L’uomo fermo al ciglio della strada – l’accattone che al massimo infastidiva i passanti per due spicci – ha compreso il rilievo della missione di Gesù e l’ha invocato. Questo era tutto fuorché prevedibile. Se uno del seguito di Gesù avesse capito altrettanto, della missione del Nazareno, avrebbe fatto salti di gioia sul momento. Invece la reazione complessiva è di rimprovero ai danni del pezzente: «I poveracci non li vuole vedere nessuno», come disse seraficamente un compaesano dei miei genitori a mia madre che gli suggeriva di fare posto a un pover’uomo sul banco in chiesa. Chi sono quelli che rimproverano1Ci sarebbe da dire che il verbo usato per “rimproverare” ha nella radice una forte assonanza con la parte del nome del povero che indica l’onore… Bartimeo? Marco – cioè l’unico evangelista che distingue tra “i discepoli” e “la folla” – dice “molti”. Perché? Eh, come sarebbe facile (e brutto) se si potesse dire che i discepoli di Gesù non fanno mai errori, che è sempre “la gente” a non capire…
A quel punto Gesù “ristà” (in greco si usa il verbo che prepara la risurrezione) e lo manda a chiamare: in Matteo il Messia interloquisce direttamente, mentre Marco e Luca sottolineano che Cristo si serve proprio di quelli che si frapponevano tra lui e il cieco per avviare un contatto successivamente immediato. Esatto: proprio tramite quelli che fino a un momento prima ti avevano impedito di parlare con Gesù arriva l’invito del Redentore a compiere un passo ulteriore, cioè imitarlo nella posa del risorto. Difatti quelli che fino a un attimo prima intimavano “sta’ zitto” gli dicono “sta’ calmo” (il verbo è lo stesso che si usa per riportare le parole di Gesù al lago in tempesta, io non avrei tradotto “coraggio”) e lo invitano ad “alzarsi” (altro verbo di risurrezione).
A quel punto si dà quell’evento irripetibile che solo può rivoluzionare una vita umana: un atto di libera risposta all’invito di Cristo che chiede “cosa vuoi che faccia per te?”. Ormai Gesù non è più (solo) il mitologico “Figlio di Davide”, ma è diventato il “maestro” di Bartimeo, il quale domanda di poter tornare a vedere: questo non è il cieco nato di cui parla (solo) il Quarto Vangelo, è uno che ha conosciuto la gioia della luce e l’ha persa. Per malattia? Per incidente? Con o senza colpa? Non è dato di saperlo, ma nel prefisso “ἀνα-” rimbomba l’eco di una storia che in mezzo a quella folla due persone soltanto conoscevano. La replica di Gesù sancisce l’effetto salvifico dell’incontro e spiega – non a caso Cristo è detto “maestro” – che è stato quell’atto, ciò che chiamiamo “fede”, a permettergli di operare il prodigio. Dio è un amante geloso, ma anche rispettoso fino all’impossibile della libertà di chi ama.
Ciò che accade alla fine della scena è che Bartimeo non è più seduto e non “ristà” più semplicemente dritto, a somiglianza di Gesù che «davanti alla sua polvere si era erto» (cf. Gb 19,25): il figlio di Quello che doveva essere onorato, e che ora effettivamente cominciava ad esserlo, era passato dalla stasi al moto, e per lui si adopera il verbo che designa i seguaci di Gesù – “seguire”. La scena si chiude dunque come era partita: con un gruppo di persone in movimento. Marco però era l’unico ad aver distinto fra “discepoli” e “folla”… e Bartimeo in quale sottogruppo sarà capitato? Non è dato saperlo, l’Evangelista non ripete la distinzione e nulla nel testo permette di dedurlo: tutti quelli che si muovono con Gesù hanno in cuore, almeno in qualche momento della loro vicenda, un’aspirazione di bontà. Chi non è stato affatto sfiorato dall’evento di Gesù non è “la folla”, ma quelli che mentre Gesù passava, parlava e guariva sono rimasti in casa o ai crocicchi a farsi i fatti propri. Viceversa: non basta muoversi con Gesù, ovvero “seguirne fisicamente i passi” per essere davvero, e in senso stretto “i discepoli”. E comunque niente assicura nemmeno agli stessi discepoli che quando incontreranno il prossimo Bartimeo essi lo capiranno: potranno benissimo rientrare fra i “molti” che rimprovereranno quanti sono attratti da Gesù e tenteranno di allontanare quelli che lo chiamano.
E perché avviene questo? Cos’è che fa regredire quanti seguono Gesù dallo statuto di “seguaci”, cioè gente che sta esistenzialmente dietro ai passi del Maestro, a quello di “massa”? Abbiamo detto che non si tratta di indifferenti né di avversari: questi non camminano con Gesù e quelli si disinteressano di lui e di tutti gli altri. Tutti quelli che camminano con Gesù, in realtà, sono ciò che all’occhio esterno passa per “la sua gente”, in altre parole, la Chiesa. In questa, (grazie a Dio) senza che alcuna “epurazione” sia possibile, si trovano a coesistere i due sottoinsiemi indicati da Marco – i discepoli e la folla. Essi si degradano dal primo al secondo rango quando – più o meno inavvertitamente – smettono di nutrire l’incontro che li ha salvati (quello riprodotto davanti a loro – e per loro – in Bartimeo) e cominciano a preoccuparsi di come amministrare il potere che deriva dall’essere ormai un consistente gruppo di interessi.
E a proposito di potere: va bene crescere in termini di numeri, ma in ogni gruppo umano la crescita è ben vista solo finché essa non minaccia il particulare singolo. Ciò può valere per il bambino che vede arrivare un fratellino, per il primo della classe che si ritrova a condividere il banco con un nuovo arrivato intelligentino, per il dirigente politico che vede un attivista aggressivo e capace… e pure per i preti, per i vescovi, per i cardinali che avvistano nella Chiesa una qualsivoglia insorgenza. Essa viene allora valutata politicamente, cioè secondo la banale distinzione tra mezzi e avversari che nel suo stesso porsi corrode l’adesione alla proposta di Gesù – la “fede” che, stando alle parole del Nazareno, “salva”.
Insomma, più di qualcuno sarà stato eccitato al vedere un nuovo prodigio di quel fantastico taumaturgo galileo che ammaliava le folle… ma meno pimpante all’accogliere nella cerchia degli accoliti l’ex cieco accattone che due minuti prima aveva rimbrottato. Così avviene per ogni evento ecclesiale: la “folla” che accompagna Gesù senza essere ormai più esercitata nel cammino del discepolato non sa neppure porsi il problema della congruenza tra ciò che si fa e l’incontro con il Nazareno (non ha più «il senso di Cristo», cf. 1Cor 2,16). Basta che si riesca a gestire, possibilmente anzi a incrementare, la propria rendita.
Così non c’è da stupirsi se qualche prelato, magari perfino ornato della porpora romana, dice sciocchezze su questo o quel tema; se prende iniziative pastorali o amministrative discutibili (oppure anche scandalose); se apertamente contrasta i Bartimeo che vogliono incontrare Gesù: sta lavorando per aumentare il proprio prestigio, la propria rendita, il proprio interesse. Ciò che queste persone non capiscono è che la Chiesa, alla fine, non si rimette in moto perché i loro “piani pastorali” o i loro documenti possano davvero risultare decisivi: facciano, disfacciano, vogliano o disvogliano a piacere, la Chiesa riparte quando Gesù incontra un Bartimeo e al corpus permixtum della Chiesa si aggiunge un altro discepolo.
A margine della scena di Bartimeo
Del resto, a leggere certi attacchi al Sinodo dei Vescovi sembra di sentire le voci che con ogni probabilità avranno fatto da tappeto sonoro, quel giorno a Gerico, e che potremmo immaginare così:
– Arieccolo, ’st’accattone puzzolente, ma proprio qui doveva passare Gesù?
– Magari neanche lo vede, guarda: s’è girato dall’altro lato!
– Speriamo, ma figurati se può non sentirlo: anvedi che cannaccio quello, me so’ ‘ssordato…
– ’O sapevo, s’è fermato: de ’sto passo prima d’arriva’ a Gerusalemme ce toccano ddu’ notti de deserto…
– Nun me di’ gnente, ggià ave’o messo ‘a bocca sui carciofi de nonna Ester: dàmose ’na mossa e ancora arrivâmo prima de cena.
– Sè, rega’, altro che carciofi, de ’sto passo: pure questo Gesù l’ha guarito a gratis… co’ tutti i sòrdi che ce potêmo fa’ pare che se dovêmo tipo mori’ de fame.
– Poi nun j’ha nemmanco detto che però prima de veni’ co’ nnoi se deve fa’ ’na doccia…
– Ma perché, mo’ vie’ pure questo co’ noantri? E che se magnâmo?
– Dìmoje, che so, che la cecità è impura, almeno capisce chi comanda qui.
– Capirai, tanto mo’ ci vede.
– ’N se pô mai sape’, questi so’ capaci de ricascacce…
– Ma l’hai visto che zompo ch’ha fatto pe’ fasse guari’? No, figùrate…
– Tutta scena: mica ha rinnegato la cecità? Fino a oggi ha campato de quella… e mo’ de che campa, de li sordi nostri, che già nun bàsteno? Io dico che nun je dispiaceva tanto, a nun vedecce: certo coll’occhi se campa mèjo, ma uno pô pure fa’ finta…
– Ma com’è che te sei fissato su ’sta cosa? Alla fine pure Gesù l’ha guarito ma mica j’ha detto cotica, cioè mica j’ha fatto ’na predica su’ ’a cecità…
– Quello perché Gesù la pensa così pure lui: morale dura e compagnie lasse, tanta preghiera e poca teologia, parabole che ce pôi lègge’ dentro ’m po’ de tutto e ’m po’ de gnente… santo è santo, peccarità, però pure disorganizzato, e tra di noi se lo potemo di’: se continua così finisce male, se dovêmo attrezza’ pe’ trova’ quarche santo in paradiso. Questo dice male sia a farisei sia a sadducei: ma chi ce deve difènde’, se serve quarcosa, un aggancio? Quei pulciosi de l’esseni? Quei matti de li zeloti? Ce manca solo che se fâmo scanna’ dai romani come loro.
– Scusa, me so’ perso… che c’entra cor cieco che mo’ ce vede?
– C’entra che se nun se dâmo ’n criterio vero pe’ capi’ chi sta co’ noi e chi sta contro poi se squajàmo tutti appena uno ce fa “bu!”: questo qua chi lo conosce? Chi li conosce a tutti ’st’antri scalzacani? J’aregge? Qua tra poco, fra strozzini e mignotte – che nun se capisce quanto hanno smesso i mestieri loro –, ’n ce se capisce più niente, ve ’o dico io.
Però poi quando Gesù dice a quelle stesse persone “chiamatelo”, allora cambia tutto:
– La cecità è la via della Chiesa nel mondo! Istituiremo un Pontificio Consiglio per i Ciechi! Bisogna che tutti vedano l’importanza di non vederci!
– Io sono stato cieco, poi anche io fui guarito da Gesù!
– Io sono stato cieco due volte, perché poi ci sono anche ricascato!
– Quanto è grande la misericordia di Gesù con chi non ci vede!
E contemporaneamente nel gruppo ci sono gli altri: quelli a cui non è sembrato che Gesù dicesse qualcosa, quelli che sono rimasti in ombra perché hanno perso l’occasione di fare la mediazione con Bartimeo e temono ora di vedere neutralizzato il proprio peso nel gruppo. E questi dicono:
Note
↑1 | Ci sarebbe da dire che il verbo usato per “rimproverare” ha nella radice una forte assonanza con la parte del nome del povero che indica l’onore… |
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Profondo, a tratti divertente nella sua ironia (ma perché in romanesco i dialoghi di chi si faceva “folla”?), illuminante.
Grazie.
Grazie per l’attenzione.
In realtà bastava che fosse dialetto, a indicare un livello linguistico senza filtri (sono le stesse persone che dopo l’invito di Gesù parlano in lingua convenzionale, piana e corretta): poi tra i dialetti italiani che conosco meglio il romanesco è sicuramente il più noto anche fuori dal proprio ambito territoriale. E in più ha la proprietà, penso, di rendere meno abbietto il contenuto del messaggio: a quelle dinamiche siamo esposti tutti, sempre. Inutile stigmatizzare come se fosse semplicemente un problema di altri.
Ne convengo…
Al di là delle specifiche considerazioni, leggendoti qui (ma non solo), mi rendo conto di quanto sia importante la Cultura (con la C maiuscola) per una più approfondita comprensione della Scrittura e non tanto come sfoggio sterile della cultura in sé, ma proprio perché la Parola possa scendere ancor meglio nel cuore (come spada direbbe San Paolo) e spingerci alla Conversione.
Io medito non di rado sulle Scritture, in senso esistenziale e di confronto della mia vita con la Parola di Dio, ma mi rendo conto di quanto i miei “strumenti” siano talvolta limitati.
Mi consola il fatto che il Signore non ci vuole tutti “dottori” e che non di rado il senso profondo è nascosto “ai dotti e ai sapienti” (di questo mondo).
Accetto i miei limiti e mi metto in ascolto… e approfitto, come oggi, di chi sa più di me.
Una cosa il Signore mi ha dato di conoscere bene: il mio peccato, il suo Perdono, la Croce e la potenza della Sua Resurrezione… in una parola, l’Amore di Dio per me.
Origene ci ha insegnato che di tutti i livelli dell’esegesi quello letterale è “fondamentale” nel senso che sostiene tutti gli altri, dunque è imprescindibile: importante tenerlo a mente, visto che l’Adamantios passa per “l’allegorista spericolato”. Quindi prima di tutto confrontiamo i codici e stabiliamo il testo, poi analizziamo le particolarità morfosintattiche e linguistiche del testo, quindi lasciamo che il senso della fede lo compulsi.
Lo stesso Alessandrino, ma seguito da tutta una serie di altri giganti dei quali Ratzinger è forse l’ultimo, ci ha mostrato che il lavoro di quelli che hanno avuto il carisma della teologia deve essere quello di una condivisione fraterna di quanto in essa vi è di utile per tutti.
Una cosa stupenda della cultura cristiana, tra le altre cose, è che i grandi santi hanno il culto dei santi piccoli.
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