Nel grande sconvolgimento culturale prodotto dalla migrazione dei popoli e dai nuovi ordini statali che stavano formandosi, i monasteri erano i luoghi in cui sopravvivevano i tesori della vecchia cultura e dove, in riferimento ad essi, veniva lentamente formata una nuova cultura, disse allora Benedetto XVI, e si chiese:
Ma come avveniva questo? Quale era la motivazione delle persone che in questi luoghi si riunivano? Che intenzioni avevano? Come hanno vissuto? Innanzitutto e per prima cosa si deve dire, con molto realismo, che non era loro intenzione creare una cultura e nemmeno conservare una cultura del passato. La loro motivazione era molto più elementare. Il loro obiettivo era: quærere Deum, cercare Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile. Si dice che erano orientati in modo ‘escatologico’. Ma ciò non è da intendere in senso cronologico, come se guardassero verso la fine del mondo o verso la propria morte, ma in un senso esistenziale: dietro le cose provvisorie cercavano il definitivo. […] Quærere Deum,cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramentepositivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda su Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura.
Sin qui Benedetto XVI, il 12 settembre 2008, sulla vera “Opzione” di san Benedetto da Norcia. Così che, sul libro di Dreher, non mi resta che da dire questo: non contiene una risposta pronta. In esso non troverete una ricetta infallibile o un passepartout per riaprire tutte quelle porte che finora ci erano accessibili ma che adesso sbattendo si sono di nuovo chiuse. Fra la prima e l’ultima di copertina troverete però un esempio autentico di quello che Papa Benedetto dieci anni fa disse sullo spirito benedettino degli inizi. È un vero “Quærere Deum”. È quella ricerca del vero Dio di Isacco e di Giacobbe che, in Gesù Cristo, ha mostrato il suo volto umano.
Per questo qui mi viene in mente un’altra frase ancora del capitolo 4,21 della Regola di San Benedetto che in egual modo e tacitamente attraversa e anima l’intero libro di Dreher, come fosse il suo cantus firmus. Sono le leggendarie parole “Nihil amori Christi præponere” che, tradotte, significano: Nulla si anteponga all’amore per Cristo. È la chiave alla quale si deve l’intera meraviglia del monachesimo occidentale.
Benedetto da Norcia è stato un faro durante la migrazione dei popoli, quando nei rivolgimenti del tempo salvò la Chiesa e rifondando con ciò in certo senso la civiltà europea.
Ora però viviamo nuovamente da decenni – e non solo in Europa, ma su tutta la terra – una migrazione dei popoli che mai più giungerà a una fine, come ha chiaramente riconosciuto Papa Francesco appellandosi con insistenza alla nostra coscienza. Anche questa volta dunque non tutto è diverso rispetto ad allora.
Così, se questa volta la Chiesa con l’aiuto di Dio non saprà ancora rinnovarsi, ne andrà di nuovo dell’intero progetto della nostra civiltà. Per molti, tutto porta a credere già oggi che la Chiesa di Gesù Cristo non potrà più riprendersi dalla catastrofe dei suoi peccati che rischia quasi di inghiottirla.
E proprio questa è l’ora in cui Rod Dreher da Baton-Rouge in Louisiana presenta il suo libro nei pressi delle tombe degli Apostoli; e, nel mezzo dell’eclissi di Dio che atterrisce in tutto il mondo, viene in mezzo a noi e dice: “La Chiesa non è morta, ma solamente dorme e riposa”.
E non soltanto questo: la Chiesa “è giovane” sembra anche dirci, e con quella gioia e quella libertà con le quali lo disse Benedetto XVI nella Messa per l’inizio del ministero petrino il 24 aprile 2005. Ricordando ancora una volta la sofferenza e la morte di san Giovanni Paolo II del quale era stato collaboratore per così tanti anni, rivolgendosi a ognuno di noi in Piazza San Pietro disse:
Proprio nei tristi giorni della malattia e della morte del Papa questo si è manifestato in modo meraviglioso ai nostri occhi: che la Chiesa è viva. E la Chiesa è giovane. Essa porta in sé il futuro del mondo e perciò mostra anche a ciascuno di noi la via verso il futuro. La Chiesa è viva e noi lo vediamo: noi sperimentiamo la gioia che il Risorto ha promesso ai suoi. La Chiesa è viva – essa è viva, perché Cristo è vivo, perché egli è veramente risorto. Nel dolore, presente sul volto del Santo Padre nei giorni di Pasqua, abbiamo contemplato il mistero della passione di Cristo ed insieme toccato le sue ferite. Ma in tutti questi giorni abbiamo anche potuto, in un senso profondo, toccare il Risorto. Ci è stato dato di sperimentare la gioia che egli ha promesso, dopo un breve tempo di oscurità, come frutto della sua resurrezione.
Non potrà indebolire o distruggere questa verità sull’origine della fondazione della Chiesa universale cattolica per mezzo del Signore risorto e vincitore nemmeno il satanico 11 settembre di essa.
Per questo devo ammettere con sincerità che percepisco questo tempo di grande crisi, oggi evidente a tutti, soprattutto come un tempo di grazia; perché alla fine a “farci liberi” non sarà un particolare sforzo qualsiasi, ma la “verità”, come il Signore ci ha assicurato. In questa speranza guardo alle recenti ricostruzioni di Rod Dreher per la “purificazione della memoria” richiestaci da Giovanni Paolo II; e così, grato, ho letto la sua “Opzione Benedetto” come una, per molti versi, fonte di ispirazione meravigliosa. Nelle ultime settimane quasi nient’altro mi ha dato così tanta consolazione.
Vi ringrazio per la vostra attenzione.
Semplicemente straordinario! Trabocca di speranza!