Cina e Terre Rare: contraccolpi mondiali del motto #AmericaFirst

Tra USA e Cina è guerra commerciale, e rischia di fare danni più vasti di una guerra fisica.

Il presidente americano Donald Trump in un’intervista a Fox News Channel registrata la settimana scorsa e andata in onda domenica, ha detto che i dazi sui prodotti cinesi stanno portando le aziende a spostare la produzione dalla Cina al Vietnam e ad altri paesi asiatici, e che nessun accordo con la Cina può essere del tipo “50 e 50”, ma deve essere maggiormente favorevole agli Stati Uniti a causa delle passate pratiche commerciali cinesi.

Gli Stati Uniti e la Cina

hanno stretto un accordo molto forte, abbiamo fatto un buon affare e loro l’hanno cambiato. E allora ho detto OK, andiamo a tassare i loro prodotti.

Non è in programma nessun altro colloquio commerciale tra i principali negoziatori commerciali cinesi e statunitensi dopo l’ultimo incontro terminato il 10 maggio – lo stesso giorno in cui Trump ha aumentato del 10% i dazi di $ 200 miliardi di prodotti cinesi.

Trump sostiene di aver compiuto il passo dopo che la Cina ha esacerbato i negoziati cercando di apportare importanti cambiamenti ad un accordo che i funzionari americani hanno definito “ampiamente concordato”.

Da allora, la Cina ha assunto un tono più severo nelle sue dichiarazioni ufficiali, suggerendo che una ripresa dei colloqui volti a porre fine alla guerra commerciale che dura ormai da dieci mesi tra le due maggiori economie del mondo non avverrà a breve.

Trump ha anche definito apertamente la Cina come un concorrente:

Vogliono conquistare il mondo.

In America il dibattito è vivo e anche animato da una certa prosopopea di film:

Penso che entro la fine di quest’anno la Cina cederà. Penso che abbiano sottovalutato Trump. Penso che avremo un accordo commerciale con la Cina che metta fine a queste pratiche commerciali abusive che i cinesi ci impongono,

ha detto Steven Moore, un candidato della Fed, domenica durante un’intervista con John Catsimatidis sul suo programma radiofonico AM 970.

Definendola “l’epica battaglia dei nostri tempi” e una nuova Guerra Fredda, Moore ha detto che la Cina sta rubando tecnologia dalle società americane e si sta impegnando in pratiche commerciali sleali nel tentativo di spodestare gli Stati Uniti dal posto di più grande economia del mondo.

Insomma, pare che restare i primi sia una questione cruciale, mi domando che succederebbe mai se passassero in seconda posizione: qualche eruzione vulcanica improvvisa? Un terremoto in California? 

Però Trump è già di fatto in campagna elettorale per il 2020, mentre il presidente cinese ha davanti a sé tutto il tempo che vuole e può molto più facilmente sopportare danni economici a breve termine per poi vincere la guerra sul lungo periodo. Invece negli USA ci sono agricoltori (che esportavano moltissimo in Cina) e proprietari di piccole e medie imprese (che si approvvigionavano di molte materie prime cinesi) che stanno accusando il colpo dei dazi in modo molto duro e invocano la pace commerciale.

Affari loro, verrebbe da dire. 

E invece no, sono anche affari nostri, perché, volenti o nolenti, ciò che gli americani decidono in politica estera si ripercuote su tutto il mondo, in particolare in Europa e in Italia. Non dobbiamo dimenticare che noi siamo di fatto una colonia statunitense: sul nostro territorio ci sono 113 basi militari USA, quasi 12mila soldati e circa 70 bombe nucleari1Nel febbraio 2014, rispondendo a un’interrogazione della deputata M5S Tatiana Basilio, l’allora ministro della Difesa Mario Mauro affermò: «Con riferimento alla questione della presenza di armi nucleari in Europa, si fa rilevare che l’Alleanza, pur mantenendo un atteggiamento assolutamente trasparente sulla propria strategia nucleare e sulla natura del proprio dispositivo in Europa, non può agire, tuttavia, a discapito della sicurezza di questo dispositivo e della riservatezza che è indispensabile avere in relazione ai siti, la loro dislocazione, i quantitativi e la tipologia di armamento in essi contenuti»..

Quindi c’è poco da scherzare. Noi qui andiamo a votare convinti di essere liberi di eleggere chi ci pare, ma poi i “mercati” a volte si agitano in strani modi, succedono telefonate, dichiarazioni fulminee oltre oceano, per cui un governo cade, una proposta viene ritirata, un nome viene sostituito.

La democrazia, senza la libertà, è un vuoto simulacro. Da molto tempo sostengo che dovremmo votare anche noi per le elezioni statunitensi, per esercitare appieno la nostra sovranità popolare, ma vedo che il dibattito locale è tutto concentrato su Europa sì-Europa no, come se al di là delle Alpi ci fossero i nostri nemici giurati, ruba pane a tradimento, e oltre oceano, invece, fossero tutti amici. E intanto noi ci siamo fatti permeare dagli americani in modo nemmeno cosciente: tutte le applicazioni elettroniche di maggior uso sono americane, i software, i sistemi operativi, le piattaforme web. I cinesi, invece, ci hanno riempito di hardware, a costi più bassi: Huawei ha conquistato il mercato italiano in modo profondo.

Ieri abbiamo scoperto che Google non fornirà più a Huawei gli aggiornamenti di tutte le sue svariate applicazioni: gmail, i browser, google store, solo per dirne qualcuna. Un altro capitolo della saga di guerre commerciali, alla conquista del mondo. Chi li ha comprati (tra cui io), dovrà buttare tutto?

Oggi, come risposta, il mega presidente Xi Jinping è andato a visitare, senza preavviso, l’azienda Rare Earth Co. nella provincia meridionale di Jiangxi, per mandare un segnale preciso al mondo: la Cina può bloccare le esportazioni di terre rare, di cui possiede il monopolio estrattivo mondiale. Osmio, gandolino, lutezio, neodimio: sono nomi strani, che pochi consumatori conoscono, ma che le industrie hanno ben presente, perché sono materiali importantissimi in molti processi industriali, come, ad esempio, la produzione di magneti, ma anche tablet, telefonini, monitor.

Già nel 2011 la Cina bloccò il mercato, mandando in crisi molti settori produttivi mondiali (e già quello non era un anno di boom economico), costringendo alla ricerca forsennata di alternative più costose o tecnicamente più scadenti. Ci siamo già passati e non è stato bello.

Trump, nel suo delirio di dazi, si era guardato bene dal tassare questi materiali, il cui fabbisogno interno è coperto per l’80% per l’appunto da importazioni dalla Cina.

Solo che oltre agli Stati Uniti ci siamo anche noi, paesucoli del mondo, satelliti involontari di questa superpotenza arrogante, facilmente ignorati, quando non esplicitamente sacrificati, nel tritacarne della guerra commerciale.

La globalizzazione ha reso il mondo un unicum indivisibile sotto tantissimi punti di vista: la finanza, i commerci, i movimenti migratori, le conseguenze climatiche. Quel che succede lì ha ripercussioni qui e viceversa. Il motto “America first” si sta rivelando di una prepotenza assoluta, come tutti i sovranismi centrati sull’egoismo difensivo di posizioni di privilegio. Mi risultano incomprensibili gli entusiasmi di tanti per ogni moto distruttivo di accordi e relazioni internazionali: dalla Brexit (che, forse, farà bene all’Inghilterra ma certo non a noi) al muro di Orban (che non fa entrare i migranti in casa sua e ce li lascia qua), dai dazi di Trump ai populismi di Kurtz. Solo una diplomazia perennemente dialogante può difenderci dalle conseguenze dello tsunami provocato dal battito d’ali di una farfalla lontana. Chi pensa di potersi costruire un fortino autosufficiente e isolato dal resto del mondo, è ora che prenoti il viaggio verso Marte: sono sicura che Elon Musk sta già progettando un pacchetto vacanze all’uopo.

Note

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1 Nel febbraio 2014, rispondendo a un’interrogazione della deputata M5S Tatiana Basilio, l’allora ministro della Difesa Mario Mauro affermò: «Con riferimento alla questione della presenza di armi nucleari in Europa, si fa rilevare che l’Alleanza, pur mantenendo un atteggiamento assolutamente trasparente sulla propria strategia nucleare e sulla natura del proprio dispositivo in Europa, non può agire, tuttavia, a discapito della sicurezza di questo dispositivo e della riservatezza che è indispensabile avere in relazione ai siti, la loro dislocazione, i quantitativi e la tipologia di armamento in essi contenuti».

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