Il peso dell’evidenza, tra improbabile ed impossibile
Accusa e difesa concordano che la prima Messa Solenne celebrata dall’Arcivescovo nella Cattedra di San Patrizio è quella del 15 dicembre. Ciò sulla base della documentazione diaristica che offre un ministrante prestante servizio in cattedrale, che dal 1973 ha annotato ogni celebrazione cui ha partecipato in San Patrick. Nell’anno 1996 il suo diario documenta che Pell ha celebrato le Messe Solenni di mezzogiorno a partire dal 15 dicembre, avendo come unica altra data il 22 dello stesso mese. Secondo l’accusa è perciò una di queste due date quella in cui sarebbe avvenuto il primo abuso.
Secondo la testimonianza, nel primo episodio Pell avrebbe praticato sia l’atto osceno che la penetrazione orale ancora vestito, in parte, del paramento liturgico, in specie facendo riferimento all’alba (il camice). In particolare, Pell avrebbe armeggiato sotto il paramento nel levarsi «i pantaloni o la cintura», recita la trascrizione; a quel punto avrebbe estratto il membro. Chiunque abbia una minima familiarità con gli abiti sacri si rende conto che questa descrizione è inattendibile: l’alba non può essere divisa, né sbottonata o aperta, le sole aperture sono in corrispondenza delle tasche laterali dei pantaloni. La difesa ha evidenziato l’incongruenza, facendo portare anche il camice nella corte ed esibendo l’impossibilità geometrica. L’accusa ha allora corretto la testimonianza, sostenendo che il camice fosse stato spostato da parte. Anche quest’operazione è piuttosto ardua da praticare e, di nuovo, impossibile nel momento in cui il cingolo lega il paramento come prevede il vestiario liturgico. Il cingolo gioca un ruolo anche più stringente della conformazione del camice, in quanto è impossibile il prodursi di un’erezione finché esso è legato intorno alla vita. Dalla testimonianza però è chiaro che la cintura cui il testimone si riferisce è quella dei pantaloni, non si può confonderla con il classico cordone (né l’accusa ha provato a re-interpretarla). Anche gli altri testimoni clericali o prestanti servizio di lungo corso hanno potuto assicurare che non c’è possibilità per un’erezione efficace all’atto sessuale nella situazione in cui l’allora arcivescovo si trovava, secondo l’accusa, non ancora svestito.
La sacrestia della Cattedrale durante gli atti sarebbe rimasta con la porta aperta. Secondo la ricostruzione sarebbe stato possibile vedere quegli atti consumarsi dai corridoi entro i 10 minuti successivi alla Messa Solenne nel luogo di culto cattolico più importante e frequentato dell’Australia. In più quella non era la sacrestia episcopale, che in quel periodo era in restauro secondo la testimonianza di mons. Charles Portelli, Cerimoniere della cattedrale all’epoca, bensì la sacrestia presbiterale, ove tutti i concelebranti, i diaconi, i ministranti e i sacerdoti che in cattedrale svolgevano altre funzioni si preparavano e si ritiravano prima e dopo le celebrazioni. Per non parlare del sacrista, Max Potter, in quel periodo, che secondo il protocollo doveva sempre essere presente prima che le sacrestie venissero usate, assicurandosi di chiudere gli armadi con le specie e le stanze stesse. Infine, anche trai laici c’è l’uso di frequentare le sacrestie per scambiare parole coi presbiteri. Il tutto in pieno periodo d’Avvento, uno dei tempi più impegnativi per i preparativi liturgici. Le sacrestie sono state definite da varie testimonianze «un alveare di attività». Un rischio ancora più elevato è quello di assalire un fanciullo direttamente nei corridoi, com’è riportato per il secondo episodio.
Eppure secondo l’accusa un rischio così alto (pressoché una certezza) di essere colto in fragranza non avrebbe fermato Pell. Anzi, secondo l’accusa la conferma di mons. Portelli che Pell in quel periodo facesse uso della sacrestia presbiterale sarebbe un elemento di rinforzo alla propria tesi: nell’arringa conclusiva verso la giuria Gibson ha pregato di tener conto di come il testimone abbia descritto parte dell’apparato decorativo ligneo (“i pannelli di legno”) e dove venivano conservate le specie per la consacrazione.
Se l’evidenza non si riscontra nell’abuso per come raccontato, anche il contesto fa sorgere numerosi dubbi. Il primo riguarda l’effettiva presenza di due cantori che lasciano la processione finale della celebrazione senza che nessuno se ne avveda e li riprenda, né i responsabili del coro né chiunque altro di servizio nella cattedrale. La processione è un momento con una certa visibilità nella chiesa e in Saint Patrick essa veniva curata con particolare ordine: i cantori si disponevano in fila per due, la sparizione di una coppia sarebbe stata difficile da giustificare. I due, ancora voci bianche, cantavano come soprani, perciò sfilavano nelle prime linee ed avevano tutti gli adulti alle loro spalle. Secondo quelli che all’epoca erano piccoli cantori, si coglievano facilmente le occasioni di far scompiglio come per ogni studente (alcuni sostengono che, da un certo momento in avanti, era un po’ “tana libera tutti”), mentre gli adulti di allora ricordano un approccio ben disciplinato dalla fine della celebrazione fino all’ingresso negli spogliatoi. Secondo l’opinione di Peter Finnigan, choir marshal e supervisore per i ragazzi, lui si sarebbe accorto se due cantori avessero lasciato la processione. Dietro domanda dell’accusa, Finnigan ha ammesso che, nel caso (che reputa improbabile) ci fossero riusciti senza farsi vedere, difficilmente se ne sarebbe potuto accorgere prima di rientrare negli spogliatoi, non tenendo l’appello.
Ma più che l’improbabile fuga di due cantori, difficile è immaginare che l’arcivescovo lasci la processione al termine della Messa Solenne senza offrire una motivazione seria al suo Cerimoniere o a nessun altro. La ricostruzione prevede infatti che Pell si sia allontanato a sua volta, solo, per recarsi nelle sacrestie. Ma la testimonianza di mons. Portelli, dall’accusa ritenuta credibile sull’impiego della sacrestia presbiterale da parte dell’arcivescovo, esclude che l’arcivescovo si dirigesse nelle sacrestie senza di lui, il suo Cerimoniere che gli forniva l’assistenza necessaria allo svestirsi dei paramenti (Portelli era descritto come “l’ombra” o “la guardia del corpo di Pell” in quegli anni). Il Cerimoniere non ricorda di aver trovato mai Pell solo in sacrestia e che, nelle rare occasioni in cui si doveva occupare di controllare le omelie per la messa vespertina, della svestizione si occupava il sacrista Potter.
La testimonianza di Portelli è particolarmente dettagliata, egli dichiara di ricordarsi il periodo bene perché le prime Messe Solenni celebrate da Pell servivano all’arcivescovo anche per rimuovere le imperfezioni (“iron out the bugs in the system”) che poteva incontrare nella nuova ritualità episcopale. Uno degli elementi più chiari nella testimonianza è l’abitudine di Pell di fermarsi al termine della processione conclusiva sul sagrato della cattedrale e salutare i fedeli, abitudine che è stata confermata da tutte le testimonianze. L’accusa ha speculato che l’arcivescovo potesse non aver ancora cominciato nel suo primo periodo di ministero a Melbourne, ma non ha offerto elementi in tal senso.
Credo che la situazione sia tale che non si possano nutrire illusioni o false speranze.
Non è detto che l’appello sia concesso ( nei sistemi di comun law il ricorso in appello non è automatico), né che la sentenza , per quanto irragionevole, sia rovesciata.
Se si è arrivati a celebrare un secondo processo e a condannare un cardinale , in base ad una sola testimonianza risalente a decenni passati e di circostanze , altamente improbabili, vuol dire che non ci sono le condizioni perché si svolga un processo equo.
Il cardinal Pell sembra essere il perfetto capro espiatorio della copertura di pedofili, nonché bersaglio perfetto dell’opinione pubblica , soprattutto , progressista che si ricorda quanto sia orribile la pedofilia quando imputato è un cattolico, per le sue posizioni in tema di vita e famiglia .
Non resta che pregare e sperare che lo Spirito Santo illumini i giudici e sostenga il Cardinale nel suo calvario.