Dal Commonitorium
Del primo caso leggiamo:
Una volta dunque Agrippino, Vescovo di Cartagine di venerata memoria1Il trattamento non implica un giudizio di valore corrispondente al significato etimologico delle parole, così come oggi “Eccellenza Reverendissima” non significa che ci si trova di fronte a un uomo eccellente, né eminente in caso di un Cardinale, né beato in caso di un Patriarca, né santo in caso di un Papa. Nel caso di specie, “di venerata memoria” significa solo che Agrippino era stato un vescovo cattolico, e che nei giorni della scrittura del Commonitorium era deceduto (da un secolo e mezzo almeno, peraltro)., primo fra tutti i mortali, contro i canoni divini, contro la regola della Chiesa universale, contro il sentire di tutti i suoi confratelli, contro il costume contro gli istituti degli antichi riteneva che il battesimo si potesse reiterare. E questa presunzione generò tanto male che non solo aveva permesso a tutti gli eretici di commettere sacrilegio, ma aveva dato occasione di errore anche ad alcuni cattolici. Quando dunque da ogni dove si levarono proteste contro l’innovazione e ovunque i sacerdoti [leggi “i Vescovi”] si distinsero a misura del loro zelo nell’opporvisi, allora Papa Stefano, di beata memoria, che presiedeva la Sede Apostolica, resistette con altri suoi colleghi… ma va detto che resistette più degli altri, ritenendo (così mi pare) di dover superare nell’ardore della fede tutti gli altri tanto quanto maggiore delle rispettive era il suo soglio.
E allora, in un’epistola indirizzata all’Africa stabilì: «Niente va innovato se non ciò che è stato trasmesso» [«Nihil novandum nisi quod traditum est»]. Quell’uomo santo e prudente comprendeva come niente conferisse una sensatezza e una ragione alla pietà se non che tutto quanto nella fede era stato ricevuto dai padri con quella medesima fede venisse consegnato ai figli, e che noi non dobbiamo portare la religione dove ci pare, ma piuttosto dobbiamo seguirla lì dove essa ci conduce: questo è proprio della modestia e della gravità cristiane – che non diamo ai posteri le nostre cose, ma conserviamo ciò che abbiamo ricevuto dagli antichi.
Vincenzo, Commonitorium vi
E del secondo:
Anche se tutto quanto abbiamo detto finora basta e avanza per cancellare ed estinguere quante si voglia profane innovazioni, tuttavia perché alla pienezza non manchi qualcosa aggiungiamo in ultimo una duplice autorità della Sede Apostolica: una del santo Papa Sisto, che ora illustra venerando la Chiesa Romana; l’altra del suo predecessore, di beata memoria, Papa Celestino, che qui ci è sembrato necessario frapporre. Dice infatti il santo Papa Sisto in una lettera che aveva mandato al Vescovo [Giovanni di Antiochia, N.d.R.] riguardo al caso di Nestorio: «Quindi, poiché come dice l’Apostolo la fede è una – la fede che ha conseguito con successo – crediamo ciò che deve essere detto e diciamo ciò che deve essere mantenuto». Ma cos’è che dev’essere detto, e cosa deve essere mantenuto? Prosegue così: «Non si dia altro spazio all’innovazione, perché nulla conviene aggiungere a quanto è consolidato; la chiara fede e la devozione degli antichi non sia turbata da alcuno schizzo di fango».
Questo è sentire apostolico: la fede degli antichi viene illustrata dalla ragione e le innovazioni modaiole le descrive come schizzi di fango. Ma anche il santo Papa Celestino disse cose simili in modo analogo. Infatti nell’epistola che mandò al clero delle Gallie tacciò i sacerdoti di connivenza perché, indebolendo col silenzio l’antica fede, permettevano alle innovazioni profane di montare: «È veramente colpa nostra, se col silenzio alimentiamo l’errore. E quindi quanti errano siano così puniti: a loro non sia permesso di predicare liberamente». E se qui qualcuno dubitasse su chi fossero quelli a cui si riferiva quando proibiva che parlassero liberamente – i predicatori della fede consolidata o gli inventori di novità – lasci parlare il mittente, che si spiega subito dopo. Prosegue infatti: «La smetta, se il fatto sussiste». E “se il fatto sussiste” significa: se qualcuno viene ad accusare presso di me alcune vostre città e provincie di star consentendo all’errore con subdola dissimulazione, «la smetta, se la cosa sta così, di schiacciare la fede consolidata sotto le novità». Così parlò il beato Celestino: non è la pratica consolidata che soverchia le novità, ma piuttosto sono queste che la devono smettere di schiacciare quella.
Ivi xxxii
Limiti storico-critici
Quale fosse questo errore è cosa difficile a dirsi con certezza: la discussione accademica immagina che i vaghi riferimenti siano all’errore semipelagiano (“semipelagianesimo”, in effetti, non è un nome antico: all’epoca lo chiamavano spesso “l’errore”, come tante altre eresie orfane di padre). E il semipelagianesimo era orfano di padre proprio perché in un certo senso non era un’innovazione, ma tante cose dovrebbero essere dette a spiegazione e qui ci porterebbero fuori strada: a noi ora premeva di mostrare i soli due passaggi in cui nell’opera di Vincenzo di parla di Papi.
Sono tre, e di loro si afferma soltanto che abbiano sempre difeso la fede cattolica e conservato la Tradizione degli antichi: se questo è in certa misura opinabile, sul piano storico e per quanto riguarda la forma dei contenuti, sicuramente è corretto in un’ottica di sviluppo diacronico e relativamente alla sostanza delle dottrine. Il semipelagianesimo – “eresia” aerea e sfuggente, che difficilmente si individuava in autori precisi e da cui pertanto tutti potevano essere sospettati infetti – circolava ampiamente nelle orbite di Lerino. Ora avversato, ora carezzato; ora addomesticato, ora condannato. Ma questa è un’altra storia…
Saluto e augurio
L’invito che con questo post vorrei dare non è quello a tenere una copia del Commonitorium in libreria (e a leggerla), anche se questo farebbe senza dubbio bene, ma a cercare di essere un minimo serî, quando si parla delle cose di Dio… e anche quando si parla di cose di Chiesa. Già è stupido entrare in un dibattito ecclesiale con presupposti ideologici che nulla hanno a che vedere con la materia (i motivi dell’avversione a Francesco diffusa in certo milieu sono tutto fuorché legati alla fede): ma almeno evitate di tirare in ballo (a casaccio) gli scrittori ecclesiastici. Come si dice, scherza con i fanti…
Note
↑1 | Il trattamento non implica un giudizio di valore corrispondente al significato etimologico delle parole, così come oggi “Eccellenza Reverendissima” non significa che ci si trova di fronte a un uomo eccellente, né eminente in caso di un Cardinale, né beato in caso di un Patriarca, né santo in caso di un Papa. Nel caso di specie, “di venerata memoria” significa solo che Agrippino era stato un vescovo cattolico, e che nei giorni della scrittura del Commonitorium era deceduto (da un secolo e mezzo almeno, peraltro). |
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Caro Giovanni, grazie di questa disamina. Sovente mi accade di leggere sfondoni, anche di accreditati medievisti, su Santo Francesco. Credo che alla base di queste deformazioni mediatiche (ed il loro consacrato tam-tam) ci sia in qualche maniera un atteggiamento settario altrettanto pericoloso come i grandi ceppi ereticali. Sto parlando del Millenarismo e dei suoi trasformismi. Far parte di epoche difficili, avere il senso del dramma, consacrarsi alle apocalissi, è uno dei tanti modi carnali con cui il nostro cuore ama fuggire dalle responsabilità adulte della fede.
Grazie per questo articolo.
Da ignorante mi permetto dire che anche la frase in questione fosse certa e accertata, non è che il fatto che uno uomo sia stato dichiarato Santo, renda qualunque sua frase proferita Verità assoluta o Rivelata.
Così fosse potremmo gettare il Catechismo e rifarci unicamente alla miriade di detti e motti di Santi che penso si siano espressi su ogni argomento si possa immaginare…
E difatti possiamo disquisire di ciò che scrisse Vincenzo. Però almeno sarà necessario averlo letto…
Parimenti questo mi riporta a tanti acerrimi detrattori dei Documenti del Concilio Vaticano II, che alla domanda: “ma tu lia hai letti?” al massimo rispondono che “non era necessario…” (??)
Presumo intendendo che è sufficiente leggere la critica di tanti dotti per farl propria… mah
Poi c’è chi pretende di riconoscere, l’ “albero dai frutti”, ma pur non essndo contadino, mi domando come riconoscere i frutti di un albero pressoché sconosciuto.
È tutto un mondo di fuffa e lustrini.
Io vorrei però sapere una cosa. Benché comprenda che non sia per nulla consigliabile attaccare un qualsivoglia Papa tacciandolo di eresia, perché ciò esporrebbe chiunque ad accuse e sospetti e minerebbe la solidità dell’edificio ecclesiale, mi chiedo tuttavia se sia davvero tanto impossibile per un cattolico interrogarsi sugli insegnamenti di un Papa, e magari giungere alla conclusione che essi non siano condivisibili, e/o peggio confusivi. Purtroppo, è quanto mi è capitato di chiedermi dopo avere letto la Amoris Laetitia. E a questo punto vorrei sapere perché la correctio filialis sia da considerarsi addirittura ridicola. Ignoro, è vero, molte cose ma mi piace studiare e credo anch’io che prima di parlare occorra informarsi bene. Ciò detto, purtroppo per mio difetto, non riesco a capire perché un cattolico dovrebbe sempre ritenere giusto quanto affermato da un Papa…io so che è tenuto a farlo solo quando parla ex cathedra. Ma la Amoris Laetitia, per restare all’ esempio di prima, è un dogma di fede? Davvero, vorrei una risposta dato che da sola non riesco a darmela. Grazie
Ps:
La comunione ai divorziati risposati o comunque a chi vive situazioni irregolari è in vigore nelle chiese se non da decenni da molti anni. Non data da oggi. Ma come sempre, una cosa è una prassi, un’altra il suo divenire teoria…
Ora è davvero troppo tardi e non riesco a scrivere su una cosa così delicata. Intanto rimando a quanto scrissi su Aleteia e a quello che poi scrissi qui.
Da ignorante e ciuco mi intrometto per rilevare che, a margine della questione, resta il fatto ineludibile che la storia del Papato è travagliata dalle gesta di personaggi storici che si potrebbero a ragione definire “poco raccomandabili”. Quali conclusioni trarne?
Il fatto è chiaro, ma non è innegabile (né ineludibile) perché nessuno cerca di negarlo o di eluderlo. Da sé, però, esso non basta a trarre conclusione alcuna, non se possono dirsi “conclusioni” gli inviti a nutrire sfiducia sistematica nei confronti della Santa Sede.
Anche sotto il famigerato pontificato di Alessandro VI vide la luce una mirabile enciclica sulla Immacolata Concezione (1502), e soprattutto la Chiesa non è venuta meno neppure sotto l’infausto pontificato di Leone X.
I profeti di sventura di oggi (come quelli di ieri) oscillano tra la mania apocalittica e l’opportunismo interessato.