Pell, verdetto unanime per un’accusa surreale. Quale esito per l’appello?

La sproporzione di parole e pene

Non è niente più che un semplice caso di penetrazione sessuale ordinaria cui il bambino non partecipa volontariamente né attivamente.

Hanno scosso molti le parole di Robert Richter QC, legale a capo della difesa del Cardinale Pell, all’udienza di mercoledì per la lettura del verdetto da parte della corte. L’avvocato in serata si è scusato con tutte le vittime di abuso per la “terribile scelta di parole” impiegate per rispondere all’avviso del giudice, che a suo dire l’hanno tenuto sveglio la notte. In aula risposta del giudice era stata un’immediata e severa reprimenda.

Dev’esserle chiaro che ora io mi sto sforzando di ricevere la sua richiesta. Considerando il suo argomento – e dunque?

La “richiesta” del team difensivo cui faceva ricevimento il giudice Peter Kidd (in evidente automoderazione) era uno sconto della pena o, più propriamente, la non applicazione di “circostanze aggravanti” che porterebbe la pena al massimale previsto per i capi d’imputazione di cui la giura ha riconosciuto colpevole il cardinale. Cinque, ognuno dei quali con una pena massima prevista di 10 anni, per un totale di 50 anni di carcerazione (ovvero ben oltre quanto rimane da vivere all’ex-Prefetto per la Segreteria dell’Economia vaticana).

[Pell] aveva davvero in testa un qualche senso d’impunità» ha continuato il giudice «In che altro modo poteva pensare di cavarsela? C’è stato un elemento di violenza qui… non sono neanche vicino ad un’incriminazione attenuata, nemmeno mi attraversa il pensiero.

Descrivendo la condotta di Pell come priva di pietà e di pudore, il giudice Kidd ha perciò liquidato la richiesta avanzata dai difensori del cardinale, sostanzialmente anticipando quanto sarà disposto nell’udienza del 13 marzo, quando la sentenza sarà letta con l’irrogazione della pena finora solo comminata. Ma mentre il dibattito proseguiva nell’aula della Corte Distrettuale di Melbourne, fuori le parole di Richter avevano già raggiunto i dimostranti, per l’indignazione di quanti sostenevano la condanna di Pell e lo spaesamento di quanti auspicavano il proscioglimento, non riuscendo a comprendere a quale scopo il suo principale difensore si sia espresso in quei termini.

«Confermo che il cardinale George Pell non è più il Prefetto della Segreteria per l’Economia. Posso inoltre chiarire che, dopo la sentenza di condanna di primo grado nei confronti del Cardinale Pell, la Congregazione per la Dottrina della Fede si occuperà ora del caso nei modi e con i tempi stabiliti dalla normativa canonica».
– Alessandro Gisotti, Sala Stampa Vaticana, mercoledì 27 febbraio.

Come quella anglofona, anche la stampa nostrana ha provveduto, non senza una qualche difficoltà linguistica, a mettere subito in risalto l’affermazione. Ma, al contrario della gran parte degli organi d’informazione anglo-australiani o statunitensi, le testate italiche hanno per la gran parte descritto uno scenario decontestualizzato e surreale, in cui il penalista ritenuto essere il difensore più tenace e brillante del foro australiano avrebbe improvvisamente ammesso la colpa del proprio assistito. Naturalmente non è avvenuto nulla del genere. Prima di definire così l’atto imputato (“plain vanilla sexual penetration”, dove il riferimento al gusto vaniglia implica l’assenza di straordinarietà, cioè la convenzionalità), il legale aveva premesso:

La posizione del Cardinale è che egli è innocente. Io non sono nella posizione di affermare perché lui abbia commesso qualcosa che afferma di non aver commesso.

Ovvero, come sa chiunque abbia frequentato un tribunale, una premessa corrispondente alla formula “nella denegata e non creduta ipotesi in cui l’Ill.mo Giudice adito…”, l’equivalente giuridico di “ammesso e non concesso che…” nel momento in cui la corte propende per la colpevolezza dell’imputato che persevera nell’affermare la propria innocenza. È strategia basilare di ogni impianto difensivo cercare un grado di gravità minore della condanna quand’essa appare inevitabile o quando si attende solo l’irrogazione della pena. Così, Richter ha cercato di sfidare i punti sui quali la pubblica accusa chiedeva le circostanze aggravanti, apparentemente la direzione della corte.

  • Il primo di essi riguardava proprio la violenza, intesa come la costrizione forzosa, brutale con cui si sarebbero consumati gli atti. Richter ha obiettato in quei termini perché, prendendo per buona la testimonianza della presunta vittima, non si ravvisa una violenza altra dall’atto in sé da quanto racconta testimonianza.

  • In secondo luogo, un fattore d’aggravio per l’accusa è la violazione del rapporto di fiducia che, secondo le vittime, è da imputarsi anch’esso a Pell come capo della Chiesa cui sono stati affidati. A questo elemento la difesa obiettava che l’allora arcivescovo non aveva alcun rapporto particolare, non conosceva le vittime e che non c’era perciò alcun fattore che ricadesse nella responsabilità personale dell’imputato.

  • Infine, sempre nell’ipotesi dell’accusa, la difesa ha contestato l’applicazione massimale delle pene rimarcando che nella testimonianza non c’è ombra di premeditazione e che, perciò, l’atto sarebbe stato eseguito dall’arcivescovo in preda ad un impulso irrefrenabile.

Le parole di Richter che tanto scandalo hanno provocato si collocano a livello della prima obiezione e contestano quella che è ritenuta una pena sproporzionata. E se pure possono sembrare prive di compassione verso chi abusi ne ha subiti per davvero (e tali sarebbero se fossero rivolte alle vittime), non va dimenticato che esse sono state pronunciate in un dibattimento tra la difesa e la corte, nell’ambito della determinazione del grado di dolo che la sentenza riconosce al crimine. Come fatto notare dal prof. Jeremy Gans della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Melbourne, esperto e docente in Procedure Penali, appartiene alla dialettica processuale che le parti in causa facciano riferimento a diversi tipi di abusi per graduare la responsabilità penale degli imputati, sta poi alla corte – cui è in capo esattamente di determinare il grado del dolo – tracciare in corsa la limitazione di questa dialettica, come effettivamente è avvenuto.

Nulla sarà qui ottenuto paragonando differenti forme di abuso sessuale su bambini. È certo che io debba pronunciare un giudizio circa la gravità complessiva del caso, ma c’è un limite a questo genere di comparazioni.

La chiusura del giudice – che con altrettanta decisione ha rigettato l’idea dell’impulso irrefrenabile – sembra lasciare poco spazio ad un’applicazione minimale o comunque ribassata della pena. Né sono stati elargiti molti complimenti nel fare condurre il cardinal Pell in detenzione. Ma anche qui c’è stata poca accuratezza sui media italiani. La libertà su cauzione di cui godeva non è stata revocata per disposizione della Corte, bensì perché Pell stesso ha richiesto ai suoi legali di ritirarla al termine dell’udienza, in attesa della sentenza del 13 marzo. È stato cioè per sua volontà che è stato portato all’Assessment Prison di Melbourne, in attesa che Kidd pronunci la sentenza di primo grado e riceva il ricorso in appello della difesa. I presenti riferiscono che in aula il Cardinale si è mosso senza scomporsi, facendo un breve cenno di saluto riverente verso il giudice, prima di dirigersi al furgone che l’ha scortato in carcere.

Le parole di Richter sono certamente state incaute in un processo le cui sorti sono così condizionate dall’opinione pubblica. Il legale ha la nomea di accompagnare ad uno smantellamento rigoroso e fin nei minimi dettagli degli argomenti della controparte, con interventi chirurgici e decisi, ad un’esposizione teatrale, variopinta dei propri. Quella che in effetti è una scelta espressiva quantomeno discutibile (in sé stessa sarebbe anche indifendibile) è in realtà parzialmente comprensibile nel contesto processuale, ma senza dubbio dimostra poca lungimiranza in senso strategico e si può probabilmente definire uno strafalcione. Il comunicato di scuse diramato nella serata di mercoledì non manca comunque di far presente che il loro intento non era (e non poteva essere, a meno di un autoironico raptus di follia) di sminuire i drammi subiti dalle vittime di abuso, né minimizzare l’atto di abuso, bensì contestare la proporzionalità della pena comminata al suo assistito nei termini puramente ipotetici che la giuria ha decretato.

Sono parole che certamente hanno contrariato il giudice. Ma sovrastimarne l’impatto nel prosieguo dell’iter giudiziario sarebbe altrettanto errato che sottostimare quello sull’opinione pubblica. Poiché nel prossimo grado di giudizio non è dato che la sentenza venga affidata ad una giuria popolare, si apre la possibilità di un esito positivo per il cardinale.

1 commento

  1. Credo che la situazione sia tale che non si possano nutrire illusioni o false speranze.
    Non è detto che l’appello sia concesso ( nei sistemi di comun law il ricorso in appello non è automatico), né che la sentenza , per quanto irragionevole, sia rovesciata.
    Se si è arrivati a celebrare un secondo processo e a condannare un cardinale , in base ad una sola testimonianza risalente a decenni passati e di circostanze , altamente improbabili, vuol dire che non ci sono le condizioni perché si svolga un processo equo.
    Il cardinal Pell sembra essere il perfetto capro espiatorio della copertura di pedofili, nonché bersaglio perfetto dell’opinione pubblica , soprattutto , progressista che si ricorda quanto sia orribile la pedofilia quando imputato è un cattolico, per le sue posizioni in tema di vita e famiglia .
    Non resta che pregare e sperare che lo Spirito Santo illumini i giudici e sostenga il Cardinale nel suo calvario.

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