Spesso, studiando teologia, ho sentito come docenti di storia ecclesiastica biasimavano il traffico di reliquie che tra basso medioevo e controriforma assunse qua e là i contorni di un vero e proprio narcotraffico. Non era stato difficile a Umberto Eco ironizzarvi su, per bocca del lucido fra’ Guglielmo da Baskerville, il quale davanti a un reliquiario che gli si diceva contenere un frammento (l’ennesimo!) della Vera Croce disse:
Se tutti fossero autentici, Nostro Signore non sarebbe stato suppliziato su due assi incrociate, ma su di una intera foresta.
E alla scandalizzata esclamazione del discepolo Adso replicava rincarando la dose:
È così Adso. E ci sono dei tesori ancora più ricchi. Tempo fa, in una cattedrale tedesca, vidi il cranio di Giovanni Battista all’età di dodici anni.
Contrabbandieri di reliquie, di dottrine, di citazioni…
Ringrazio Dio di aver avuto molti bravi maestri lungo le vie talvolta impervie degli studî teologici: quelle guide esperte, in massima misura sacerdoti e consacrati, mi hanno orientato e allenato a un alto grado di precisione filologica e storica, a stabilire con esattezza la vicenda ecdotica di un testo, prima di accingermi a discuterne il contenuto. Così ho sviluppato (come fanno tutti i buoni alunni di buoni maestri) una specie di sesto senso per le affermazioni attribuite a questo o quell’autore, e nel tempo sono arrivato a vedere nella pseudoepigrafia1Esiste anche una pseudoepigrafia “buona”, cioè quella di ingegnosi autori minori che, un po’ per esercizio di mortificazione e un po’ per facilitare la vita della propria opera (e delle idee ivi contenute) ne affidavano il titolo a una più eccellente paternità. Si tratta comunque di una pia fraus che in non pochi casi ha creato complessi problemi per il ristabilimento della verità filologica, anche se rivestono un proprio specifico interesse: ad ogni modo, nulla di assimilabile a ciò che oggi chiamiamo “fake news” (mentre tale è la pseudoepigrafia “cattiva”, cioè quella di cui qui si parla). una versione aggiornata (ma per questo anche peggiore) del traffico delle reliquie. Spacciare un osso di pollo per quello di santa Blandina era una truffa di una o poche persone le cui vittime, poche o molte che fossero, tuttavia non risultavano intimamente danneggiate dall’abuso della loro credulità, perlomeno fino a quando il culto da esse tributato a quegli oggetti restava nei ranghi della sana tradizione cattolica, e cioè non sconfinava in magismo e superstizione (cosa neppure infrequente).
Quando invece si attribuisce a un autore un pensiero non suo o un’espressione apocrifa il danno è virtualmente enorme: lo vediamo nel successo delle campagne d’odio condotte contro alcune minoranze a suon di fake news e, più in sordina, con la vicenda del detto sui “Papi inflitti da Dio”, attribuito a Vincenzo di Lérins anche se nessuno nel V secolo avrebbe mai potuto concepire una frase del genere2Come abbiamo ipotizzato nel prosieguo dell’indagine, la fonte potrebbe essere in san Vincenzo Pallotti, sebbene con una variante che ne altererebbe sostanzialmente il significato – però manca tuttora il riscontro testuale, davanti al quale «le chiacchiere stanno a zero».. Il rischio di un simile danno si alimenta ogni qual volta reiteriamo (e così rilanciamo e accreditiamo) una bufala. Il 19 aprile 1930 Gilbert Keith Chesterton scrisse su Illustrated London News che
le fallacie non cessano di essere fallacie
per il fatto che diventano mode.
Se questa è una citazione che ci sembra ragionevole, dobbiamo convenire che lo stesso si può dire delle citazioni distorte o inventate di sana pianta.
La “mela di san Tommaso”
Negli ultimi anni mi è capitato di ascoltare e perfino di leggere3In questi mesi Marco Martinelli l’ha scritto nel suo Nel nome di Dante, di Ponte alle Grazie. l’aneddoto secondo il quale Tommaso d’Aquino, avviando i propri corsi (o addirittura tutte le lezioni?) alla Sorbona, sarebbe stato solito indicare una mela poggiata lì (per l’intervallo?) sentenziando:
Questa è una mela.
Chi non è d’accordo può anche andarsene.
Parola più, parola meno. Ora, due cose non mi sono mai tornate, di questa citazione:
- la prima è che la frase “non suona”: né tommasiana né medievale;
- la seconda – ma questa è riservata a un pubblico più ristretto – è che non si capisce bene in che modo una frase così banale nei contenuti e aggressiva nei modi (insomma non tommasiana) possa risultare tomista, ossia come risponda alla particolare gnoseologia del Doctor Angelicus.
Qualcuno me l’ha spiegata come un’esemplificazione del principio di realtà, il che equivale a inlustrare obscurum per obscurius, nella misura in cui il “principio di realtà” (che di per sé è un concetto metafisico) viene invocato dal nostro “secolo superbo e sciocco” perfino come puntello al cinismo politico e al relativismo etico.
A parte questo, resta il fatto che nessuno mi ha mai saputo indicare una fonte passabile: né le opere di Tommaso né le memorie di Reginaldo da Piperno riportano aneddoti accostabili, anche solo alla lontana, a questo bizzarro incipit didattico.
Stemma sitorum
La prima cosa che apprendiamo da una rapida ricerca online è che l’episodio sembra sconosciuto fuori dall’Italia: ovvero, più esattamente, non si hanno risultati apprezzabili per l’inglese, il francese, lo spagnolo, il portoghese (ovvero per le lingue in cui la letteratura su Tommaso ha una qualche consistenza)… e neppure per il tedesco. Dovremo necessariamente limitarci all’Italia, cercando nella blogosfera e (auspicabilmente) nei libri. Cominciamo dai risultati più recenti e andiamo verso i più remoti.
- Il 6 giugno 2018 Francesco Lamendola spiegava su www.accademianuovaitalia.it “come il pensiero cattolico è diventato non cattolico”, e riportava l’aneddoto;
- Il 17 febbraio 2018 Silvana De Mari riportava l’aneddoto su www.silvanademari.it;
- Il 25 ottobre 2017 Enzo Pennetta lo riportava su www.enzopennetta.it (sfumandolo tuttavia con un prudente “si tramanda che facesse”);
- Il 23 agosto 2016 tale “Gerardoms” lo utilizzava su www.gerardoms.blogspot.com addirittura per compilare una lista di numerose proposizioni – «l’umiltà ci porta ad osservare e argomentare» [sic!] – tutte terminanti, a mo’ di anatematismi, con la sentenza “chi non è d’accordo, può andar via”;
- Il 26 ottobre 2015 tale “mic” aveva già pubblicato il medesimo testo di cui al punto 4 su www.chiesaepostconcilio.blogspot.com;
- Lo stesso 26 ottobre 2015 (difficile dire se prima o dopo di “mic”) il medesimo testo veniva pubblicato da tale “Istruzione Cattolica” su www.gloria.tv, avendo l’accortezza di segnalare quale fonte la pagina di cui al punto 8;
- Il 22 marzo 2016 tale “Angyneocat” riportava su www.concristopietrevive.forumfree.it il suddetto testo (sempre quello di cui al punto 4);
- Il 10 settembre 2015 tale “unafides” pubblicava su www.unafides33.blogspot.com il testo di cui al punto 4, che poi sarebbe stato ripreso da “Istruzione Cattolica” (di cui al punto 6). Variatio interessante: la lezione di “unafides” vede a mo’ di postilla un passaggio della catechesi di Papa Francesco del 28 gennaio 2015; la copia di “Istruzione Cattolica” ha omesso la postilla;
- Il 13 maggio 2015 un anonimo gestore ha riportato su www.azionetradizionale.com il testo di cui al punto 9 passando per la copia di cui al punto 12;
- Il 24 febbraio 2015 tale “guelfonero” pubblicava su www.radiospada.org il testo di tale CdP Ricciotti, che mentre attacca frontalmente Joseph Ratzinger riporta l’aneddoto;
- Il 31 gennaio 2015 don Fabio Bartoli riportava su www.lafontanadelvillaggio2.wordpress.com l’aneddoto (anch’egli, come Pennetta, stemperando a mezzo di un “narra un aneddoto che…”);
- Il 18 gennaio 2013 un anonimo gestore ha riportato su www.costanzamiriano.com il testo già incontrato al punto 9 e di cui al punto 13, citandolo correttamente;
- Il 27 agosto 2012 Giorgio Casali pubblicava su www.parolecheservono.blogspot.com il testo di cui ai punti 9 e 12.
Ho interpellato personalmente Casali, il quale mi ha detto di non saper ulteriormente specificare la fonte dell’aneddoto, protestando però di non essere stato il primo a rilanciare l’aneddoto. Il suo testo, tuttavia, così come lo si riscontra, non risulta presente sull’internet in date anteriori al 27 agosto 2012.
E se fosse… un altro Tommaso?
Siamo dunque in un vicolo cieco? Non sarebbe la prima volta che capita, mettendo mano a una questione ecdotica: certo, la collatio l’ho fatta solo fra i testi che mi sono stati riportati nelle prime quattro pagine dei risultati di Google, e naturalmente scartando le occorrenze risultanti da commenti, i quali per loro natura non sono fonte. Non siamo al punto in cui si possa dare una risposta convincente, ma il coinvolgimento dei lettori più attenti potrebbe risultare utile: anche la volta scorsa non sarei arrivato al Pallotti dal Lerinese senza le attente integrazioni alla collatio da parte loro.
Una pista tuttavia la propongo – fragilissima, lo ammetto, poiché consta di un’assonanza e di un’omonimia. In un capitolo di Essays on the Intellectual Powers of Man (1785) il filosofo scozzese Thomas Reid poneva un problema di filosofia della conoscenza:
Note
↑1 | Esiste anche una pseudoepigrafia “buona”, cioè quella di ingegnosi autori minori che, un po’ per esercizio di mortificazione e un po’ per facilitare la vita della propria opera (e delle idee ivi contenute) ne affidavano il titolo a una più eccellente paternità. Si tratta comunque di una pia fraus che in non pochi casi ha creato complessi problemi per il ristabilimento della verità filologica, anche se rivestono un proprio specifico interesse: ad ogni modo, nulla di assimilabile a ciò che oggi chiamiamo “fake news” (mentre tale è la pseudoepigrafia “cattiva”, cioè quella di cui qui si parla). |
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↑2 | Come abbiamo ipotizzato nel prosieguo dell’indagine, la fonte potrebbe essere in san Vincenzo Pallotti, sebbene con una variante che ne altererebbe sostanzialmente il significato – però manca tuttora il riscontro testuale, davanti al quale «le chiacchiere stanno a zero». |
↑3 | In questi mesi Marco Martinelli l’ha scritto nel suo Nel nome di Dante, di Ponte alle Grazie. |
Mi pare, che il tuo intervento sia ben oltre una ricerca, pur pregevole, e un debunking, in quanto, ricordando l’altra questione che ponesti, si ritorna al perché e al percome dei detti. Su questo credo si possano distinguere tre modalità. I detti che ben riassumono non solo un pensiero dell’autore ma ne contengono tutta la potenza teologica. Come il “Gratia supponit naturam”. I detti che sono inventati di sana pianta e che deformano o snaturano in parte l’autore e il suo pensiero, come probabilmente è il presente della mela. Ed altri che sono vere e proprie sintesi modaiole magari a sostegno di correnti ideologiche, progressiste o reazionarie, come quelli su San Francesco o di San Vincenzo di Lerins. I bignami, i detti, persino i “riff” sono una comodità mnemonica e di approccio al reale. Specie in un periodo in cui la realtà complessa sfugge continuamente ad una “Summa”. I musicisti di spessore lo sanno benissimo, basti pensare a Bach, Mozart, Beethoven, fino ai grandi riff tematici del rock. E fino al Pietro attuale che ne ha introdotti alcuni ben centrati ed efficaci.
In effetti, considerando che Thomas Reid è un autore molto frequentato da una discreta porzione dei tomisti italiani (penso ad Antonio Livi ed ai suoi allievi), è plausibile che l’aneddoto venga proprio fuori da lì.
Ecco un riscontro interessantissimo, grazie!
articolo interessante, tutavia la conclusione è piuttosto banale: “rivendica l’affidabilità delle percezioni e riduce il realismo a “common sense” – è quanto di più lontano dal pensiero di Tommaso (e dal cattolicesimo) possa darsi”
Perché banale? Cosa ci sarebbe di tomistico (e di cattolico) in un realismo metafisico ridotto a “common sense”?