secondo i principi del senso comune. Questo lavoro confutava le teorie basate sullo scetticismo, da Thomas Reid definite teorie delle idee dei vari David Hume, John Locke e René Descartes, opponendo un concetto che si basava sulle cose.

Conclusioni (necessariamente provvisorie)

Ecco dunque lo status quæstionis: la storia della “mela di san Tommaso” è certamente apocrifa e quasi certamente trae origine negli ultimi anni o decenni da un variegato contesto di blogosfera italiana, nel quale più o meno noti influencer cattolici sono affastellati con più o meno ignote sigle del pulviscolo reazionario sedicente cattolico. Nel caso della citazione distorta e attribuita a san Vincenzo, siamo arrivati a un passo dall’archetipo Ω, una verifica testuale potrebbe chiudere la vicenda. Non così qui, dove quella di Reid resta una pista certamente suggestiva e forse non inutile, ma da verificare e perlustrare con maggiore acribia.

Certo il paradosso sarebbe enorme: tanti bravi kattolici (con la k di ki fa sul serio!) ricacciano indietro gli immaginari fantasmi modernisti che popolano i loro incubi quotidiani al grido di un aneddoto esemplato sulla filosofia di un pastore protestante! Figuriamoci poi se veramente risultasse che il passaggio sorgivo è quello dato in risposta a uno che tentava di difendere la transustanziazione!

A dirla tutta, io spero che il tizio evocato da Thomas Reid semplicemente non esistesse, tanto l’obiezione era banale e mille volte superata dalle grandi Accademie della storia della Filosofia (accenniamo per brevità solo a Platone e Agostino), ma davvero la sbrigativa affermazione “questa è una mela, chi non è d’accordo può andare via” – che rivendica l’affidabilità delle percezioni e riduce il realismo a “common sense” – è quanto di più lontano dal pensiero di Tommaso (e dal cattolicesimo) possa darsi.

Note

Note
1 L’interlocutore cui si deve la posizione dell’obiezione è «a man who thought the argument used by Protestants against the Popish doctrine of transubstantiation, from the testimone of our senses, inconclusive». Si tenga presente dunque che il primo paragrafo riporta l’obiezione, mentre il secondo esprime il pensiero di Reid.
2 «I take, said he, a piece of soft turf; I cut it into the shape of an apple; with the essence of apples I give it the smell of an apple; and with paint, I can give it the skin and colour of an apple. Here then is a body, which, if you judge by your eye, by your touch, or by your smell, is an apple.
To this I would answer, that no one of our senses deceives us in this case. My sight and touch testify that it has the shape and colour of an apple; this is true. The sense of smelling testifies that it has the smell of an apple; this is likewise true, and is no deception. Where then lies deception? It is evident that it lies in this that because this body has some qualities belonging to an apple I conclude that it is an apple. This is a fallacy, not of the senses, but of inconclusive reasoning
» (Thomas Reid, Essays on the Intellectual Powers of Man, Saggio II, Cap. 22).
Informazioni su Giovanni Marcotullio 297 articoli
Classe 1984, studî classici (Liceo Ginnasio “d'Annunzio” in Pescara), poi filosofici (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, PhD RAMUS) e teologici (Pontificia Università Gregoriana, Pontificio Istituto Patristico “Augustinianum”, Pontificia Università “Angelicum”, PhD UCLy). Ho lavorato come traduttore freelance dal latino e dal francese, e/o come autore, per Città Nuova, San Paolo, Sonzogno, Il Leone Verde, Berica, Ταυ. Editor per Augustinianum dal 2013 al 2014 e caporedattore di Prospettiva Persona dal 2005 al 2017. Giornalista pubblicista dal 2014. Speaker radiofonico su Radio Maria. Traduttore dal francese e articolista per Aleteia Italiano dal 2017 al 2023.

5 commenti

  1. Mi pare, che il tuo intervento sia ben oltre una ricerca, pur pregevole, e un debunking, in quanto, ricordando l’altra questione che ponesti, si ritorna al perché e al percome dei detti. Su questo credo si possano distinguere tre modalità. I detti che ben riassumono non solo un pensiero dell’autore ma ne contengono tutta la potenza teologica. Come il “Gratia supponit naturam”. I detti che sono inventati di sana pianta e che deformano o snaturano in parte l’autore e il suo pensiero, come probabilmente è il presente della mela. Ed altri che sono vere e proprie sintesi modaiole magari a sostegno di correnti ideologiche, progressiste o reazionarie, come quelli su San Francesco o di San Vincenzo di Lerins. I bignami, i detti, persino i “riff” sono una comodità mnemonica e di approccio al reale. Specie in un periodo in cui la realtà complessa sfugge continuamente ad una “Summa”. I musicisti di spessore lo sanno benissimo, basti pensare a Bach, Mozart, Beethoven, fino ai grandi riff tematici del rock. E fino al Pietro attuale che ne ha introdotti alcuni ben centrati ed efficaci.

  2. In effetti, considerando che Thomas Reid è un autore molto frequentato da una discreta porzione dei tomisti italiani (penso ad Antonio Livi ed ai suoi allievi), è plausibile che l’aneddoto venga proprio fuori da lì.

  3. articolo interessante, tutavia la conclusione è piuttosto banale: “rivendica l’affidabilità delle percezioni e riduce il realismo a “common sense” – è quanto di più lontano dal pensiero di Tommaso (e dal cattolicesimo) possa darsi”

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