E. B.: Voi denunciate entrambi il carattere illimitato della logica dei diritti. Perché la conquista dei diritti nel sistema liberale è senza fine?
J.-C. M.: Il progetto liberale è quello di una società in cui ciascuno possa vivere «come meglio crede» con la sola riserva che la sua personale scelta di vita non nuoccia alla simmetrica libertà altrui. Insomma, un altro modo di dire che uno Stato liberale deve essere “assiologicamente neutro” (idealmente è un semplice governo di “esperti” le cui decisioni potrebbero essere prese tutte da un algoritmo), mentre ogni concezione di “vita buona” – che sia filosofica, morale o religiosa – rileva perciò stesso della sola sfera privata. Ora, è proprio questa esigenza originaria di “neutralità assiologica” che spiega come ogni pensiero liberale, anche il più moderato, finisca sempre – presto o tardi – con l’essere minato dall’interno da una logica dell’illimitazione. L’idea che il “la scelta è mia” degli uni non debba essere limitato se non dal “la scelta è mia” degli altri non ha senso, in effetti, se non fino a quando esistono dei criterî sufficientemente chiari per definire in modo indiscutibile chi “nuoce” a chi. Il problema è che questo presuppone precisamente che la maggior parte dei membri di una società si accordi ancora, anche in modo implicito, su un certo numero di valori morali e culturali comuni che dunque la logica liberale non è ancora riuscita a “privatizzare” fino in fondo: il turista parigino, per esempio, che ancora fino a qualche anno fa avesse scelto di passare le proprie vacanze in un paesino provenzale si aspettava logicamente di incontrare degli allevatori di pecore e dei cacciatori di cinghiali o di sentir suonare le campane della chiesa e cantare le cicale del posto (non cos’altro che perché la scuola laica gli aveva insegnato chi fossero Alphonse Daudet, Marcel Pagnol o Jean Giorno). E certamente non gli sarebbe mai venuto in mente di vedere in codeste realtà tipiche un insieme di “nocumenti” umanamente intollerabili e contrari ai suoi diritti più fondamentali (si sa, al contrario, che nel corso dell’estate 2018 parecchi turisti parigini non hanno esitato a protestare presso il sindaco e gli abitanti di un piccolo comune del Var col pretesto che costoro non facessero alcunché per mettere fine ai “nocumenti sonori” delle cicale). Ora, mano a mano che lo sviluppo della logica liberale – o, nel linguaggio della sinistra moderna, la “naturale evoluzione dei costumi” – conduce inesorabilmente a dissolvere tutte le forme di tradizione e di vita comune nel bagno d’acido della “neutralità assiologica” (business is business), sono in realtà proprio tutti i valori morali e culturali ancora comuni che si ritrovano inevitabilmente condannati a vedersi “decostruiti” come altrettanti “stereotipi” arbitrari che puntano a “stigmatizzare” il modo di vita di questa o quella frangia della popolazione. Processo di liberalizzazione dei costumi che chiaramente è soltanto ai suoi albori (basta guardare gli Stati Uniti) ma il cui termine logico non può essere che la «disgregazione dell’umanità in monadi, di cui ciascuna ha un principio di vita particolare e un fine particolare», nella quale Engels vedeva già nel 1845 il preludio inevitabile di una nuova «guerra di tutti contro tutti».
P. M.: Le manifestazioni dei grandi movimenti storici serbano sempre una parte di enigma. In ogni caso, quali che fossero le cause, il fatto sta lì: a partire dalla prima metà del XVII secolo lo spirito umano ha cominciato a guardare la natura come a una materia da modellare, per così dire da ricreare. L’ambizione riformatrice, o rigeneratrice, si è rapidamente estesa al mondo umano, col susseguirsi delle grandi rivoluzioni politiche moderne, di poco precedute dalla rivoluzione industriale. Si resta colpiti dall’audacia e dalla vastità dell’impresa. Guardate la Rivoluzione francese. In qualche mese un ordine secolare è stato sradicato e subito un pugno di uomini che niente aveva preparati né distinti per un tale compito si trovò a rappresentare la supposta volontà della Nazione e della dichiarata autorità della Ragione. Ci vollero tre quarti di secolo prima che l’esorbitante impresa non si riversasse nelle istituzioni e nei costumi regolari della Repubblica, e che si giungesse a un amalgama omogeneo a partire dall’Idea di un ordine umano sortito dalla nostra volontà e i molteplici bisogni della nostra natura sociale.
E. B.: Sembra che la distruzione della differenza sessuale sia diventata l’agenda primordiale dei liberali. Perché, secondo voi?
P. M.: Oggi in Europa le speranze rivoluzionarie che hanno dato la loro fisionomia ai due secoli precedenti hanno perduto ogni forza. Eppure il desiderio di fare tabula rasa è tra noi più virulento che mai. L’attacco è condotto oggi contro la parte della vita che condensa, oso dire, la forza e la dolcezza della natura: la differenza sessuale, che si vorrebbe ricondurre a una costruzione sociale. Uomo e donna Egli non li creò: uomo e donna essi si crearono da sé, senza appoggio né ragione nelle loro rispettive nature – ecco la nuova religione sociale. Guardate con quale brutalità i grandi componenti della vita sociale sono stati – per così dire – sfrattati, uno alla volta. La religione è stata la prima esclusa dallo spazio pubblico, del quale si richiede che sia nudo e neutro. La nazione è stata successivamente ricondotta a una circoscrizione arbitraria che non comporta alcuna legittimità intrinseca, ma che al contrario giustifica ogni sospetto. Ecco che la differenza sessuale stessa, con tutto ciò che essa comporta e produce, è stata privata dell’iscrizione specifica nello spazio pubblico che rappresentava il matrimonio detto “tradizionale”. Così nel nome dei diritti umani la legge condanna oggi le componenti del mondo umano, i contenuti della nostra vita, a un’esistenza spettrale.
J.-C. M.: L’idea che quanto mi definisce come uomo o come donna non siano tanto le mie particolarità anatomiche e biologiche quanto il mio “sentire” personale non costituisce, naturalmente, che uno sviluppo fra gli altri dell’ideologia di “la scelta è mia” – col suo risvoltino “Sartre for dummies” – che definisce l’essenza del liberalismo culturale (e allora il clivaggio binario “destra-sinistra” resta l’unico per il quale sia proibita ogni “decostruzione”). Mi sembra comunque che, nel caso preciso della differenza sessuale, questa corsa all’indifferenziazione – oltre al fatto che essa permette di aggirare tranquillamente il principio di parità – non si spiega solamente mediante gli effetti uniformanti di ogni logica di mercato («il mercato – scriveva ancora Marx – è per diritto di nascita un grande e cinico equalizzatore»). È che il fatto biologico della differenza uomo-donna funziona pure come un limite assoluto a tutti i fantasmi di completezza, e dunque di onnipotenza, delegittimando d’emblée ogni pretesa di uno dei due sessi – e dunque soprattutto, nella pratica, quella del sesso maschile – di incarnare da sé solo, per riprendere la formula di Montaigne, «la forma intera dell’umana condizione». Che lo si voglia o no, l’umanità non è una. Essa si sdoppia da sempre in due “metà” delle quali nessuna, per parlare come Lacan, potrebbe essere “tutta”. Ora, riconoscere questo fatto strutturale significa per forza di cose infliggere un terribile trauma narcisistico a tutti quelli (e tutte quelle) il cui forsennato desiderio di potere – desiderio sempre legato alle infelicità delle infanzia – non può soffrire il minimo limite “morale o naturale”.
E. B.: Voi credete che sia ancora possibile sfuggire a una concezione puramente liberale del diritto e della società, oppure «i buoi sono fuggiti dalla stalla»?
P. M.: Questo ci è proibito in linea di principio dalla norma di giustizia che prevale fra noi: poiché ci facciamo delle idee incompatibili del bene, il giusto non potrebbe che essere “procedurale”. Esso risiede in regole formali di uguaglianza, di reciprocità e di neutralità che ordinano la coesistenza degli individui separati. Una siffatta concezione rigetta, per così dire, dietro le quinte della società la vita morale reale, che riposa sulla ricerca dei beni umani, i quali sono per definizione dei beni sostanziali: essi dànno forma e contenuto alla nostra vita.
Stiamo operando su noi stessi un’esperienza morale o metafisica particolarmente crudele. Invece di cercare le vie di un’educazione comune e di costruire delle istituzioni che proteggano, nutrano e raffinino esperienze condivise, ci imponiamo una deistituzionalizzazione sempre più completa dei contenuti della nostra vita. Che cosa ci aspettiamo, dunque, dall’emancipazione finale quando su pubblica piazza non resterà più se non l’individuo coi suoi diritti, povero uomo separato dagli uomini e dai beni che alla vita umana dànno il suo senso?
Salve!
Sulla questione del “sono libero di fare ciò che voglio con fino a che non danneggio nessuno” ovvero “i miei diritti finiscono dove iniziano quelli delgi altri” mi ero già accorto da solo, quando avevo circa 18 anni cioè 40 anni fa, che aveva un grosso difetto e cioè: CHI stabilisce quale è il limite fra i miei ed i tuoi diritti? Per questo ho coniato un mio slogan: “la libertà è una lama che taglia da due lati” cioè i diritti di libertà fra me e te per forza devono ferirci entrambi allo stesso modo. Ma la questione vera è: chi è l’arbitro? A ragion di logica l’arbitro del limite fra i diritti fra me e l’altro dovrebbe essere l’altro… almeno fino a quando io non voglia far imporre a far subire i miei dirittti all’altro… Questi discorsi fanno parte della mia vita, come detto, da almeno 40anni e non vi dico gli insulti e le persecuzioni che mi hanno causato! Io non conoscevo i due filosofi dlel’articolo, ho un enorme buco culturale in tutto quello che è francese ad esclusione dello Champagne… Ovviamente la mia ricerca della verità al di là dell’ideologia mi ha portato a trovare chi è il vero arbitro delle mie scelte, delle scelte umane: ed è Gesù. La religione cristiana è l’unica che da una risposta certa nelle questioni umane a tutit i livelli e sopratutto non c’è bisogno di grandi intellettuali o intelletti o filosofi per comprenderla in questo, forse, dimostra la sua provenineza divina. La questione dei due sessi o generi… su questo mi allineo al pensiero esposto avendo anche io sempre pensato che la scelta di sessi diversi da quelli naturali sia sostanzialmente un aspetto del narcisimo umano ed un ulteriore aspetto dell’infantilismo di molte persone, e non mi riferisco agli omosessuali ma anche agli eterosessuali, che non vogliono esse stesse risolvere in tutta la loro vita. Io sono un tipo terra terra al quale non piace l’uso avanzato della semantica che fanno anche gli intellettuali dell’articolo perché nella mia ricerca del semplice mi sembra che pongano ostacoli anche loro un pochino narcisistici…
Alcuni concetti espressi di due filosofi mi sembrano però scontrarsi con quel poco che ho notato frequentando indirettamente (io non sono iscritto a nessun “social” di nessu tipo e genere da mai e mai lo sarò) il “pensiero debole” espresso giornalmente da milioni di persone sui social. Mi sembra di leggere, ma forse sono pazzo io ad inseguire una mia chimera di speranza, che le persone abbiano una profondissima necessità di interagire, e questo è stato detto, quello che leggo in questi atteggiamenti sociali è un po’ più profondo ed è la ricerca, forse inconscia, di “regole di base” suelle quali confrontarsi e condividere… e queste regole di base mi sembrano siano molto diverse da quelle “imposte” dal liberismo e dal capitalismo.
Saluti.
RA
Salve!
Visto che mi avete pubblicato ancora vi “tormento” un altro po’ con le mie elucubrazioni da pazzo.
Nell’articolo viene posta la questione della “legge naturale” con varie interpretazioni date dal cristiano e dal non cristiano. Io ho elaborato una mia teoria dell’assurdo sul limite dell’individualismo liberista moderno anzi odierno. La teoria è legata alle code sulle strade sopratutto quelle di grande comunicazione e traffico. Oggi abbiamo ormai dimenticato la morte, l’identità naturale del genere sessuale, il fatto che dobbiamo tutti mangiare, bere, riposare finanche defecare per poter vivere, abbiamo dimenticato i nostri limiti naturali, fisici, sociali, intellettuali e spirituali abbiamo dimenticato che dipendiamo totalmente dai nostri genitori, e dalla mamma in particolare per un lungo tempo dal nostro concepimento fino a quando ci rendiamo veramente autonomi, e pensiamo che i nostri diritti verso l’intero pianeta e forse verso tutto il creato siano illimitati… Per l’uomo comune, terra tarra, come me tutto questo è riassunto con il senso e la ricerca (spasmodica?) della libertà individuale di fare cioò che vogliamo. Oggi quindi il limite più grosso che l’uomo della strada percepisce come argine (non voluto ma esistente e perlopiù accettato come tale) alla propria libertà illimitata, sono le code in auto, le spesso interminabili e ripetitive in modo ossessivo, code in auto. Infatti l’automobile è l’archetipo prototipo materiale del concetto di libertà personale illimitata, l’accesso ad una mobilità facile e veloce e sopratutto autonoma e libera, è incarnata dall’automobile e con questi intenti ci è stata venduta e per questo ormai ne abbiamo almeno una a testa! Ogni giorno nelle autostrade ed in molte vie di comunicazione delle grandi città le persone sono costrette ad ore di coda per raggiungere, in automobile, la loro vita, per materializzare la loro libertà illimitata… Perché succede questo? Perché le automobili sono una per persona e le libertà personali ed individuali sono illimitate (solo per ogni singola persona) e tutte queste libertà senza limiti formano una massa di signole particelle di incredibile senso di libertà che però devono passare tutte, ed allo stesso momento, sull’unica strada! La strada simbolo di libertà senza fine che diventa “legge naturale” limitante! beh! Se non c’è un Grande e Meraviglioso Disegno dietro a questo allora il Kaos dominerà il mondo…
Saluti.
RA
[Ops quello non era un commento, era una ricerca. Ho sbagliato campo in cui scrivere]