Uscendo [dal sinodo] di Gerico…

– Va bene la misericordia, ma con giudizio: qualcuno ha chiesto al cieco se davvero ci vuole vedere?

– Glie lo ha chiesto Gesù!

– No, Gesù gli ha chiesto “cosa vuoi che io faccia per te?”: il Maestro non si è impicciato, magari quello voleva solo due spicci o una tunica nuova. Ora si rende conto di quello che ha chiesto? Adesso ci vede, non potrà più starsene lì a chiedere l’elemosina, tanto per cominciare, e chiaramente non può pensare di aggiungere sul nostro bilancio un’altra bocca da sfamare.

– Beh, ma mi pare ovvio…

– Non lo è affatto: qualcuno ha forse dichiarato con formula inequivocabile che la cecità è un male? È stato detto?

– In un certo senso, almeno implicitamente, sì, perché sennò Gesù non lo avrebbe…

– Il cieco ha forse affermato di non voler più essere cieco?

– Ma ha detto che vuole vedere, è lo stesso!

– Non è lo stesso! Uno può volere la vista per alcuni vantaggi e la cecità per altri: la Chiesa non può permettersi certe incoerenze e mancanze di chiarezza. Occorre che nel documento finale si scriva che la cecità è un “intrinsece malum”. Sennò non ci si salva più!

– Scusa… che documento finale?

Eh, sì: le dinamiche sottese alla pagina di Bartimeo sono le medesime che si verificano nell’ombra dei sacri palazzi quando ci si spartisce il potere che vi viene gestito, dunque alle volte capita che nella lectio divina i personaggi della pagina si animino e vivano le nostre situazioni, poiché noi stessi li interpelliamo per avere luce su di esse. Del resto i Vangeli non narrano che più di una volta Gesù ha ripreso i suoi seguaci per essersi persi in questi discorsi, e di solito proprio durante gli spostamenti? Che cos’è dunque che preserva il cuore dal decadere nella corruzione che lo rende “folla”? Il discepolato – che altro?

Due annotazioni sulla sinossi

I due fondamentali gruppi di potere hanno interessi di fondo perfettamente sovrapponibili: rafforzare e conservare la propria egemonia. Come quando si gioca a scacchi, ci sono i bianchi e i neri, non i buoni e i cattivi: le regole e i fini sono identici da una parte e dall’altra, il di più è comunicazione, narrazione, propaganda. Difatti Marco non distingue tra “conservatori” e “progressisti”, ma tra “la folla” (in cui stanno gli uni e gli altri) e “i discepoli”, e i due gruppi sono accomunati dal fatto che esternamente (dunque apparentemente) entrambi “seguono Gesù”.

Ora vorrei solo annotare a margine due osservazioni che ricaviamo dalla sinossi del medesimo episodio nei primi tre Vangeli. Abbiamo già detto che Marco è l’unico a dirci il nome del cieco, mentre

  • Matteo è l’unico a rivelarci che i ciechi erano due;
  • e Luca è l’unico a informarci che la scena si svolge all’ingresso di Gerico, e non all’uscita.

Tralasciamo completamente la questione di se e come si possano appianare queste discordanze, diciamo che qui non c’interessa. Risalendo a ritroso i due punti, però, possiamo imparare altre due cose.

Chiesa in entrata e/o Chiesa in uscita

Gli slogan sembrano fatti per chiarire i temi, ma il più delle volte li complicano: un’unica e medesima linea di confine urbano può essere “ingresso” o “uscita” a seconda che la si stia usando per accedere o per partire. Ora, abbiamo già detto che Gerico può facilmente essere letta come metafora di tutte quelle realtà che fanno male all’uomo – e dell’incredibile affezione che quest’ultimo ha storicamente manifestato per esse. Si potrebbe dire, in un certo senso, che Gerusalemme rappresenta la Chiesa e Gerico il mondo, ma si sarebbe assai imprecisi: in fondo non è certo a Gerico che Gesù viene tradito, venduto, crocifisso e ucciso. La verità è che la Chiesa sta dov’è il corpo di Cristo, perché quello è, dunque se Cristo va a Gerico la Chiesa sarà innegabilmente lì.

E perché Gesù va a Gerico? Marco ce lo ha spiegato benissimo, visto che nel primo versetto della sua pericope si legge che “vengono a Gerico” ma poi nient’altro a parte il racconto di Bartimeo, collocato all’uscita: sembra che Gesù sia venuto fino a Gerico proprio a cercare Bartimeo, il figlio di Colui che deve essere onorato (e che non lo è), insomma Adamo. Ecclesia ab Adam, certo, ed è stato sempre tanto chiaro che scendendo agli inferi Cristo scavava fino a lì le fondamenta della Chiesa che l’antica omelia sul Sabato Santo, confluita nell’Ufficio delle Letture pasquale, riporta tra Adamo e Cristo un dialogo squisitamente liturgico che s’immagina avvenire agli inferi1Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.
Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.
Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: « Sia con tutti il mio Signore ». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: « E con il tuo spirito ». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: “Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.
Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura.
Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo.
Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.
Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati.
Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all’albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell’inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.
Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.
Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l’eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli».

Da un’antica “Omelia sul Sabato santo” (PG 43, 439. 451. 462-463).
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Cristo va a Gerico? Sì. A far cosa? A cercare Bartimeo. Gesù scende agli inferi? Sì. A far cosa? A recuperare Adamo. La Chiesa è non solo invitata, ma tenuta a fare altrettanto. Ma «con il Signore – ammonisce Papa Francesco –, non con i miei capricci». E il Signore non scende nell’inferno degli uomini, terreno e ultraterreno, se non per tirarne fuori chi ne era prigioniero: il destino di Gesù, nonostante tutto, non si compie che a Sion, «perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme» (Lc 13,33). O si ha chiaro questo punto oppure “Chiesa in uscita” non è che un vuoto spot propagandistico, e il rischio concreto è di prendere casa a Gerico in pianta stabile. Con tutto quel che ciò comporta.

L’identità del “secondo cieco”

Una cosa bella della pagina di Matteo è che i due ciechi gridano all’unisono, e uno sarebbe tentato di dire che gli altri evangelisti hanno parlato di un solo uomo perché nell’aria le due voci risuonavano come una sola. Sarebbe bello, certo, ma ci vorrebbe più fantasia di quanta ne postuli il Vangelo. Neppure qui c’interessa dirimere la questione in senso storico-critico (tanto è impossibile che due persone ne siano una, mentre ovviamente ciascuna delle due è una in sé…), ma un senso mistico ci è dischiuso dal Quarto Vangelo, quando Giovanni riporta alla fine del mirabile racconto sul “cieco nato” (uno messo peggio di Bartimeo, perché Adamo sta sempre peggio di quanto creda) un brevissimo dialogo conclusivo tra Gesù e alcuni astanti:

Gesù allora disse: «Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo forse ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

Gv 9,39-40

A dispetto di quanto si possa capire con una lettura frettolosa, Gesù non intende sovvertire i singoli casi, bensì rovesciare e redimere lo stesso concetto di giustizia – diversamente, creerebbe solo un’ingiustizia opposta a quella presente. Egli vuole dunque che i vedenti “diventino ciechi” non quasi fosse un teorico della rivoluzione, ma per poter guarire davvero tutti, e non solo quelli che sanno di essere malati: «Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per usare a tutti misericordia» (Rom 11,32). Mi piace pensare che – in senso mistico, beninteso – il personaggio matteano del secondo cieco sia stato scritto per ciascuno di noi, che siamo invariabilmente divisi tra la “folla” e i “discepoli”, molte volte oscillando interiormente tra l’uno e l’altro gruppo – eppure continuando ad apparire esternamente “seguaci di Gesù”. Insomma il secondo cieco è l’opportunità che la venuta di Cristo a Gerico – immagine della sua abissale discesa agli inferi – offre a ciascuno di noi, soprattutto a noi che – schierati da una parte o dall’altra – presumiamo di vederci (e anche bene).

Che il Signore ispiri in quanti hanno tentato e tentano di traviare i lavori del Sinodo la coscienza della propria ingannevole cecità; e che doni anche a noi tutti, ovunque ci troviamo collocati, la grazia di scoprirci ugualmente ciechi. E di essere risanati.

Note

Note
1 Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.
Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.
Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: « Sia con tutti il mio Signore ». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: « E con il tuo spirito ». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: “Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.
Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura.
Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo.
Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.
Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati.
Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all’albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell’inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.
Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.
Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l’eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli».

Da un’antica “Omelia sul Sabato santo” (PG 43, 439. 451. 462-463).

Informazioni su Giovanni Marcotullio 297 articoli
Classe 1984, studî classici (Liceo Ginnasio “d'Annunzio” in Pescara), poi filosofici (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, PhD RAMUS) e teologici (Pontificia Università Gregoriana, Pontificio Istituto Patristico “Augustinianum”, Pontificia Università “Angelicum”, PhD UCLy). Ho lavorato come traduttore freelance dal latino e dal francese, e/o come autore, per Città Nuova, San Paolo, Sonzogno, Il Leone Verde, Berica, Ταυ. Editor per Augustinianum dal 2013 al 2014 e caporedattore di Prospettiva Persona dal 2005 al 2017. Giornalista pubblicista dal 2014. Speaker radiofonico su Radio Maria. Traduttore dal francese e articolista per Aleteia Italiano dal 2017 al 2023.

5 commenti

    • Grazie per l’attenzione.
      In realtà bastava che fosse dialetto, a indicare un livello linguistico senza filtri (sono le stesse persone che dopo l’invito di Gesù parlano in lingua convenzionale, piana e corretta): poi tra i dialetti italiani che conosco meglio il romanesco è sicuramente il più noto anche fuori dal proprio ambito territoriale. E in più ha la proprietà, penso, di rendere meno abbietto il contenuto del messaggio: a quelle dinamiche siamo esposti tutti, sempre. Inutile stigmatizzare come se fosse semplicemente un problema di altri.

      • Ne convengo…

        Al di là delle specifiche considerazioni, leggendoti qui (ma non solo), mi rendo conto di quanto sia importante la Cultura (con la C maiuscola) per una più approfondita comprensione della Scrittura e non tanto come sfoggio sterile della cultura in sé, ma proprio perché la Parola possa scendere ancor meglio nel cuore (come spada direbbe San Paolo) e spingerci alla Conversione.

        Io medito non di rado sulle Scritture, in senso esistenziale e di confronto della mia vita con la Parola di Dio, ma mi rendo conto di quanto i miei “strumenti” siano talvolta limitati.

        Mi consola il fatto che il Signore non ci vuole tutti “dottori” e che non di rado il senso profondo è nascosto “ai dotti e ai sapienti” (di questo mondo).
        Accetto i miei limiti e mi metto in ascolto… e approfitto, come oggi, di chi sa più di me.

        Una cosa il Signore mi ha dato di conoscere bene: il mio peccato, il suo Perdono, la Croce e la potenza della Sua Resurrezione… in una parola, l’Amore di Dio per me.

        • Origene ci ha insegnato che di tutti i livelli dell’esegesi quello letterale è “fondamentale” nel senso che sostiene tutti gli altri, dunque è imprescindibile: importante tenerlo a mente, visto che l’Adamantios passa per “l’allegorista spericolato”. Quindi prima di tutto confrontiamo i codici e stabiliamo il testo, poi analizziamo le particolarità morfosintattiche e linguistiche del testo, quindi lasciamo che il senso della fede lo compulsi.
          Lo stesso Alessandrino, ma seguito da tutta una serie di altri giganti dei quali Ratzinger è forse l’ultimo, ci ha mostrato che il lavoro di quelli che hanno avuto il carisma della teologia deve essere quello di una condivisione fraterna di quanto in essa vi è di utile per tutti.
          Una cosa stupenda della cultura cristiana, tra le altre cose, è che i grandi santi hanno il culto dei santi piccoli.

Di’ cosa ne pensi