La “colazione di preghiera” USA del 2019

Foto scattata il 24 maggio 2018

Il 23 aprile a Washington DC si è tenuta la 15esima edizione del National Catholic Prayer Breakfast (NCPB), con la partecipazione di 1400 persone. Il NCPB è stato istituito nel 2004 in risposta alla richiesta di una nuova evangelizzazione da parte di San Giovanni Paolo II. Ogni anno, oltre un migliaio di persone si riuniscono a Washington per pregare per il paese americano. I relatori sono sempre di spicco: leader laici e religiosi, figure nazionali, cattolici e ospiti provenienti da una varietà di settori e background. L’evento si dichiara apartitico e chiunque è invitato a partecipare, ma democratici non se n’è mai visti. Il suo scopo è prettamente culturale e cioè difendere lo spazio degli ideali cattolici all’interno della società anche in forma pubblica, non solo intimistica e privata, dandosi pure un certo tono glamour.

Il video-promo della 15ma edizione

Il programma prevede la messa al pomeriggio tardi, poi ricevimento VIP a 75$ a biglietto. Alla mattina seguente, la vera e propria colazione, attorno a tavoli da 10 posti ciascuno: coroncina della Divina Misericordia, benedizione del pasto e via con la colazione, mentre i relatori fanno il loro discorso. Sono solo due ore, dalle 7 alle 9, perché tanto essere prolissi non serve per caricare gli animi e un clima entusiasta non si sostiene a lungo.

Quest’anno gli oratori hanno chiesto “un grande risveglio cattolico”: nel suo discorso di apertura, il presidente del focus Curtis Martin ha osservato come la storia umana sia stata punteggiata da periodi di rinnovamento, scatenati da un ritorno a Dio in uno spirito di espiazione. Invece di condannarsi alla tristezza, però, ha detto, la generazione futura di giovani cattolici ha il potenziale per fare grandi cose.

L’attuale generazione, ha detto, è «sopravvissuta secondo il disegno di Dio» essendo nata dopo che l’aborto è stato legalizzato ed è pronta a “svegliare” e «sconfiggere il diavolo in questa generazione».

Gli Stati Uniti hanno già sperimentato alti e bassi nella devozione religiosa, e hanno visto due “grandi risvegli” tra i protestanti che hanno portato a una rinnovata fede per i credenti. Forse, ha detto Martin, questo è ciò di cui la Chiesa in America ha bisogno:

Non sarebbe un bel momento per un grande risveglio cattolico?

Suor Bethany Madonna,  direttrice vocazionale delle Sorelle della vita, ha detto ai leader cattolici della nazione riuniti in platea di non lasciarsi intimorire dai propri insuccessi e limiti. Cristo «ti ama e vuole la tua debolezza», ha proclamato.

Puoi essere forte con la sua forza – ha detto al pubblico – e sarai in grado di sopportare gli insulti che vengono con la difesa di ogni vita umana.

L’anno scorso l’arcivescovo Joseph Newman si era soffermato in lunghi ringraziamenti a Dio per la libertà religiosa, di parola e di espressione, che i padri fondatori avevano guadagnato col sacrificio di aspri combattimenti e che le generazioni successive avevano eroicamente difeso, nonché per i comfort della classe media americana, superiori a quelli che nel passato avevano i re.  Grazie a Dio, per tutto questo.

Parole molto esplicite, a cui noi non siamo abituati in ambito non specificatamente religioso e forse nemmeno lì: l’intervento divino nella società è un punto di vista sconosciuto all’Europa secolarizzata, slavata da uno scetticismo illuminista da cui non sappiamo più redimerci. Pure con la preghiera, siamo diventati terribilmente tiepidi, relativisti, tutt’al più ecumenici: la preghiera pubblica è bandita, una classica benedizione inaugurale o benaugurante è vissuta come un rito superstizioso e alla fine scoraggiata dallo stesso clero. A forza di spogliarci dei simboli, ci siamo persi pure i significati. Bisogna dare atto agli americani di aver conservato intatto nei secoli il coraggio di parlare di fede in pubblico, da un palco, anche in un contesto politico o comunque non devozionale. Nel nostro vecchio mondo, il laicismo ha estirpato questa possibilità, relegando la fede ad ambito privato e intimistico. Il richiamo ad ideali cattolici può essere accettato al massimo come motivazione personale o in un contesto confidenziale, e subito deve essere mitigato da espressioni contrappeso, del tipo “ma questi ideali non sono solo religiosi, bensì umanitari”, per non essere tacciati di fideismo, irrazionalità, estremismo religioso.

Invece gli americani parlano di  Dio e del demonio con grande libertà e nessun imbarazzo. Certo, resta da capire di quale Dio parlino: il richiamo di Suor Bethany a non aver paura della debolezza e a fare comunque la cosa giusta è rimasto un po’ soverchiato dal clima da convention automotivazionale, ricca di slogan e utopie: l’attivista pro-vita Abby Johnson ha esortato la platea a lavorare per una società in cui l’aborto sia “inimmaginabile” e la sua legalità dunque “irrilevante” (irrelevant).   

Ecco, che la legalità dell’aborto sia in molti contesti impossibile da rimuovere, lo credo anche io; che sia o possa diventare irrilevante, proprio no. Quanto le leggi modifichino il costume, lo sappiamo benissimo: la depenalizzazione dell’aborto in Italia ha aperto le cataratte di un pianto senza fine di interruzioni di gravidanza prive di motivi di carattere medico, o di veri problemi psicologici, ma per ragioni prettamente economiche e, ahimé, tanta superficialità. L’idea che si possa invertire il vento della dissoluzione morale senza combattere anche il contesto legislativo in cui esso si è tanto rafforzato è un’utopia.

Negli USA il dibattito giuridico è in realtà molto più aperto che da noi, essendo ancora accesa la diatriba sulla famosa sentenza apripista Roe vs Wade del 1973: ogni candidato giudice supremo viene martellato di domande su questo tema, perché il potere di ribaltare l’interpretazione e gli estremi per farlo ci sono tutti. E mentre i conservatori difendono timidamente la posizione prolife, i progressisti avanzano a colpi di leggi infanticide surreali, come quella approvata a New York, dove ora si può lasciar morire di stenti un bambino sopravvissuto ad un aborto senza essere accusati di omicidio o omissione di soccorso, non avendo più il nascituro indesiderato lo status giuridico di individuo.

Sentire dunque un esponente pro vita dichiarare potenzialmente irrilevante la battaglia giuridica, negli USA, mi sorprende. Ma tra i relatori sul palco era presente anche Mick Mulvaney, capo di gabinetto della Casa Bianca, il quale ha assicurato al pubblico l’impegno personale del presidente a proteggere il nascituro.

Trump è stato spesso criticato durante la campagna presidenziale del 2016 per le sue dichiarazioni precedenti a sostegno dell’aborto. Dopo la sua elezione, però, l’amministrazione ha fatto sforzi per bloccare il finanziamento statale per l’aborto, rafforzando anche la politica di Città del Messico che impedisce il finanziamento statunitense  alle organizzazioni che promuovono l’aborto.

Mulvaney ha detto alla convention che le frasi più marcatamente pro-life e intransigenti nel discorso sullo Stato dell’Unione 2019 sono state aggiunte su insistenza personale del presidente.

Trump nel discorso ha condannato il Reproductive Health Act appena approvato a New York, che ha grandemente ampliato l’accesso all’aborto. È stato anche critico nei confronti degli sforzi per approvare una legge simile in Virginia. Secondo Mulvaney, questi commenti sono stati aggiunti all’ultimo minuto da Trump al testo, fatti a mano mentre esaminava la bozza finale.

Nonostante le battaglie politiche e l’accresciuta polarizzazione nella vita politica nazionale, Mulvaney ha detto di trovarsi a suo agio a lavorare nell’amministrazione Trump e con le sue priorità.

«I principi della nostra fede [cattolica] sono vivi, sani e rispettati in questa amministrazione e stanno guidando molte delle nostre politiche», ha detto Mulvaney.

In sostanza, Trump ha nettamente deciso di cercare consensi all’interno del mondo prolife, proponendosi come interlocutore unico, affidabile e agguerrito e fornendo dunque una legittimazione culturale esplicita agli ideali prolife, cosa che ha entusiasmato non poco gli animi di molti, solleticando anche l’idea di un certo orgoglio cattolico, di stampo un po’ protestante.

In realtà Trump non incarna certo il Messia liberatore e non è esente da atteggiamenti in forte contraddizione con il cattolicesimo: ad esempio la sua politica estera continua a ricalcare il solito imperialismo americano indifferente al destino minuto dei popoli, facilmente sacrificati sull’altare della convenienza politica delle relazioni internazionali. I rapporti tra Usa e Arabia Saudita sono uno scandalo di opportunismo in nome del dio petrolio, mentre la popolazione dello Yemen soffre l’inferno ormai da quattro anni per mano saudita; il conflitto siriano è stata un’altra perla di umanitarismo a stelle e strisce da cui Trump non ha mai preso le distanze; ora abbiamo le sanzioni all’Iran, da far pagare a tutti; ieri avevamo le sanzioni alla Russia. “America first” è un motto carico di egoismo che Trump applica alla lettera e questo non ha niente di cattolico. Per quanto riguarda il fronte interno, la demolizione dell’Obamacare ha lasciato 13 milioni di cittadini senza copertura sanitaria, e non si tratta dei più ricchi, ovviamente. Anche questa repulsione per la solidarietà sociale non è molto cattolica, soprattutto perché Trump non è cattolico, ma presbiteriano e il suo passo preferito della Bibbia è “Occhio per occhio” eccetera, secondo quanto da lui stesso dichiarato nel 2016 ad un giornalista della radio locale di Rochenster.

In realtà la convention è stata assai più religiosa che politica, con ampi interventi su contenuti di fede1«Dio è con voi, abbiamo bisogno di presentare il Vangelo alla nostra società e di presentare politiche veramente valide, di legislatori che affermino la dignità e il valore di ogni vita umana, di cattolici che tornino a lavorare nella capitale della nazione in parole e in azioni, di convincere il mondo che Cristo è vivo, cibo per l’anima», «Abbiamo bisogno di cadere ancora più in ginocchio per chiedere a Dio di fare il lavoro. È l’unico che può portare rinnovamento alla nostra nazione»., ma le riduzioni giornalistiche sono ovviamente tutte concentrate sull’intervento di Mulvaney, svelando il tentativo di servirsi dei cattolici, piuttosto che di servirli. A questo però siamo assai abituati. E poi in tanti sostengono che “chi non è contro di noi, è per noi”.  Ma è anche vero che “chi non raccoglie con me, disperde”.


Messa della vigilia (22 aprile)

Note

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1 «Dio è con voi, abbiamo bisogno di presentare il Vangelo alla nostra società e di presentare politiche veramente valide, di legislatori che affermino la dignità e il valore di ogni vita umana, di cattolici che tornino a lavorare nella capitale della nazione in parole e in azioni, di convincere il mondo che Cristo è vivo, cibo per l’anima», «Abbiamo bisogno di cadere ancora più in ginocchio per chiedere a Dio di fare il lavoro. È l’unico che può portare rinnovamento alla nostra nazione».

1 commento

  1. Salve!

    Lucia sei per me regina!
    Non conosco il motivo ma i tuoi scritti risuonano in me come buoni e giusti… continua così!

    Sulla preghiera in pubblico con me sfondi una porta aperta!
    Ad onor del vero la “ritrosia” europea e italiana sulla preghiera
    in pubblico forse deriva dal non voler pregare senza il giusto
    raccoglimento ecc…

    Su Trump pur riconoscendogli un buon lavoro sul tema
    dell’aborto che negli Usa è veramente a livelli schifosi,
    ho sempre pensato che uno che vive in una casa d’oro
    altri non può essere che il faraone che teneva schiavo
    il popolo di Dio… altimenti detto anti-Dio o anti-Cristo…

    Così come chi dice “signore signore” non tutto quello
    che appare buono e giusto è anche cristiano.

    saluti

    MM

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