Ieri scrivevo su Aleteia che il summit vaticano sugli abusi sembra essere stato tanto condizionato dal timore di non scontentare qualcuno da essere finito col non lasciar contento nessuno. Parlavo in tal senso di un ossimorico “attendismo interventista”: nel suo complesso, e salvo poche luminose eccezioni, si sono ripetute cose già dette e non si sono affrontati i nodi canonici da sciogliere (ho accennato anche a qualcosa sul tema).
Da questo summit alcuni si aspettavano un giro di vite contro l’omosessualismo dilagante in molti ambienti ecclesiastici – contesto che non appare estraneo all’abnorme presenza di predazioni omoerotiche nelle statistiche sugli abusi; altri speravano di vedere aperta una sorta di Tangentopoli degli abusi, con sottofondo di manette scattanti. Quelli sono stati delusi dal discorso di apertura del Papa, questi da quello di chiusura: lì si menzionava infatti la parola “pedofilia” (come se le vittime di un McCarrick – rigorosamente di sesso maschile! – fossero state dei bambini all’epoca dei fatti…); qui non si indicavano ancora misure concrete e universali per contrastare la piaga.
Die Welt e Le Monde
Tra ieri e oggi abbiamo assistito a qualcosa che a noi italiani potrà sembrare banale, ma non lo è neppure un poco: al di sopra delle Alpi i giornali aprono sul Papa quando viene eletto o quando muore o se per caso visiti quello specifico Paese. Così se Francis X. Rocca twitta “Il Papa in prima pagina [sul Wall Street Journal]” lo fa perché davvero questa è una notizia in sé.
Le prime pagine italiane di ieri sono state assorbite dalle regionali sarde, che per i misteri dello slow living insulare ha monopolizzato anche oggi i giornali. Ieri però oltre al WSJ anche Die Welt apriva sul Papa, e oggi è Le Monde a farlo.
Il quotidiano tedesco lancia un donchisciottesco titolo sulla Battaglia contro le “opere del diavolo”, rimandando all’approfondimento di Heike Vowinkel in pagina 3. Quello francese è più diretto nello sparare un Pedofilia. Il Papa delude le vittime (e subito aggiunge il riferimento a satana – ché per i nipotini di Voltaire fa folklore – e un gelido “non ha proposto misure concrete”): il pezzo di Cécile Chambraud segue a pagina 8.
Certo, all’interno le cose cambiano sensibilmente, perché – malgrado l’omonimia – il quotidiano tedesco è conservatore e d’ispirazione britannica e quello francese è la quintessenza del laicismo d’Oltralpe. Così Vowinkel riconosce – pur senza scendere nel dettaglio delle problematiche canonistiche – che
la Chiesa non è così centralizzata come può sembrare da fuori: nelle quasi 44mila sedi episcopali del mondo i Vescovi hanno grande autonomia e una propria responsabilità.
Il punto però non è semplicemente che mancherebbero «meccanismi di controllo e procedure per controllarle sistematicamente», bensì che la conformazione giuridico/amministrativa della Chiesa Cattolica è da sempre analoga a quella degli Stati federali (e il livello federale è monarchico-assoluto, mentre quello locale, pur dipendendo dal primo nelle nomine e in altro, è in pratica una riproduzione autonoma locale dell’autarchia del Vertice). Intervenire su questi meccanismi significa non una riforma qualsiasi, ma un’alterazione essenziale degli equilibri millenari della Chiesa (i quali certamente non sono in sé responsabili degli abusi): Benedetto XVI – il pontefice al cui coraggio Valentina Alazraki ha intestato il merito di gran parte del lavoro di pulizia contro gli abusi – è sempre intervenuto per via di decreti, ossia legiferando dal piano universale, e l’ha fatto usando formule quanto meno possibile a rischio di interpretazione riduttiva da parte dei livelli particolari. Una via ardita nei contenuti ma prudente nella forma – probabilmente lo stesso Papa Ratzinger l’avrà trovata insufficiente. Francesco cerca altro, ma risulta evidente che sta ancora cercando.
Vowinkel ricorda che
sono passati quasi 17 anni da quando i reporter del Boston Globe hanno portato allo scoperto il primo grande scandalo di abusi, che avrebbe avuto un seguito in molti altri Paesi.
Quindi menziona anche il Philadelphia Inquirer e naturalmente la lunga inchiesta (otto anni) che ha portato pochi mesi fa alla pubblicazione del dossier abusi in Germania:
Tutti sono arrivati alla consapevolezza che quanto finora è stato fatto non basta. […] Il summit sugli abusi è stato un Workshop di sensibilizzazione. Ma questo non basta.
«La domanda – aveva scritto la giornalista fin dal primo paragrafo – è sempre e ancora: quando la Chiesa farà qualcosa per rimediare?»
Cécile Chambraud spiega nel dettaglio sul quotidiano parigino:
I rappresentanti delle associazioni delle vittime di differenti Paesi, che si erano spostati a Roma e che reclamano decisioni e cambiamenti tangibili – dimissione sistematica dei preti colpevoli dallo stato clericale, revoca dei vescovi che risultano aver protetto dei colpevoli, pubblicazione degli archivi sugli abusi e sulla loro dissimulazione… – hanno subito manifestato la loro delusione.
Jean-Marie Fürbringer, presente domenica mattina in Piazza San Pietro, ha dichiarato:
Onestamente, è un blablabla pastorale… “è colpa del diavolo!”… Fanno i pesci in barile per non affrontare direttamente i problemi della Chiesa.
Come lo Svizzero, anche il Britannico Peter Saunders:
Non c’è niente sulla tolleranza zero, non c’è l’esclusione definitiva degli stupratori di bambini e degli aggressori sessuali impiegati dalla Chiesa!
Margini di sviluppo
Si può facilmente comprendere – almeno da parte di un cattolico – lo scetticismo riguardo all’improvvisazione di “comitati tribunizi” per il controllo di episcopati e vescovi; si capisce pure che la Santa Sede sia riluttante a deporre lo scudo del segreto pontificio, che in linea di principio deve sempre servire a tutelare il sereno svolgimento del corso della giustizia… Però è pur vero che la Santa Chiesa non può pensare che “battersi il petto” e “chiedere perdono” siano semplicemente un gesto e una frase: non si può pretendere che le vittime lascino ancora il coltello totalmente dalla parte del manico a chi con quel coltello – proprio gli abusi di potere, di coscienza e sessuali – ha già ferito.
Cose simili le ha dette anche Valentina Alazraki al summit, sabato pomeriggio:
Qual è la missione della Chiesa? è ovviamente predicare il Vangelo, ma per farlo ha bisogno di una guida morale; la coerenza tra ciò che predica e ciò che vive rappresenta la base per essere un’istituzione credibile, degna di fiducia e di rispetto.
[…]
Se l’accusa si dimostra credibile, dovete informare sui processi in corso, su ciò che state facendo, dovete dire che avete allontanato il colpevole dalla sua parrocchia o da dove esercitava, dovete dirlo voi, sia nelle diocesi sia in Vaticano. A volte, il bollettino della sala stampa della Santa Sede informa su una rinuncia senza spiegarne le ragioni. Ci sono sacerdoti che sono andati subito a informare i fedeli che erano malati e non che se ne andavano perché avevano commesso abusi o li avevano coperti. Credo che la notizia della rinuncia di un sacerdote che ha commesso abusi dovrebbe essere data con chiarezza, in modo esplicito.
[…]
Ricordate, la trasparenza è mostrare quello che fate. Solo se metterete le vittime al primo posto, sarete credibile quando direte che siete decisi a sradicare la piaga degli abusi.
Ora si attendono a breve delle novità giuridiche e amministrative: i dicasteri competenti dovrebbero essersi riuniti già ieri, ed è stata annunciata la prossima pubblicazione di un decreto del Papa destinato a inquadrare la protezione dei minori e delle persone vulnerabili anzitutto in seno alla Curia Romana e alla Città del Vaticano (uno dei problemi che evidenziavo ieri, in effetti, era che per affidare alla Curia la gestione di una simile riforma occorrerebbe avere le Congregazioni già ben ripulite – quod non patet).
Entro due mesi si attende poi la pubblicazione di un vademecum, elaborato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e destinato ai Vescovi di tutto il mondo.
Il caso Zanchetta è la cartina di tornasole, se verrà insabbiato sarà la prova definitiva del fallimento del summit e della non accountability di papa Francesco