di Gaultier Bès
Noi di Limite non amiamo affatto la polemica, soprattutto nel tempo del digitale in cui la reazione precede e molto spesso sostituisce la riflessione. Tuttavia, di fronte al ripetersi di articoli accusatori contro la nostra rivista, è arrivato il tempo di dissipare alcune confusioni alimentate artificialmente. Come conferma la lettura di ogni singolo numero di Limite, l’ecologia integrale bene intesa non esclude niente e nessuno. Al contrario, essa cerca di riconciliare l’umanità con se stessa e con la biosfera.
La nostra ecologia e la loro
Quarantacinque anni fa il filosofo André Gorz pubblicava “Spartisci o crepa!”, testo famoso ripreso in Ecologia e politica (1975) col titolo “La loro ecologia e la nostra”. Questo pioniere della decrescita distingueva in quella occasione tra l’ecologia autentica, fondamentalmente antiproduttivista, dal suo recupero in chiave liberale sotto le forme ossimoriche della “crescita verde” e dello “sviluppo sostenibile”.
Vorrei qui distinguere l’ecologia “integrale” che Limite promuove da cinque anni dal discorso identitario che talvolta riprende a sua volta questa espressione, ma in un senso molto differente.
Per convincersene basta fare riferimento al nostro secondo numero (gennaio 2016), il cui dossier centrale – “Tutti sulla stessa barca!” – sottolineava l’interdipendenza della famiglia umana nel tempo della globalizzazione. Se noi infatti predichiamo una rilocalizzazione generale non è nel nome di una identità sacralizzata, ma in quello di ciò che Ivan Illich chiamava la convivialità. “Affinché il globale non coincida con la legge del più forte e il locale con la legge del più puro”, scrivevo allora nel mio editoriale.
Si deve constatare che il nostro approccio all’ecologia non ha niente a che vedere con alcuna sorta di nazionalismo nella misura in cui, per l’appunto, la “casa comune” che intendiamo preservare è questo unico pianeta Terra, condiviso da tutti gli esseri umani. Non ci battiamo per difendere i nostri valori o le nostre tradizioni, ma per le nostre condizioni di esistenza. Per dirlo in altra maniera, non è prima di tutto la Francia che difendiamo, ma la biosfera. Non la nazione, ma la Creazione. Il nostro nemico non è ciò che è straniero, ma ciò che è smisurato.
L’aggettivo “integrale”: Maritain contro Maurras
L’accusa più grossolana (e ricorrente, da tanto che una certa parodia del giornalismo si è ridotta a un frettoloso copia-incolla) riguarda la nostra presunta filiazione nei confronti di Charles Maurras. Il malinteso si chiarisce facilmente se si fa un po’ di storia delle idee, in maniera fattuale e non distorta. Nel 1936, il filosofo Jacques Maritain pubblica Umanesimo integrale, saggio di filosofia politica cristiana, nel quale si oppone fondamentalmente al “nazionalismo integrale” del teorico dell’Action française.
Proveniente dal protestantesimo liberale e dal socialismo (“Sarò socialista e vivrò per la rivoluzione”, scrive all’età di 16 anni), dreyfusardo, Maritain si converte al cattolicesimo nel 1906 specialmente attraverso la lettura di San Tommaso d’Aquino. Léon Bloy, che ne La salvezza viene dai giudei (1892) rifiutava vigorosamente l’antisemitismo di Drumont, diviene il suo padrino.
Certo, al principio del periodo tra le due guerre mondiali, Maritain contribuisce alla Revue universelle, vicina all’Action française, dove tiene una cronaca filosofica. Ma i suoi articoli non sono forse molto più di ordine metafisico che politico? E sua moglie Raïssa, benché Maritain avesse difeso la propria indipendenza di fronte a ogni organizzazione partigiana, gli rimprovererà ne I grandi amici di aver dato prova a tale riguardo di grande “ingenuità” e pure di “imperdonabile leggerezza”.
Ad ogni modo nel 1926, quando la Chiesa cattolica condanna l’Action française, Maritain non esita. Pubblica Primato dello spirituale per ricusare la “politique d’abord” («politica anzitutto») cara a Maurras. Ritornando nel 1943 sugli “errori” dell’Action française, affermerà: “Così almeno, dopo vent’anni, ho potuto combattere senza sosta le idee e gli uomini di cui avevo visto da vicino la malvagità e che dovevano finalmente aggrapparsi al potere, in favore della disfatta della patria, e tradire l’anima della Francia”.
L’aggettivo “integrale” nella Dottrina sociale della Chiesa
Divenuto nel 1945 ambasciatore di Francia presso il Vaticano, Maritain lega col futuro Paolo VI che poterà a termine in concilio Vaticano II e riprenderà l’aggettivo “integrale” nella sua enciclica Populorum progressio (1963), presentata come un “appello solenne a una azione concertata per lo sviluppo integrale dell’uomo e lo sviluppo solidale dell’umanità”. Concetto-chiave della Dottrina sociale della Chiesa, lo “sviluppo integrale” consiste nel promuovere ogni uomo e tutto l’uomo, promuovendo non soltanto la giustizia sociale ma anche la crescita spirituale della persona umana.
Non per niente Paolo VI allerta, a partire dal 1970, sulla necessità di rispondere alla “catastrofe ecologica” causata dall’accelerazione dello sviluppo industriale. Nel 1971 scrive: “L’uomo ne prende coscienza bruscamente: attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana”.
Vediamo dunque che qui, agli antipodi della riduzione nazionalista maurrassiana, l’aggettivo “integrale” mira a conciliare le dimensioni ecologiche, sociali e spirituali dell’esistenza umana promuovendo uno sviluppo favorevole al vivente nel suo insieme, a tutti i popoli e a ciascuna persona umana.
Laudato si’: una “ecologia integrale” per il XXI secolo
Anche io, evidentemente, l’ho ripreso in questo senso pubblicando nel giugno 2014 Nos Limite, pour une écologie intégrale (Le Centurion). Nello stesso senso ne fa impiego anche papa Francesco nella sua enciclica «sulla salvaguardia della nostra casa comune» pubblicata nel giugno 2015 e la cui influenza ha ampiamente oltrepassato le comunità cristiane. Non c’è bisogno di essere dei geni per comprendere che l’“ecologia integrale” di Francesco non ha niente a che vedere col “nazionalismo integrale” di Maurras.
La maniera più semplice per definire l’approccio ecologico della Laudato si’ consiste nel citare la formula ricorrente di questo testo salutato da numerosi ecologi per il rigore scientifico: “Tutto è connesso”. Evocando “l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta”, il papa denuncia un “antropocentrismo deviato” che nega il valore intrinseco di ogni creatura e favorisce lo sfruttamento illimitato della natura. L’ecologia della Laudato si’ è “integrale” perché tiene assieme giustizia sociale, dignità della persona e preservazione degli ecosistemi.
Lontano da ogni ripiegamento identitario, Francesco insiste in effetti su una solidarietà universale: “la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri” (LS, 70).
In breve, possiamo dire che, lungi fa ogni forma di ripiegamento, l’ecologia integrale di papa Francesco è pro-vita, integralmente pro-vita, nel senso in cui promuove, contro la “cultura dello scarto” – cioè dell’esclusione –, l’accoglienza responsabile e collettiva di tutto ciò che vive, della persona giudicata indesiderabile o irrilevante (il nascituro, la persona handicappata, il lavoratore precario, il migrante, ecc.) alla più oscura specie animale o vegetale.
Ci sembra che un tale “umanesimo ecologico” sia la maniera migliore di considerare le sfide ambientali, economiche e biotiche del XXI secolo, che rischia di essere contrassegnato da molti tracolli.
Il nostro obiettivo: aprirsi a una conversione ecologica radicale e al tempo stesso conviviale
Quanto a noi, a partire dal nostro debutto nel settembre 2015 ci sforziamo di sviluppare il pensiero etico, ecologico e sociale della Laudato si’ andando incontro a tutti quelli che oggi elaborano delle alternative al duplice impero della tecnica e del mercato. La nostra linea editoriale consiste così, dossier dopo dossier, articolo dopo articolo, nell’articolare decrescita, distributismo e dignità umana.
Così promuoviamo in continuazione dossier su modi di vita più sobri e conviviali, secondo la formula: “non vogliamo tornare indietro, ma continuare a vivere”.
Da quasi cinque anni (14 numeri pubblicato fino ad ora, un numero fuori serie, centinaia di articoli sul sito) facciamo del nostro meglio per “resistere, nell’apertura e nel dialogo, alle nefaste logiche dominanti” e per contribuire alla conversione ecologica, urgente, della nostra società. Come attestato da numerose testimonianza, partecipiamo concretamente a incoraggiare quei cambiamenti individuali e collettivi richiesti dalla situazione. Più saremo numerosi, più possiamo sperare di pesare. Che i sinceri sostenitori della conversione ecologica progrediscano di comune accordo, piuttosto che in concorrenza, questo è il nostro metodo e la nostra vocazione.
(Fonte: Marianne.net)
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