di Davide Vairani
Tra pochi giorni, il Consiglio di Stato francese dovrà esprimere il proprio parere, o meglio, la sua decisione circa la procedura di arresto dei trattamenti vitali di Vincent Lambert decisa dall’Ospedale di Châlons-en-Champagne e confermata dal tribunale amministrativo della stessa città.
L’udienza (la prima) si è svolta venerdì 29 marzo 2019 e i giudici amministrativi supremi si sono concessi tre settimane per esprimere il loro giudizio.
Giudizio che può spaziare dall’accettazione della cessazione delle cure (e quindi condannare a morte di Vincent Lambert) alla raccomandazione di trasferire Vincent Lambert in un istituto specializzato che abbia l’esperienza e la competenza per prendersi cura del suo stato semi-relazionale (coscienza minima), stato nel quale vivono circa 1.700 persone in Francia.
I giudici amministrativi – che vengono dall’École nationale d’administration (il grande ente responsabile della formazione dell’alta funzione pubblica francese voluto da De Gaulle) – non sono ovviamente preparati a fornire un parere che avrà l’effetto di decidere la vita o la morte di una persona.
Del resto, anche se lo fossero, sarebbero formati “scolasticamente”, non sarebbero mai preparati umanamente, perché nessuno può essere preparato a pianificare la morte, nemmeno i medici, le cui previsioni a volte sono fuorvianti.
Aspettando la morte.
Ogni essere umano, fin dalla nascita, attende la sua morte, in qualche modo ce la mette in conto.
Perché è – quasi – l’unica cosa certa che riguardi il nostro futuro terreno. L’attesa della morte rende la vita a volte molto assurda, deprimente o futile, ma – fortunatamente -, se questa sensazione, questa conoscenza intima e definitiva, questa garanzia che non vi è alcuna garanzia, ritorna regolarmente, la vita prevale sempre e, con essa, una certa noncuranza che alla fine si rifiuta di anticipare il futuro.
Per non sapere (o simulare di sapere) che alla fine dalla strada ci sarà sempre un cimitero o un crematorio.
Anche chi possiede una fede incrollabile nell’esistenza di una vita infinita dopo la morte, sono certo che almeno una volta nella propria vita ci ha fatto i conti con questa attesa della morte.
A me – almeno – accade molto spesso.
Nella vita quotidiana accade molto più spesso di quanto immaginiamo di vedere la morte d’appresso.
Se ci pensate, ci sono dati molti modi di fare i conti con la morte.
Ci sono persone che vedono la morte molto vicino a loro per una questione anagrafica. Per le persone di una certa età (tipo intorno agli 80 anni?), possiamo dire che la loro fine terrena non sia molto lontana. Certo, alcuni possono vivere a volte oltre 100 anni e in questi venti anni che potrebbero vivere (e che dipenderanno molto dal loro stato di salute) potrebbero assistere al divenire di un mondo tutto nuovo e diverso: nuove generazioni, forse i pronipoti, tecnologie evolute.
Può essere eccitante avere davanti del tempo in attesa della morte. Purché – ovviamente – non si abbiano nel frattempo problemi di salute, ma questi problemi, purtroppo, possiamo anche incontrarli da giovani, anche da molto giovani.
E questa è probabilmente la seconda categoria di persone che vedono la loro morte avvicinarsi rapidamente: penso in particolare a coloro che sono malati, la cui condizione di salute mostra impietosamente il count-down, mostra che sono come “condannati a morire” (brutto termine, perché nessun dottore può realmente conoscere il futuro).
L’altro giorno hanno comunicato ufficialmente ad una mia carissima vicina di casa “quattro mesi di vita”. Ha 87 anni, allettata alla Casa di Riposo, lucidissima.
Cancro. La sua prima reazione è stata pensare con preoccupazione a quale vestito indossare per il suo funerale.
Quando ti vieni a trovare in una situazione simile è possibile che questa condizione di vita diventi intollerabile per l’ammalato.
Non entro nel merito di giudizio, ma è per questo motivo che il legislatore francese ha adottato, quasi all’unanimità diverse leggi sul fine vita
L’ultima è la legge Claeys-Leonetti, promulgata il 2 febbraio 2016, oggetto di dibattiti infiniti nella società francese e in attesa di essere revisionata dal Governo francese.
L’attuale legislazione francese propone quali princìpi cardine la lotta contro la sofferenzae la libertà del paziente di decidere se curarsi o meno nelle situazioni particolarmente critiche e previa valutazione medico-clinica.
Per combattere la sofferenza esistono le cure palliative, che richiedono risorse economiche di bilancio e che rispondono alla grande maggioranza delle situazioni difficili.
Troppo poco conosciute e diffuse nel sistema sanitario francese.
Per altre situazioni, la legge prevede la possibilità di una sedazione profonda e continua che permette al paziente di “addormentarsi” senza violare barriere morali e senza violare il Giuramento di Ippocrate, vale a dire senza dare deliberatamente la morte. Facendo entrare il paziente nelle migliori condizioni possibili, cioè senza soffrire.
Altre situazioni, ovviamente, suggeriscono che la morte potrebbe essere di lì a venire, indipendentemente dalle condizioni di salute.
Per capirci, la situazione di uno come Serge Atlaoiu, condannato a morte per un crimine, in una prigione di Jakarta, che afferma di non aver commesso alcun reato (traffico di droga) e di aver esaurito tutti i suoi possibili rimedi giudiziari in un Paese nel quale vige la pena di morte per reati come questo. È la situazione più generale per tutti i condannati a morte, che sono più o meno in attesa della loro grazia o della loro esecuzione. È anche il caso di situazioni di guerra, di crimine, ostaggi, ecc., dove la morte violenta può accadere rapidamente.
Vincent Lambert – lui – non si trova in nessuna delle situazioni sopra descritte.
Perché è vivo, non è alla fine della sua vita, in condizioni cliniche di “fine vita”.
Sono passati sei anni da quando alcune persone avrebbero voluto interrompere la sua vita smettendo di alimentarla e idratarla (la prima procedura di arresto è datata 10 aprile 2013) e questa procedura è stata messa in atto con il pretesto che Vincent fosse “en fin de vie”.
Con il senno di poi è chiaro che Vincent non si trovasse in condizione di fine vita, perché vive ancora, nonostante tutto, nonostante diverse settimane senza cibo (mai una persona ha dimostrato di resistere così tanto in una tale situazione). Vincent sta aggrappato alla vita, non è nelle più ottimali condizioni di salute, ma vive.
E non è soltanto perché ha persone intorno a lui che vogliono aiutarlo, accompagnarlo e che lo amano.
Alcuni sostenitori della legge Claeys-Leonetti spiegano che se questa legge non fosse applicabile a Vincent Lambert, sarebbe inevitabile che presto o tardi arrivi una nuova legge che legalizzi l’eutanasia in Francia, perché significherebbe che la legge attuale non sarebbe più sufficiente per rispondere alle situazioni complicate come quella in cui si trova Vincent Lambert,
Trovo questo tipo di posizione (espressa per esempio da uno degli autori della legge, Jean Leonetti, attuale vicepresidente de “Les Républicains”, il partito gollista e liberal-conservatore francese, nel PPE europeo) particolarmente malsana, per almeno due ragioni.
La prima è che Vincent Lambert è una persona e come tale unica e ciò che verrà deciso in merito alla sua situazione, al suo futuro, alle sue opportunità di miglioramento della vita, è unico, specifico e non dovrebbe mai essere preso come modello o da esempio per farne un affaire generale.
Per certi versi è il rischio dell’eco mediatico: la situazione di Vincent è strumentalizzata da entrambe le parti, sia da coloro che ne chiedono la “cessazione delle cure” come da coloro che ne chiedono il loro mantenimento.
È inevitabilmente strumentalizzabile, perché volutamente mediatizzata.
Sarà fatto anche dai tribunali, perché questa situazione costituirà un precedente importante per la giurisprudenza francese, qualsiasi decisione essi prenderanno.
La seconda ragione, in sostanza, è che questa affermazione è falsa. Il problema non sta nelle modalità con le quali interrompere una vita dolorosa che deve essere interrotta a tutti i costi in base a qualche procedura o a qualche interpretazione di legge. La legge attuale consente di sedare profondamente, senza far soffrire la persona interessata.
Il problema è altrove: è nella libertà del paziente, il che significa che per esercitarlo, deve essere in grado di esprimere chiaramente la propria volontà.
Vincent non ha mai espresso nulla in merito, né prima dell’incidente (il 20 settembre 2008) né tanto meno dopo, perchè il suo stato fisiologico non gli consente di parlare o scrivere o fare cenni chiari con capo.
Vincent non ha redatto direttive anticipate, non ha designato alcuna persona fidata, come invece viene espressamente richiesto dalla legge attuale perché si possa parlare di sedazione profonda in maniera legale.
Certamente ora ha un tutore, sua moglie, ma questo non riguarda il campo del fine vita: il fatto di essere un tutore non si applica a questa legge Claeys-Leonetti, ma piuttosto a possibili affari amministrativi e finanziari, materiali.
Il problema è che la famiglia, l’entourage a lui molto vicino, non è d’accordo sul futuro di Vincent.
Sua moglie vuole interrompere le cure, i suoi genitori ne vogliono il mantenimento e il trasferimento di Vincent in un’unità specialistica che conosca la situazione molto specifica di Vincent (diverse strutture hanno già offerto di aprire le loro porte).
Diciamolo con franchezza ed onestà: nessuna legge può risolvere una mancanza di consenso familiare.
Possiamo pensare ciò che vogliamo.
Possiamo pensare – ad esempio – che i genitori di Vincent si oppongano perché sono dei cattolici fondamentalisti, oppure semplicemente che si oppongano perché sono genitori amorevoli nei confronti del loro figlio.
Possiamo anche pensare che la moglie di Vincent voglia staccare la spina a Vincent per poter ricostruirsi una vita, oppure che lo faccia perché non riesce a sopportare il dolore di assistere ad una situazione di vita così fragile da fargli dire che suo marito è ormai solo un corpo senza vita.
Possiamo pensarla come meglio riteniamo e possiamo anche ritenere che entrambe le posizioni siano comprensibili ed abbiano un fondo di verità.
Ma tutto questo non potrebbe giustificare l’interruzione delle cure per Vincent Lambert.
Rispondendo alle domande della giornalista Cecilia Bouanchaud il 10 giugno 2015 su “Europe 1”, il dottor Eric Kariger (colui che per primo ha avviato una procedura di sospensione delle cure per Vincent) stigmatizzò duramente la messa in onda televisiva di un breve video amatoriale girato con un cellulare da un amico di Vincent e disse:
Si chiama manipolazione. Ho le lacrime agli occhi. È doloroso, è drammatico. È soprattutto irrispettoso per il paziente, per sua moglie e sua figlia, che non possono piangere.
La mediatizzazione implica necessariamente una parte di strumentalizzazione e, quindi, di manipolazione da entrambe le parti.
Ciò che è drammatico – e la reazione di cui sopra del dottor Eric Kariger ne è chiaro esempio – è che lui parla di “lutto” come se Vincent fosse già morto.
È sicuro, anzi certissimo, che i parenti prossimi di persone in gravi condizioni di vita vivano un inferno: è un cambiamento radicale della vita, una trasformazione che devasta i progetti di vita, che è pesante da portare, che può anche far morire di crepacuore, ma il punto non sta qui.
La questione di fondo non è sostenere che per rimuovere le tragiche condizioni di vita di persone care si debba rimuovere la persona medesima.
È il rispetto per la persona umana e per la dignità umana che vi sono coinvolte.
La legge sul fine vita francese è per alleviare il dolore delle persone alla fine della vita, non per alleviare la coscienza dei propri cari, facilitare le loro vite devastate psicologicamente e materialmente da questa dipendenza della persona amata.
Una legge che – tra l’altro – dovrebbe fornire supporto psicologico ai caregiver, anche se troppo spesso questa parte della legge non viene applicata.
Non è il momento di piangere.
Vincent lo ha dimostrato per sei anni. Vive e probabilmente è anche in grado di vivere a lungo.
È ancora giovane. Gli esperti medici richiesti dal tribunale amministrativo nel novembre 2018 conclusero che Vincent non soffriva, che la sua vita non era in una condizione di “ostinazione irragionevole”, nonostante l’irreversibilità osservata del suo stato di minima coscienza (ma questo è in realtà incerto, nessuno specialista serio è disposto a dare affermazioni definitive in questo settore).
È questo il tempo per fare di tutto perchè la vita di Vincent sia la più confortevole possibile.
Permettere che possa lasciare la sua stanza nella quale è attualmente rinchiuso. Che possa beneficiare delle cure di fisioterapia. Che possa muoversi su una sedia a rotelle, camminare in un giardino, vedere la vita. Che possa godere di tutte le cure di cui ha bisogno e che, ovviamente, questo ospedale di Chalons-en-Champagne non gli fornisce, perché non è competente nel campo delle sue patologie.
Questo è il motivo per cui la decisione del Consiglio di Stato è attesa con impazienza da familiari e amici.
La vita di Vincent non può rimanere così com’è.
Ma lo stato non può permettersi, nella sua regale onnipotenza, di fermare la sua vita.
Il principio di solidarietà è, al contrario, proteggere i più fragili, non sacrificarli.
Il corto-circuito etico della Francia, nello spirito ancora giacobina fin dal 1789, è che si addolora e piange per Notre Dame, ma, salvo un miracolo, si appresta a uccidere Vincent Lambert senza proteste popolari né rigurgiti di coscienza.