In realtà, spulciando nel sito di una fondazione storica su Santa Fe, spunta un’altra informazione a proposito del presunto autore della scala:
Uno dei tanti artigiani europei che vivevano a Santa Fe in quel momento potrebbe essere stato il falegname sconosciuto, ma recenti informazioni suggeriscono fortemente la possibilità che l’artigiano fosse Johann Hadwiger, un immigrato austriaco…
Questo sito presenterebbe un’informazione meno aggiornata di altri (sebbene non sia stato ancora modificato): l’austriaco (in altre pagine web presentato come tedesco) non sarebbe infatti il vero costruttore. Un parente dell’immigrato presunto artigiano non avrebbe fornito le prove necessarie della realizzazione della scala da parte del congiunto. Risulta però quanto meno incomprensibile questo oscillare di identità e come possa formarsi una leggenda simile all’inizio del ‘900: non siamo certo in epoche passate, dove testimoni, informazioni, ecc., erano di difficile reperimento. La vicenda è certamente ambientata nel declino di un secolo, l’800, in cui è molto forte la devozione per San Giuseppe. Leone XIII, in anni vicini alla costruzione della scala, scrive l’enciclica Quamquam pluries (1889), proprio sulla devozione al santo. Eppure, sebbene il contesto sia favorevole al formarsi di leggende giuseppine, probabilmente l’origine del racconto non è la semplice devozione al santo.
Andiamo allora al materiale usato. Rileggendo il pezzo del Cicap, notiamo l’uso di avverbi che suggeriscono… un nulla di fatto:
Quanto al legno della scala, forse abete, la storica Mary Jean Straw Cook, che ha studiato in maniera approfondita la storia della chiesa, ha potuto determinare che quasi certamente proveniva dalla Francia, dove probabilmente la scala fu addirittura costruita e poi spedita in America via nave per essere montata sul posto.
Non ho letto il libro della storica, ma se chi lo ha letto scrive “forse”, “quasi certamente” e “probabilmente” vuol dire che siamo in presenza di indizi più che di prove. Curioso poi che, se la scala fu costruita altrove e solo montata al momento, le suore abbiano scritto sul registro quel «pagato per il legno Mr Rochas, $ 150,00», di cui parla Wikipedia. L’appunto sembra alludere ad un lavoro diverso dalla costruzione o dal montaggio della scala.
Nella storia del trasporto c’è una somiglianza con un’altra vicenda, quella della Santa Casa di Loreto, trasportata in volo dagli Angeli da Nazaret a Loreto secondo l’antica devozione, trasferita via mare dalla famiglia Angeli secondo la vulgata moderna. Ma in un altro sito ho reperito un’ulteriore notizia: secondo la stessa storica, Rochas sarebbe arrivato direttamente dalla Francia per costruire la scala. Ma allora perché quel “pagato per il legno” e non per il lavoro? E perché mandare a chiamare un falegname dalla Francia per una semplice scala quando il sito della fondazione storica su Santa Fe dice che c’erano «tanti artigiani europei che vivevano a Santa Fe in quel momento»?
In altri luoghi della rete si parla poi dell’identificazione del legno usato con l’abete rosso, ma non con la varietà precisa di questo perché sono stati usati campioni troppo esigui del legno della scala. Ma non c’è unamità nei vari articoli telematici: «forse abete»; «abete rosso»; non si conosce la varietà specifica; la provenienza è francese: no, proviene dall’Alaska… Anche in questo caso, dato che nessuno ha mai messo in dubbio che si tratti di legno, pare che il mistero sullo specifico legno utilizzato sia destinato a permanere.
Riguardo al modo in cui la scala si regge, è interessante quello che si legge nel sito della Cappella che è diventata un museo (con tanto di gadget dell’arcinota scala in vendita):
Le ringhiere furono aggiunte approssimativamente dieci anni dopo per la difficoltà di salire le scale alte e affusolate senza ringhiera. Le due piccole staffe che si possono vedere all’esterno che collegano le scale al muro e al pilastro sono state aggiunte a metà del XX secolo per fornire un supporto maggiore e proteggere la scala dagli effetti negativi dovuti alle vibrazioni del passaggio di auto e camion. Sfortunatamente, invece di aiutare l’integrità strutturale della scala, le staffe moderne ne hanno danneggiato i lati impedendo il naturale movimento a molla della scala durante l’uso [questo movimento dava la sensazione che la scala vivesse di vita propria n.d.R.]. La parte inferiore delle scale era originariamente aperta, ma è stata riempita con crine di cavallo e calce dipinta per sembrare legno.
Si tratta, dunque, di aggiunte successive per tutelare la scala e per utilizzarla senza timore di cadere, che l’hanno anche danneggiata: non di sostegni segreti per fingerne l’effetto prodigioso.
Ricapitolando: siamo in presenza di una scala che, in origine, fu probabilmente costruita da un esperto falegname che rispose all’aspettativa delle suore (e forse alla preghiera), producendo un manufatto che non solo si accordava alle esigenze di spazio, ma che, pur offrendo una sensazione di instabilità, era funzionale. In più, la scala senza il corrimano doveva essere ancor più singolare di come la vediamo ora. Forse non fu realizzata da San Giuseppe in persona, ma certo quella scala così… particolare sembrò davvero un dono celeste. In ogni caso, scala o non scala – il cui mistero, da quando la cappella è diventata un museo privato, appassiona di meno (solo la Church di Antioch – una delle tante derivazioni del protestantesimo – celebra un giorno a settimana, come ci spiega sempre Wikipedia) – possiamo continuare a guardare a San Giuseppe come ad un potente intercessore. Se è bastato il suo nome per fare di una scala un oggetto di dibattito che da più di 100 anni appassiona anche ai giorni nostri, quanto più riuscirà a fare il santo per la nostra vita spirituale, l’unico aspetto che davvero dovrebbe interessarci.
La relazione del CICAP, nonché la ricerca citata dallo stesso CICAP, non confuta nulla in maniera decisiva, perché troppi i condizionali usati, “potrebbe”, “sarebbe”, “quasi certamente”, “probabilmente” ecc…